Gianfranco Sabattini
Siamo sempre più sovrastati da decisioni che, per la loro asserita urgenza e indifferibilità, non consentono il dibattito e la partecipazione democratica. E così la Commissione europea e, per quanto ci riguarda Monti, presentano le loro scelte di governo come necessitate e urgenti. Esse acquistano così un carattere di oggettività, che non hanno, come dimostrano i molti dissensi e le critiche perfino di premi Nobel. Ora anche l’elettorato in varie parti d’Europa sembra voler disattendere questo modo di decidere unilaterale, che si traduce in una pratica di governo non democratica. Ci sembra, pertanto, interessante una riflessione critica sul fenomeno delle decisioni “qui ed ora”, che, a ben vedere, coinvolge, comprimendolo, lo stesso carattere democratico degli ordinamenti.
In un recente numero di Reset (Gennaio-Febbario 2012), lo storico Pierre Rosanvallon segnala l’urgenza di superare la prospettiva decisionale del “qui ed ora” degli attuali sistemi di governo democratici. La democrazia, secondo lo studioso francese, non deve sottostare alla tentazione della fretta e dell’anteposizione degli interessi presenti rispetto a quelli futuri. I regimi democratici riescono con grande difficoltà ad assumere decisioni collettive sulla base di considerazioni di lungo periodo. Specie se connesse a problematiche complesse e ad alto contenuto di rischio, quali, ad esempio, quelle relative alla salvaguardia della sostenibilità ambientale dello sviluppo.
Per correggere questa tendenza, per Rosanvallon, bisognerebbe prendere in considerazione una serie di provvedimenti, come ad esempio, da un lato, la costituzione di un’”Accademia del futuro” e, dall’altro, l’istituzione di “Forum pubblici” per la mobilitazione della partecipazione dei cittadini al dibattito pubblico e l’introduzione nell’ordine costituzionale delle problematiche complesse le cui soluzioni implichino pericoli per i cittadini stessi.
L’”Accademia” dovrebbe svolgere un ruolo centrale nell’organizzazione dei “Forum”, per consentire ai cittadini di appropriarsi dei “pro” e dei “contra” sulle problematiche da risolvere. Ma quale dovrebbe essere il rapporto tra l’”Accademia” ed i “forum”? E’ questo un interrogativo al quale, nell’interesse della democrazia e di tutti i cittadini, deve essere data una risposta certa ed univoca. E, soprattutto, in grado di tenere in conto che la stessa democrazia si evolve diventando più riflessiva, in presenza di un sistema sociale che aumenta, con la modernizzazione, la sua complessità.
La riflessività della democrazia è contrassegnata da una riflessività istituzionale da intendersi, o nel senso di una continua liberazione dei cittadini dal “peso” della conoscenza obsoleta ereditata dal passato, oppure nel senso di un continuo flusso di conoscenza trasmessa unidirezionalmente da tecnocrati ai singoli cittadini. Per altri, invece, è contrassegnata dall’avvento di una riflessività comunitaria. Questa rifiuta a priori la mediazione delle istituzioni e, dunque, delle eventuali “Accademie” proposte da Rosanvallon, le quali invece, privilegiando l’interazione sociale al proprio interno (tra i tecnocrati), comportano il rischio che sia rimossa l’interazione tra i cittadini che si svolge al di fuori di esse.
Per sottrarre la democrazia ai limiti della logica decisionale del “qui ed ora”, Rosanvallon propone la costituzionalizzazione delle problematiche complesse. Questa scelta però rischia di scontare vari limiti e per affievolirli potrebbe essere utile prevedere anche una costituzionalizzazione della riflessività comunitaria. Ovvero del dovere, per la società politica, di fare sempre riferimento nei processi decisionali alla riflessività comunitaria dei cittadini, in considerazione del fatto che l’informazione prodotta dalle “Accademie” diventa informazione democratica solo quando sia seguita dal dibattito democratico sulle decisioni da assumere.
La costituzionalizzazione della riflessività comunitaria, di cui Rosanvallon non tiene conto, non è un’idea “strampalata”. Le costituzioni, custodendo strutturalmente i principi organizzativi della vita in comune, sono strumenti per vincolare la società politica a rispettare tali principi nell’attività di governo del sistema sociale. Così, per esempio, la costituzionalizzazione della riflessività democratica sarebbe particolarmente utile per risolvere problematiche complesse, quali la dimensione ecologica dello sviluppo futuro del sistema sociale, oppure la liberazione dal bisogno estesa a tutti i cittadini. Entrambe sono problematiche complesse, la cui soluzione è caratterizzata da un alto tasso di rischio destinato ad influire sulla modalità organizzative ed operative del sistema sociale. Questa via potrebbe favorire la trasformazione delle capacità decisionali dei componenti la società politica in capacità propria dell’”uomo di Stato”. E attraverso questo passaggio sarebbe forse possibile nelle moderne democrazie procedere più speditamente verso la soluzione delle problematiche d’intereresse generale secondo una visione “tesa verso l’orizzonte” e non vincolata alla logica del “qui ed ora”.
2 commenti
1 RENATO MONTICOLO
15 Maggio 2012 - 10:56
Le riflessioni riportate nell’articolo di Sabattini mi hanno indotto a ripensare al passato, ormai non più recente,dei “furono partiti politici italiani”.
La sezione di partito, le famigerate “cellule” aziendali del P.C.I., gli attivisti,la vendita del quotidiano porta a porta,i comizi con contraddittorio , le scuole di partito per la formazione dei quadri,le riunioni di direttivo allargato con volo di seggiole e cerotti conseguenti,i manifestini elettorali con la ripartizione delle preferenze suddivise per zone della città etc.
Ma queste, mi sono chiesto,non erano delle applicazioni “empiriche” ante litteram delle teorie filosofiche di Pierre Rosanvallon e più in particolare dei “Forum pubblici” e della sottesa volontà di coinvolgere quanti più cittadini possibile?
E ancora, l’aforisma di Alcide DeGasperi “Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista guarda alle future generazioni” non riassume lapidariamente il concetto di “Accademie del futuro” e cioè della volontà oltre che capacità di programmare oltre il contingente e sacrificare l’utile immediato ed effimero con il vantaggio duraturo e corposo di una programmazione seria e documentata?
Qualcuno potrebbe obiettare che le trasformazioni sociali sono oggi talmente veloci, improvvise ed inattese che volerle programmare risulterebbe difficile oltre che inutile.
Forse, ma tentare di ricreare una comunità facendo leva sui suoi bisogni di “riflessività” agevolerebbe nell’affrontare decisioni dolorose anche se necessarie .Per fare questo bisognerebbe anche rispolverare e riaccreditare la figura del “politico” al servizio della comunità e delle istituzioni .
Purtroppo non credo che sia recuperabile il gap generazionale. Oggi il bisogno di condivisione e di raggruppamento per idee e sentimenti viene convogliato e regolato dai vari social network che “assorbono “ la spinta e la volontà dei singoli e le cristallizzano in vetrine verbali spesso di “nonsense” ma comunque assolvono alla loro funzione di socializzazione dei bisogni.
Di conseguenze filosofia e tecnica dovrebbero coordinare sforzi comuni e generale quella che Paul Watzlawick chiama, anche se con altri fini, Pragmatica della comunicazione umana.
2 RENATO MONTICOLO
15 Maggio 2012 - 11:01
Le riflessioni riportate nell’articolo di Sabattini mi hanno indotto a ripensare al passato, ormai non più recente,dei “furono partiti politici italiani”.
La sezione di partito, le famigerate “cellule” aziendali del P.C.I., gli attivisti,la vendita del quotidiano porta a porta,i comizi con contraddittorio , le scuole di partito per la formazione dei quadri,le riunioni di direttivo allargato con volo di seggiole e cerotti conseguenti,i manifestini elettorali con la ripartizione delle preferenze suddivise per zone della città etc.
Ma queste, mi sono chiesto,non erano delle applicazioni “empiriche” ante litteram delle teorie filosofiche di Pierre Rosanvallon e più in particolare dei “Forum pubblici” e della sottesa volontà di coinvolgere quanti più cittadini possibile?
E ancora, l’aforisma di Alcide DeGasperi “Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista guarda alle future generazioni” non riassume lapidariamente il concetto di “Accademie del futuro” e cioè della volontà oltre che capacità di programmare oltre il contingente e sacrificare l’utile immediato ed effimero con il vantaggio duraturo e corposo di una programmazione seria e documentata?
Qualcuno potrebbe obiettare che le trasformazioni sociali sono oggi talmente veloci, improvvise ed inattese che volerle programmare risulterebbe difficile oltre che inutile.
Forse, ma tentare di ricreare una comunità facendo leva sui suoi bisogni di “riflessività” agevolerebbe nell’affrontare decisioni dolorose anche se necessarie .Per fare questo bisognerebbe anche rispolverare e riaccreditare la figura del “politico” al servizio della comunità e delle istituzioni .
Purtroppo non credo che sia recuperabile il gap generazionale. Oggi il bisogno di condivisione e di raggruppamento per idee e sentimenti viene convogliato e regolato dai vari social network che “assorbono “ la spinta e la volontà dei singoli e le cristallizzano in vetrine verbali spesso di “nonsense” ma comunque assolvono alla loro funzione di socializzazione dei bisogni.
Di conseguenze filosofia e tecnica dovrebbero coordinare sforzi comuni e generare quella che Paul Watzlawick chiama, anche se con altri fini, Pragmatica della comunicazione umana.
Lascia un commento