Gianluca Scroccu
“Il 6 maggio è un nuovo inizio per la Francia e per l’Europa, i francesi hanno scelto il cambiamento e dovremmo essere all’altezza”. E’ questo uno dei passi principali del primo discorso da presidente eletto di Francois Hollande, il settimo da quando è nata la Quinta Repubblica sotto la spinta di De Gaulle nel 1958. Le sfide che il nuovo capo di stato francese dovrà affrontare saranno tante, ad iniziare dalla rinegoziazione della linea di austerità fiscale che sino ad ora ha guidato la politica europea, ispirata dalla signora Merkel, nell’affrontare la crisi economica. Anche qui il neopresidente è stato chiaro sin dalla prime dichiarazioni dopo l’ufficializzazione del risultato: “L’austerità non può essere l’unica opzione, bisogna puntare alla crescita. Ed è quello che faremo insieme ai nostri partner europei a cominciare dalla Germania”.
Tanti sono dunque i problemi che Hollande dovrà affrontare, ma certamente sarà interessante valutarlo nel merito di due questioni che saranno importanti nel determinare o meno il suo successo. Da una parte sarà stimolante vedere come gestirà, lui così poco appariscente, la forte personalizzazione imposta da Sarkozy al ruolo del presidente, energicamente connotata sul piano mediatico e decisamente impostata su una linea di caparbio leaderismo, compresi gli aspetti della sua vita privata legati alla storia d’amore con Carla Bruni. L’immagine che Sarkozy è riuscito ad imporre dal 2007 è stata infatti quella del decisionista, del politico che recuperando il vero senso della lezione di De Gaulle era in grado di decidere per la Francia, riassumendo in sé l’idea della sicurezza nazionale e del principio d’autorità cui si sposava una decisa apertura verso i canoni liberisti in economia, a partire dalla diminuzione delle aliquote fiscali soprattutto a favore dei ceti più benestanti, elemento che avrebbe poi influito nella sua sconfitta del 6 maggio. Cui si è sommata la sovraesposizione anche nella gestione del governo, con un’ingerenza che alla fine ha nuociuto al presidente, concentrando sulla sua figura le critiche e le insoddisfazioni di quella parte dei francesi che lo avevano scelto nel 2007 ritenendolo una figura di rottura.
Ancora, sarà interessante vedere come Hollande saprà rapportarsi all’eredità di Mitterand, visto che la sua vittoria ha diverse analogie con quella del 1981. Non bisogna dimenticare che di Mitterand Hollande fu nel 1981 un collaboratore, anche se non venne mai nominato ministro, a differenza della sua ex compagna, sconfitta da Sarkozy del 2007, Segolene Royal, e che anche Mitterand riuscì a vincere sfruttando l’onda di una crisi economica di sistema, battendo il presidente uscente Valéry Giscard d’Estaing.
Primo presidente socialista della Quinta Repubblica, Mitterand si caratterizzò come l’uomo che voleva rappresentare tutta la sinistra, anche se in realtà egli mantenne una certa vaghezza nel delineare il suo programma elettorale, circostanza che gli avrebbe aperto importanti spazi di gestione pragmatica delle questioni economiche e sociali in gioco negli anni Ottanta. Del resto la Francia in quel decennio dovette confrontarsi con l’ascesa di due politici assolutamente schierati a favore delle linee economiche neoliberiste come Margareth Thatcher e Ronald Reagan, mentre contemporaneamente si assisteva all’ascesa in Unione Sovietica della leadership di Michail Gorbaciov.
Resta il fatto che i quattordici anni di presidenza mitterandiana, come ha sottolineato Marco Gervasoni nella sua biografia del presidente francese pubblicata da Einaudi nel 2007, sono stati un unicum nella storia della Quinta Repubblica, dopo i quali il Partito Socialista francese ha faticato nel trovare una personalità in grado di far breccia nei cuori dei francesi. Si pensi solo allo shock del 2002, quando Lionel Jospin arrivò terzo al primo turno e i socialisti dovettero convogliare i loro consensi al ballottaggio su Chirac per evitare una vittoria del leader del Fronte Nazionale Le Pen.
Oltre che con la figura di Mitterand, Holland potrà raffrontarsi anche con la sua seconda figura di riferimento, ovvero quel Jacques Delors, padre della segreteria del PS Martin Aubry, che potrebbe ispirarne l’azione sia per il suo cristianesimo sociale sia per il richiamo all’Europa solidale di cui Delors, da presidente della Commissione Europea, è stato il principale cantore.
Un ultimo punto importante riguarda il peso trasformativo che la figura di Hollande potrà esercitare sul futuro del suo partito e del socialismo europeo. Dopo la débâcle del 2009, la sua vittoria segna un nuovo scatto d’orgoglio dei socialisti francesi, richiamando la vitalità di un partito e di un movimento europeo che negli anni scorsi sembrava esser stato messo in crisi tanto dalla Terza Via che dalla stagione “centrista” di Blair e Schröder, rivelatesi opzioni deboli nel contrastare l’impianto di selvaggia deregulation imposto dal modello di globalizzazione finanziaria di questi anni. E non è detto che il “budino”, come Hollande è stato definito da alcuni denigratori, non si riveli invece un presidente tenace e abile nel favorire una svolta da tutti invocata per superare la grave crisi economica finanziaria di questi anni, rilanciando così il socialismo europeo del XXI secolo.
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