Tonino Dessì
Abbiamo ricevuto questo commento di Tonino Dessì alla presentazione del libro di Gallino sulla lotta di classe ad opera di R. Rossanda. La nota di T. Dessì contiene alcuni spunti di riflessione sulla subalternità della sinistra al pensiero unico neoliberista, sulla necessità di un soggetto politico coerentemente anticapitalista e sullo squilibrio a livello mondiale conseguente alla caduta del muro di Berlino e al dissolvimento dell’URSS, che meritano d’essere sottolineati e possibilmente ripresi.
Finanzcapitalismo e La lotta di classe dopo la lotta di classe sono, a mio avviso, gli scritti più lucidi e illuminanti pubblicati in questi anni in Italia, sulle dinamiche globalizzate dell’economia e della società lette in tempo reale. Purtroppo bisogna constatare che nessuno dei soggetti politici che ancora si richiamano alla sinistra sembra far proprie le analisi, le proposte, ma nemmeno il linguaggio preciso e asciutto di Gallino (personalità tutt’altro che ascrivibile a una tendenza estremista, proveniendo puiuttosto da una cultura sinceramente quanto rigorosamente riformista). Un tema cruciale che Gallino non si si limita ad enunciare , ma che resta sullo sfondo dell’analisi, come elemento purtroppo irrisolto, è nuovamente quello che una volta avremmo chiamato “della soggettività”. Non è infattti che manchi l’evidenza di una gigantesca aggressione in atto, da parte delle componenti materiali del capitalismo finanziarizzato (meno anonime tuttavia di quanto il loro connotato giuridico transnazionale riesca a celare), nei confronti della massa planetaria di soggetti individuali e collettivi da rapinare. Perchè di rapina si tratta, ad opera di forze che non solo, come puntualizza Rossanda, non hanno nella loro genetica la beneficienza, ma che in larga e sottovalutata misura, traggono alimento da un’economia materiale sottostante di natura prettamente criminale (si pensi ai meccanismi di estrazione e di riciclaggio di enormi capitali derivanti dall’accaparramento illegale delle materie prime africane, allo sfruttamento schiavistico della manodopera minorile in Asia, alla sperimentazione clandestina di nuove tecnologie farmaceutiche, ai proventi del traffico degli stupefacenti). Ma che responsabilità etica può coltivare un capitalismo speculativo in cui tali componenti hanno un peso sempre maggiore? Il punto è però che la politica ha totalmente, in ogni campo, fatta propria l’idea-ideologia - che non competa alla politica stessa e alle istituzioni democratiche imporre regole diverse da quelle volte a favorire le dinamiche di un mercato autoregolantesi, descritto anche dalla più parte degli economisti come uno scenario ineluttabile e apparentemente asettico. Mi capita spesso di avere pensieri politicamente scorretti e uno di questi non può non sfiorare le conseguenze reali della caduta del Muro nel 1989. Non lo espliciterò, perchè so a quali conseguenze paradossali andrei incontro, nonostante sia nota la mia provenienza da un’esperienza radicalmente antistalinista. Certo è tuttavia che in assenza di una soggettività culturale e politica strutturata, nettamente impegnata nella ricerca di una radicale alternativa al capitalismo nelle forme che attualmente ha assunto, anche la testimonianza e l’appartenenza di ciascuno di noi (non si parli di militanza, perchè quella è preclusa dalle condizioni in cui sono precipitate le forze politiche di quel che resta della sinistra), resta qualcosa di sempre più flebile e disarmato.
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