Gianfranco Sabattini
Il caso di Eluana Englaro, la ragazza da sedici anni in coma irreversibile i cui rappresentanti legali (i familiari) non sono riusciti ad ottenere l’interruzione dell’accanimento terapeutico mediante il quale è stata sinora artificialmente mantenuta in vita attraverso l’impiego di strumenti tecnici, è stato trasformato in una discussione ideologizzata.
Al di là dello scontro politico e del conflitto di competenza sollevato davanti alla Corte costituzionale se la decisione di porre termine all’accanimento terapeutico spetti alla magistratura oppure al popolo sovrano attraverso i suoi legittimi rappresentanti, ciò che qui interessa sottolineare è come, ancora una volta, la religione cattolica abbia fatto pesare sulla discussione il suo atteggiamento dogmatico sul piano dell’etica. Tutto ciò nel sottinteso d’essere l’unica garante del “mistero” della morte contro le insidie dei non-credenti, che, in quanto tali, mancherebbero di non avere rispetto per il più esclusivo dono di Dio, cioè della vita. Le cose non stanno proprio così ed a dirlo è il teologo del dissenso Hans Kung.
Secondo il grande teologo, da sempre le religioni preparano l’uomo alla morte. Ciò perché l’uomo è costretto a vivere separato ed estraniato rispetto ad una realtà che considera la sua libertà; una realtà che l’uomo chiama in modi diversi: Assoluto, Dio, Fine della tribolazioni terrene, ecc. Non si tratta, dunque, della fede dei cristiani in una risurrezione che non è più lecito intendere come il ritorno in vita di un cadavere, ma nell’accettare l’esistenza di un “luogo metafisico” trascendente, sottratto all’influenza di tutte le condizioni dell’esistenza fenomenica, che consenta di pensare alla morte come ad una continuità nella discontinuità nel mondo della libertà. Così, come i non-credenti non dovrebbero negare che i credenti, forti della loro fede in Dio, possano guadagnare un diverso rapporto con la morte, nello stesso identico modo i credenti non dovrebbero negare che i non-credenti, forti della loro fede nell’esistenza di un “luogo metafisico” come sopra è stato definito, possano anch’essi guadagnare un rapporto consolatorio con la morte. Se così stanno le cose, è allora fuori discussione l’illiceità etica di una morte imposta per costrizione. E’ ugualmente fuori discussione la liceità etica dell’eutanasia nel senso di tentativo di rendere “buona” la morte senza per questo accorciare la vita. E’, infine, fuori discussione la liceità etica dell’eutanasia passiva, dove la morte è conseguita mediante la interruzione dei mezzi di sostentamento artificiale della vita, per cui nessun medico, o chi per lui, dovrebbe avvertire il dovere di prolungare ad ogni costo la vita umana al prezzo di un prolungamento dell’agonia. Se tali principi, nel reciproco rispetto di tutti, fossero condivisi si potrebbe realmente dire che credenti e non-credenti riuscirebbero a trasformare la morte, il grande mistero del compimento ella vita, in un’opposizione all’idea di una semplice fine.
1 commento
1 Blog Miss Net » Sul diritto di morire
14 Agosto 2008 - 11:01
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