Barbara Ciolli - Lettera 43
Continuiamo la riflessione sulla crisi con questo articolo che illustra le posizioni del Nobel Joseph Stiglitz. A parte, sotto l’allarme lanciato all’Europa da un altro Nobel per l’economia, Paul Krugman.
Per un economista di fama internazionale come Joseph Stiglitz, che si considera «un ottimista», l’unica cosa di buono del 2011 è che è stato «migliore del 2012». Quest’anno, infatti, «l’Europa ammalata» sarà minacciata da una nuova «recessione, la seconda in poco tempo. E sarà veramente dura».
Una previsione nefasta, che ha trovato conferma nel crollo dei mercati finanziari di martedì 10 aprile legati ai timori per la tenuta dei conti spagnoli, ma anche alle stime gravemente negative sul Prodotto interno lordo europeo diffuse dal Fondo monetario internazionale - per l’Italia è previsto un -2,2% - e ai rischi delle banche gravate da miliardi di debito pubblico. Campanelli d’allarme che hanno riacceso i timori sulla tenuta dell’Eurozona.
Il problema, secondo Stiglitz, è di difficile risoluzione. Perché, ha rilevato il premio Nobel che appoggia il movimento Occupy Wall Street, «nonostante le sincere intenzioni di salvare l’euro, i leader dell’Unione europea non sanno quali provvedimenti sono davvero necessari per far sopravvivere la moneta unica».
UNA RICETTA CHE AMMALA. L’errore di fondo, secondo Stiglitz, è il peccato originale dell’euro: «Quando fu introdotto, tutti pensavano che bastasse la disciplina di bilancio a tenerlo in piedi», ha raccontato il professore della Columbia University in un’intervista esclusiva alla Süddeutsche Zeitung.
Non bastasse, con l’esplosione della crisi finanziaria, Bruxelles ha continuato a prescrivere ricette di austerity e risparmi alla spesa. Un corso che, per Stiglitz, non solo «è destinato a fallire, ma aggraverà ancora di più lo status quo».
Non esiste, infatti, «un solo esempio al mondo della politica di tagli a stipendi, pensioni e welfare che abbia fatto guarire un Paese sofferente. La possibilità che, anzi, nuovi tagli risolvano i problemi» ha chiosato l’economista, «è pari a zero».
In realtà, il primo passo che i politici europei dovrebbero fare con urgenza sarebbe «ammettere di aver sbagliato strada», e invertire rotta.
Il sistema d’intervento che Stiglitz va sostenendo da mesi è creare un’istituzione centrale europea, basata non solo sull’unione ma sul trasferimento fiscale, che attui un meccanismo di aiuto reciproco e solidarietà economica tra Paesi dell’euro.
SÌ AI TRASFERIMENTI FISCALI. «So che in Germania molti tedeschi odiano quella che in inglese chiamiamo transfer union. Uno strumento che, livellando gli squilibri regionali, può dare mezzi per reagire agli Stati che hanno maggiore disoccupazione», ha commentato l’economista al quotidiano tedesco.
Regolare il tasso d’interesse e il cambio monetario, invece, non bastano a bloccare l’estendersi della crisi. Quel che è peggio, per Stiglitz la ricetta della cancelliera Angela Merkel equivale alla pratica «medievale del salasso. Così i Paesi tumefatti dai debiti possono essere “curati” per decenni. Ma poi finiscono per morire».
Anziché strozzare i cittadini, stringendo fino allo stremo i cordoni della borsa, Stati come «Grecia e Portogallo, dove il debito è maggiore», hanno al contrario bisogno di «prospettive credibili per una nuova crescita».
INVESTIRE PER LA RINASCITA. «In periodi negativi, i governi non devono abbassare, ma aumentare la spesa pubblica», ha proseguito il Nobel.
«Con il denaro investito, l’economia può crescere in direzioni molteplici».
Una vera banca di investimenti europea potrebbe, per esempio, «rafforzare il credito alle piccole e medie imprese. In tempi in cui molte banche continuano a lesinare soldi. Nonostante siano state rifornite di abbondante liquidità dalla Bce».
Per Stiglitz è anche paradossale che l’ossessione della Germania nell’abbattere deficit e debito pubblico attraverso la scure dei tagli, si basi sul presupposto sbagliato che il tracollo dell’Europa sia partito dai conti in rosso degli Stati del Sud. «Non è così. Prima della crisi, Irlanda e Spagna avevano surplus di bilancio e basso indebitamento», ha ricordato l’economista.
Peggio ancora, per il professore, è l’ostinarsi a risanare gruppi finanziari agonizzanti a spese del contribuente. «Non c’è alcuna banca così grande, da essere salvata a ogni costo».
Il caso più scandaloso e amaro, per Stiglitz, è quanto accaduto in Irlanda, «dove sono state le banche, non solo lo Stato assistenziale, a provocare il tracollo. Salvare gli istituti corrotti, portando il Paese sull’orlo del fallimento, è stato un errore catastrofico». La stessa ristrutturazione del debito greco è stata «troppo piccola». Meglio sarebbe stato, secondo il Nobel, «permettere il crac».
CAPITALISMO DA CRAC. Un passo davvero illuminato, per la Vecchia Europa, sarebbe prendere coscienza, una volta per tutte, che «la bancarotta, anche in caso di Stati, fa parte del moderno capitalismo».
Invece, secondo Stiglitz, la politica continua a chiudere gli occhi, dimenticando che «le democrazie possono sopportare solo una quantità limitata di tagli». Ciò nonostante, da mezzo secolo, nell’Occidente gli stipendi non crescono e le diseguaglianze tra ricchi e poveri aumentano sempre di più.
Una deriva «inaccettabile» che può portare «solo a una conclusione: la fiducia verso il capitalismo trainato dai mercati è finita. Il capitalismo che aiuta solo una minoranza degli uomini, non funziona più», ha denunciato l’economista.
IL POTERE TORNA IN ASIA. Dall’Occidente, Stiglitz si aspetterebbe «più trasparenza, equità nei redditi e morale».
Infine, anche più umiltà. È evidente, infatti, per il professore, che con la crisi finanziaria si assista a uno spostamento dei centri di potere dall’Europa all’Asia.
Chiaro, il ridimensionamento è «difficile da accettare per quei Paesi che, per quasi 200 anni, hanno dominato l’economia mondiale. Ma va bene così. Prima del 1820, l’Asia era il motore di metà dell’economia globale. Poi vennero la colonizzazione, le guerre e la rivoluzione industriale», ha ricostruito Stiglitz.
IL CIRCOLO VIZIOSO. Per sopravvivere dignitosamente, senza spegnersi in agonia, l’Europa dovrebbe invece cambiare radicalmente modello di sviluppo.
Al contrario, andando avanti con le manovre di tagli e zero crescita, «rabbia e frustrazione per i sacrifici fatti e gli obiettivi mancati aumenteranno ancora di più». Anche perché, è matematica, «i risparmi forzosi alimentano la recessione. La quale, a sua volta, farà diminuire le entrate fiscali e gonfiare le spese sociali», nonostante si cerchi di ridurle.
«No, la luce in fondo al tunnel non è ancora in vista». E l’Europa, ammette Stiglitz, «mi preoccupa. Mi preoccupa più di tutto».
(Mercoledì, 11 Aprile 2012)
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