Paul Krugman: “Il suicidio europeo”

22 Aprile 2012
1 Commento


Red
 

Nel commento sulla costituzionalizzazione del principio del pareggio di bilancio, abbiamo richiamato l’allarme di Paul Krugman sul “suicidio europeo”. Torniamo ora sulla notizia. Per il Nobel per l’economia, le misure di austerity in Paesi già a pezzi sono una follia. Non può esserci ripresa e non si riduce neppure il debito pubblico. L’alternativa? Secondo il Nobel, abbandonare l’euro o varare politiche espansive. 
       
 

Dopo le dure critiche di George Soros, a stigmatizzare le politiche di austerity imposte ai Paesi europei dai burocrati di Bruxelles e dalla Bce c’è anche Paul Krugman, premio Nobel per l’economia nel 2008, che lo fa dalle colonne dello statunitense New York Times.
L’economista interviene commentando un articolo, pubblicato sabato scorso dallo stesso giornale, che riferiva del fenomeno dei suicidi che si registrano nel Vecchio Continente a causa della crisi economica e della disoccupazione.
Krugman scrive di aver ormai abbandonato ogni speranza di ripensamento delle politiche economiche in atto da parte delle istituzioni europee. Sarà difficile, a questo punto, che l’Europa comprenda i suoi errori e cambi direzione. Perché, secondo lui, di errori si tratta. L’esempio più significativo riguarda la Spagna, che si trova in una situazione di completa depressione e con un tasso di disoccupazione complessivo di oltre il 23 per cento, sui livelli vissuti dall’America durante la Grande Depressione. I giovani spagnoli senza lavoro sono oltre il 50%. Questa situazione non può andare avanti, e la consapevolezza di questo fatto sta negli alti tassi sui bond iberici. Però nel caso spagnolo, prosegue Krugman, i problemi fiscali sono la conseguenza della depressione, e non la causa.
Nonostante ciò, la medicina che arriva da Berlino e Francoforte è quella di una austerity fiscale ancora più rigida. Senza troppi giri di parole, secondo il Nobel, questa situazione è semplicemente folle. Vista la testardaggine soprattutto tedesca nel perseguire una tale politica economica, l’economista americano afferma che l’unica soluzione a questo punto è l’abbandono dell’euro e il ripristino delle valute nazionali.
Ma piuttosto che ammettere di aver sbagliato e avviare una nuova politica economica, i leader dell’Ue sembrano decisi a portare nel baratro la loro economia e l’intera società. E il mondo intero ne pagherà il prezzo.

1 commento

  • 1 Emanuele Pes
    22 Aprile 2012 - 20:02

    Fermo restando che le argomentazioni di Krugman sono molto convincenti e la posizione attualmente espressa dalla Germania sembra allo stato insormontabile, il punto della fuoriscita dall’euro mi lascia comunque perplesso. Il ritorno alle monete nazionali può garantire ai singoli Stati solo qualche strumento di protezione in più (a partire dal ricorso alla svalutazione per sostenere le esportazioni), ma non rende in linea di principio meno esposti a operazioni massive della finanza cosiddetta internazionale. A meno che non ci si immagini come un paese dotato di solido tessuto industriale, florido mercato interno, e ingenti risorse naturali. Forse bisognerà percorrere strade diverse e concomitanti. E forse non c’è soluzione per i singoli paesi. Per quanto riguarda la sinistra, e il movimento democratico e dei lavoratori europeo mi sembra che si dovrebbe puntare davvero alla costruzione e all’organizzazione del conflitto sociale a livello continentale, con gli strumenti che ancora credo siano i più appropriati, i partiti e i sindacati dei singoli paesi (e lascio perdere le polemiche e le speranze trasversali di questi giorni sulla fine dei partiti, del loro significato: i giovani del partito laburista norvegese massacrati nel campeggio dell’isola di Utoya hanno testimoniato cosa possa significare un impegno di militanza). E certamente i movimenti, dal momento che quanto si denunciava al G8 di Genova nel 2001, è il dramma che stiamo vivendo in questi mesi.
    E’ anche da credere che il segno politico del governo dell’Europa possa cambiare, con un asse che si sposta a sinistra, e quindi con diversi modi di vedere le cose, e di dare una risposta ai problemi.
    C’è anche un altro problema che si dovrebbe porre, che è quello di un coordinamento serio dei paesi PIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna) i quali, proud to be pigs, hanno sicuramente qualche peso in più coordinati che non singolarmente commissariati. Berlusconi non s’è mai posto il problema, da questi di adesso, ma che gli prentendi…
    Sarà pretenzioso, ma il punto d’arrivo è un’Unione Europea dotata di istituzioni democratiche e garante del proprio debito complessivo, perchè senza quella massa critica mi sembra difficile immaginare una politica economica che contrasti la crisi, sia in grado di adottare soluzioni perequative per lo sviluppo, e di avviare scelte neokeynesiane serie. Sarò retrogrado, ma ho l’impressione che in tutto questo c’entri abbastanza la lotta di classe, piuttosto che no.

Lascia un commento