Francesco Cocco
Sarà poi vero che i partiti non possono funzionare senza il finanziamento pubblico? Su questo interrogativo si accende il dibattito politico con i partiti facenti riferimento ad “ ABC” (Alfano, Bersani, Casini) che ritengono il finanziamento essenziale e si apprestano a riscuoterne una cospicua tranche. Mentre la Lega (forse per mascherare l’ irresponsabile gestione finanziaria del cosiddetto “cerchio magico”) e Di Pietro sostengono il contrario. E quest’ultimo si accinge ad una proposta di referendum in merito.
Si afferma inoltre che senza un tale finanziamento i meno abbienti non potrebbero “far politica accedere agli incarichi istituzionali”. Sarà proprio vero? Certo sarebbe insensato pensare che si possa tornare a metà Ottocento, ai tempi in cui Giovanni Battista Tuveri dovette rinunciare al seggio in Parlamento per mancanza di mezzi finanziari, o a quando Giorgio Asproni doveva raccogliere i mozziconi di candela per avere un po’ d’illuminazione notturna. Fu anche per questa esperienza dei suoi amici che Giovanni Antonio Sanna presentò una delle prime proposte perché agli eletti al Parlamento venisse riconosciuta un’ indennità idonea ad affrontare le spese del mandato.
Quando agli inizi del Novecento la battaglia per l’indennità ebbe successo, i rappresentanti del nascente movimento operaio poterono esercitare, senza patemi finanziari, il loro ruolo. Poi la stessa indennità raggiunse livelli tali da consentire non solo un’equa indennità per l’eletto ma anche un finanziamento per il partito. In qualche modo questo differenziava i partiti della sinistra, segnatamente il PCI ed il PSI, dalle altre organizzazioni partitiche.
Negli anni Novanta le cose mutarono. Mentre prima, nella sinistra, la quota devoluta dall’eletto al Partito Comunista ammontava minimo al 50% (era persino del 90% per certi incarichi particolari) poi si ridusse ad una modesta contribuzione. Ma questo non significò riduzione delle indennità. Al contrario le stesse cominciarono a lievitare sino a raggiungere livelli che mal si conciliano con un sentire profondamente democratico. Non è senza significato che sia stato superato il raffronto con le rappresentanze di paesi con ben superiori livelli di reddito rispetto all’Italia. Così i nostri eletti hanno cominciato a sentirsi investititi persino di uno status sociale proprio, distinto da quello di provenienza. Non c’è quindi da meravigliarsi per certe spese della Lega a favore della cerchia di Bossi, o per certi stili di vita di taluni rappresentanti della sinistra che scimmiottano quelli delle elite economiche.
Il finanziamento ai partiti, scisso dalle indennità parlamentari, è nata da una palese violazione dei risultati di uno specifico referendum. Siamo al paradosso dei rappresentanti del popolo che violano la volontà del popolo. E’ cosi che i partiti stanno perdendo la fiducia e con essa quella che dovrebbe essere la prima fonte del loro finanziamento: il loro ruolo ideale. Il PCI sino agli anni Ottanta riuscì a realizzare un cospicuo patrimonio immobiliare proprio grazie alla grande idealità che animava i suoi militanti.
Della idealità possono fare a meno i partiti della destra, chiamati a difendere la condizione presente. Ma non possono farne a meno i partiti della sinistra che hanno assoluta necessità di un ruolo ideale, cioè di un orizzonte che spinga alla militanza anche soltanto perché non muoiano gli obiettivi che fanno corpo con la nostra Costituzione repubblicana.
3 commenti
1 Aldo Lobina
20 Aprile 2012 - 12:54
Se la Corte Costituzionale e il Presidente della Repubblica di allora avessero esercitato loro prerogative, dando una “lettura autentica” della volontà popolare sul finanziamento pubblico dei partiti, non sarebbe stata mai varata la legge sui rimborsi elettorali .
Sono perplesso sul discorso a proposito di idealità. Perché non si può affermare che la destra ne può fare a meno per finalità di conservazione, al contrario della sinistra, legata ad una assoluta necessità di ruolo ideale. La verità è che ci sono stati momenti storici fortemente “idealizzati” per i grandi partiti italiani e altri senza alcuna connotazione ideale se non quella di obbedire a logiche mercantili liberiste, il che ha determinato la liquidazione di fatto di valori fondamentali caratterizzanti i partiti progressisti.
L’ ABC di oggi per il PD significa perseguire gli stessi obiettivi di PDL e UDC. Se io ho ragione il PD è un partito conservatore e, secondo il ragionamento di Francesco Cocco, non sarebbe un partito di sinistra. E non lo è.
Stabilire dei principi e aderirvi è operazione difficile anche per le anime belle.
La difesa dei principi sanciti dalla Costituzione in un paese democratico spetta a tutti i partiti e non può essere esigenza della sinistra soltanto.
La sinistra dovrebbe invece proporre una sua interpretazione, tradurre cioè i principi che la fanno diversa dalla destra in proposte di legge, che, senza contraddire la Costituzione, rendano efficace il patrimonio di valori di solidarietà, che caratterizzano e privilegiano l’idea di comunità di eguali, di Stato sociale, idea che nel tempo si è persa tra cerchi magici, ballerine e nanetti e oggi nelle complicità di maggioranze straordinarie solo all’apparenza. Per le anime belle, appunto.
2 admin
20 Aprile 2012 - 18:35
Andrea Pubusa
La consonanza di idee con Francesco Cocco mi permette di tentare di esplicitare il suo pensiero, che su questo punto è anche mio. Per la sinistra, quella che è nata dal movimento operaio dell’0tto-Novecento, il profilo morale e la finalità moralizzatrice è elemento costitutivo della sua stessa essenza, oggi diremmo del suo DNA. Non a caso la perdita di questa connotazione si accompagna all’abbandono di ogni spirito e capacità di trasformazione.
Per la destra il profitto, il guadagno, il privilegio sono espressione naturale dell’aspirazione al successo personale e sociale, e l’arricchimento ne è la misura. Di questo successo è parte anche la sopraffazione e la ruberia. Ciò che conta è il risultato. Certo, esiste anche una destra “onesta”. Lo stesso Adam Smith, oltre che di economia, scrisse di morale. Non è solo l’autore della Ricchezza delle Nazioni, ma anche della Teoria dei sentimenti morali. Si è occupato con altrettanta convinzione e competrenza della “mano invisibile” e del “principio di simpatia“. Ma in generale, nella destra è insita la ricerca con ogni mezzo dell’arricchimento, mentre nella sinistra l’elemento caratterizzante è l’aspirazione all’eguaglianza e alla giusta distribuzione delle risorse, intese come prodotto sociale. Si comprende così perchè per la sinistra l’abbandono del rigore morale equivale alla propria perdizione e alla negazione di sé. mentre non è così per la destra.
Per il resto, molte delle considerazioni avanzate dal Dr. Lobina mi paiono - come al solito - centrate e stimolanti.
3 francesco cocco
20 Aprile 2012 - 19:27
Io che sono ormai vecchio ed ho militato in un partito del movimento operaio ormai da quasi 60 anni or sono, ricordo tempi in cui militare significava accettare dei sacrifici per servire un ideale. Non che anche allora mancassero i “furbastri” ma erano l’eccezione. Mi rendo conto che oggi siamo in una realtà molto diversa ma questo non deve far venir meno il progetto ideale perché esso rappresenta il primo vero capitale di un partito superiore a qualsiasi finanziamento. Non voglio assolutamente criticare il PD né gli altri partiti di sinistra sostanzialmente allineati su questo tema. Ho voluto semplicemente sollevare un problema Né ritengo che la dimensione ideale sia patrimonio esclusivo della sinistra, dico semplicemente che questa ne ha più bisogno della destra. Questo per la semplice ragione che trasformare la realtà esistente richiede maggior forza ideale rispetto a quella necessaria alla sua conservazione.
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