Le rivoluzioni vanno sempre storte

16 Aprile 2012
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Gianna Lai

Domani, martedì 17, nella sede di ASIBIRI via S. Saturnino 7 - Cagliari, l’Ass. Miele Amaro presenta il nuovo romanzo di Luciano Marrocu, Le rivoluzioni vanno sempre storte, 2011, Sugaman. Cuneo. La presentazione e le letture saranno di Paolo Nori. Fa gli onori di casa e introduce Giovanni Maria Bellu. Sarà presente l’autore. Il romanzo sarà in vendita al prezzo di € 3,90 con la personalizzazione e con in omaggio il libro (di carta). Questo testo, infatti, è diventato un ebook nel mese di maggio 2011, romanzo in edizione digitale.
Ecco una recensione di Gianna Lai.

‘Faccio così: penso a una persona che conosco e lo metto nel romanzo, poi mi diventa un altro e non lo riconosco più. Mi è capitato anche con me stesso, mi sono infilato nel romanzo come un certo personaggio, ma poi quando ho finito il romanzo ho scoperto di essere un altro personaggio, un personaggio che mentre scrivevo non pensavo minimamente di assomigliargli’. Alle prese con la scrittura e con quelli dell’editoria che ’si sentono al centro della sfera magica della letterarietà’, e che sentenziano che ‘il romanzo è da riscrivere’, Giacomo Elias, intellettuale colto, ma narcisista ansioso per sua definizione, intreccia la sua viva esperienza di romanziere con l’intensa attività di docente universitario. E ci racconta in prima persona di un mondo, di un tempo presente, in cui sempre più labile è il confine tra la vita reale e le storie narrate. Quelle che danno risalto e consistenza ai personaggi intorno a lui, costruiti in un quadro di rapporti, incontri e scambi quotidiani, nei quali il lettore viene tirato dentro, irretito: mi è successa la stessa cosa, ma non sarei mai riuscito a descriverla così come fa il narratore. E tanto meglio se i personaggi sfuggono di mano, all’inizio si pensa che ubbidiscano, alla fine bisogna inseguirli. Usano tra loro il cognome, come un tempo a scuola, e si chiamano ancora compagni, Giacomo Elias e l’amico Soddu, titolare di Sanscrito all’Università di Cagliari, che continuano a mantenere duro il confronto sul passato del PCI, sulle più complesse e sofferte interpretazioni del ‘68 e della storia dell’URSS. Ma se l’invadenza di Berlusconi sui media induce a dichiararsi comunisti, è quello il momento in cui Elias può vedere se stesso e Soddu addirittura nei panni, rispettivamente, di Friedrich Engels e Karl Marx.
In lotta contro ‘la negazione del principio di realtà’, pur rassegnato al disordine del mondo, Giacomo non ama gli intellettuali di sinistra, proprio per la tendenza a nascondere verità che cozzino con le loro appartenenze politiche e convinzioni ideologiche. Disincantato, dalla vena malinconica un pò mitteleuropea, come egli stesso si dichiara, non ha abbastanza energia per combattere le parole corruttive, i gesti corruttivi. Ipocrita e codardo, scontento, vuole sempre essere amato, e ‘mette su un sorrisino ebete’ contro gli attacchi al romanzo lanciati da Pruneddu, che assomiglia a Peron, e che irride al piacere della lettura, ridicolmente magnificando le sorti di un sardo unificato, ‘lingua oracolare, lingua dell’illuminazione, della profezia’. E tutti applaudono in TV al suo Ulisse tradotto in sardo, che fa venire i sudori freddi allo scrittore, ma anche al lettore. Come le deliranti storie di Lampis sui pastori/banditi della Barbagia. Come l’esilarante storia del Convegno sulle Carte di Arborea, pensato da Pompucci, che assomiglia a Kafka, e che trascina man mano in uno stato di sovraeccitazione l’intero Consiglio di Facoltà. E la preside, e tutte le gerarchie, e il Rettore, in un afflato collettivo verso il riscatto, finalmente, della storia dei sardi, verso la conquista dell’identità. Per sotterrare il principio di realtà, ‘Mommsen, adieu’, si intitola il Convegno, e dalla storia verrà tratto un film, con Scamarcio nella parte di Gialeto, e Monica Bellucci in quella di Eleonora d’Arborea.
Labile il confine tra la vita e i libri dei grandi autori citati, a salvare Giacomo dalla naia nell’ospedale militare, è la lettura de Il Maestro e Margherita, perchè raccontare storie aiuta a dipanare i problemi. E si collocano allo stesso modo, nel racconto, gli scritti di Giacomo, i romanzi, i saggi, ora citati da qualche personaggio che denigra l’eccessivo storicismo dell’autore, ora casualmente esposti nelle bancarelle di Napoli, ad attirare l’attenzione proprio dell’autore. Allo stesso modo si snodano, dentro la narrazione, le storie lunghe e brevi che danno forma al romanzo. Come La diga, racconto sardo pubblicato nelle pagine culturali del quotidian cittadino, e le storie narrate agli studenti durante le lezioni di Storia, quella su Julian Bell, nipote di Virginia Woolf, in Spagna durante la guerra civile. E la storia di Berlinguer a Carbonia, e le storie dei picchetti all’alba con la CGIL, e quelle che si raccontano a tavola, quelle vere, con l’uso dell’imperfetto, mischiate ai romanzi di Cohelo e Grazia Deledda. E il racconto della gita a Soleminis con Soddu, e le storie pornografiche lette al Bum Bum dal protagonista. Nel mentre la figura dello scrittore si delinea, e assume un ruolo sempre più centrale, intervenendo a fare il punto sui vari temi. A dare forma a una storia d’amore, evocata con trasporto sentimentale e, insieme, con sofferenza e disorientamento, di fronte alle alterne vicende degli affetti. E se manca una ragione filosofica per spiegare come lui non sia riuscito a rendere felice Anna, il legame è sempre forte, segnato ancora dalle storie che ricorda di averle narrato, la rivolta dei marinai portoghesi del ‘36, le storie della classe operaia armata e innamorata, nella Guerra di Spagna. Sentimentali i racconti della città, che sembra cambiare insieme ai giovani che l’abitano, dall’ingenuità degli anni Cinquanta, alle storie surreali e smaliziate del Boom economico, negli anni Sessanta. E ne esce arricchita l’immaginazione del lettore, che scopre via via come prende forma il metaromanzo, prima nelle definizioni di Giacomo, ‘Pompucci, è lui il metaromanzo, io non devo far altro che registrare’, poi nel racconto di storie, che descrivono la complessità del nostro vivere, la sua apparente assurdità. Una prosa cadenzata sul ritmo del dialogo, lo sguardo ironico e la leggerezza descrittiva, così vive il romanzo di Luciano Marroccu, nello scenario dato dal declino di questa società, che più non si riconosce nei valori e nei principi fondanti la comunità. Ma resta la curiosità dello studioso che ricerca nuove forme espressive, e un mondo interiore preparato alla difesa dello spirito democratico, alla difesa della sua cultura per vincere sul pregiudizio e sull’ignoranza.

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