Andrea Pubusa
Di una cosa possiamo essere certi, e cioè che se Soru avesse prestato fede alle sue promesse elettorali oggi la Sardegna, pur fra mille difficoltà, avrebbe una prospettiva e il centrosinistra avrebbe già cambiato pelle. Ricordate gli slogan della primavera del 2004: l’aspirante presidente diceva di voler dar voce ai sardi “dalla schiena dritta”; di voler avviare un processo d’innovazione e di ricambio del personale politico, mettendo pian piano ma con decisione al comando un nuovo gruppo dirigente. I sardi gli hanno dato fiducia votandolo in massa. Un successo che dava la forza necessaria a sorreggere un disegno così ambizioso in un mondo ormai caratterizzato a destra come a sinistra di piccole e grandi clientele, governate da un notabilato motivato soltanto dalla gestione del potere.
L’inizio è stato promettente. La scelta di Pigliaru e Dessì per due assessorati decisivi, la programmazione e l’ambiente, ha dato la sensazione di un primo passo, di un cuneo da allargare con l’immissione nei posti che contano di altri intellettuali ed esponenti del mondo politico culturale di riconosciuto rigore e competenza. Anche la scelta delle donne nel listino sembrava evocare uno “zapaterismo” alla sarda. Le prime mosse son parse confermare queste impressioni, pur fra non poche ambiguità. Poi si è man mano manifestato il vero volto di questa presidenza: liquidazione di Pigliaru e Dessì come evento emblematico della svolta. I sardi da preferire non son quelli con la schiena dritta, ma quelli pronti a piegarla a comando e a pagamento. L’arroganza e la solitudine hanno messo nell’angolo il sogno di un progetto collettivo.
Il resto è cronaca anche recente: il disinteresse per le regole e la legalità; la vocazione al comando solitario, la legittimazione del conflitto d’interessi, le ombre sulle gare e così via. Certo una differenza c’è: i vecchi gruppi dirigenti amavano la botteguccia, le piccole clientele. Soru ha una propensione invece per le grandi. Non a caso i suoi referenti nazionali sono importanti gruppi finanziari fuori dall’orbita del cavaliere. In questo ambiente, fortemente intriso degli ingredienti della vecchia politica anche se giocati su scala più alta, i vecchi gruppi hanno potuto rialzare la testa. Sentono una legittimazione per così dire morale a rivendicare il governo, che nel 2004 avevano perduto. E così, mentre il centrodestra diviene baldanzoso, nel centrosinistra i vecchi satrapi riescono a mobilitare perfino una parte della base del PD e del centrosinistra vogliosa di cambiamento, ma ostile alla monocrazia. La lotta di Soru contro di loro non assume il carattere di una battaglia per il rinnovamento, ma quella fra diverse aspirazioni al comando, che generano paralisi e sfascio. Noi elettori del centrosinistra che non vogliamo oligarchi né principi rimaniamo in mezzo al guado in una condizione di grave disagio, di testimonianza e di sostanziale impotenza.
Qualcuno, in quest’area variegata, suggerisce di formare un terzo polo fuori dal PD di Soru e Cabras e, ovviamente, in netto contrasto col centrodestra. L’idea ha una sua razionalità. Creare un punto di riferimento progressista, visibile e dotato di una qualche forza per imprimere alla politica regionale una spinta democratica, che vuol dire non solo ritorno alle regole costituzionali, governo forte e assemblea forte, coinvolgimento delle formazioni sociali e dei singoli nei processi decisionali, ma rimettere al centro un programma per i sardi. E’ una via percorribile, ma a condizione che le forze della sinistra riconquistino la loro autonomia di movimento dopo anni di sudditanza al Presidente, che i sardisti non rimangano nel limbo e divengano uno soggetto portante del progetto, che il raggruppamento metta in prima fila una nuova leva di dirigenti, senza che quelli più sperimentati si mettano da parte. Insomma, questi favoriscono con decisione e con sacrificio personale il rinnovamento.
Come si vede, se non tutte, molte di queste condizioni mancano e le storie recenti di queste forze, a partire dalla sinistra, e dei loro dirigenti non consentono di sperare in un rapido ravvedimento. Insomma, trovare una via d’uscita dallo sfascismo di Soru e alla resistenza dei suoi omologhi contraddittori è difficile. Tuttavia, la dinamica politica talora ha fatto miracoli. Ad una condizione però. Ed è che qualcuno prenda l’iniziativa. Pensiamoci. La pausa estiva favorisce la riflessione. Alla ripresa se ne può riparlare.
2 commenti
1 Enea
12 Agosto 2008 - 13:44
Ti ricordi, Andrea, la mia proposta nel comitato sulla statutaria? Sono convinto che bisogna partire da lì. Tutti i democratici, sardisti, autonomisti e indipendentisti, riformisti, socialisti, liberali, cattolici, ambientalisti e chi più ne ha più ne metta, per un unico obiettivo: ristabilire le regole della convivenza democratica e della libera manifestazione delle idee. Quella proposta rimane una buona alternativa, e davvero non ho pregiudizi verso coloro che dichiaratamente sono di destra, purchè abbiano in testa che le regole vanno rispettate anche quando si è manifestatamente potenti.
2 GIORGIO COSSU
14 Agosto 2008 - 21:46
Due rettifiche sull’analisi non è tanto la deviazione centralistica di Soru con personalità indipendenti, fatto vero, ma la scelta di persone cooptate per fedeltà, alcuni autori di politiche non di riforma e progressiste, oltre i tecnici affermati ma out da democrazia e politica come Gessa e altri .
Basta con la storiella delle donne come novità, à la Zapatero, la bontà politica dipende da disegno e scelte, non è la gnagnera della Prestigiacomo o le pose di Carfagna a fare novità, nè le banalità della Mongiu o la faccia dura della Barracciu, e certo non le sette donnine e vecchie zie di Soru, utili al sultano che strapazza i suoi. Questi giudizi fanno velo ad un esame più severo della cultura e politica contraddittoria di Soru, una cultura volta all’indietro su identità e nicchie, un eccesso di rigore privo di un progetto alternativo. Declinato anche in banali scelte di eccellenza alla moda, con l’esclusione del tessuto reale e di una serie di ventagli innovativi e di politiche territoriali su piani, che non sono l’usuale : l’interno contro la costa e la città, identità e servizi contro industria.
Il terzo polo non è in contrasto con la destra ma gli strizza gli occhi, e comunque nasce con la logica della somma di destre presentabili, fatte da piccoli feudi e gruppi personali e confusi, oscillanti tra destra e centro. I sardisti non possono essere portanti per la stessa confusione che li ha portati con Bossi, per una cultura chiusa e regressiva, contraddittoria per l’idea di scontro e di forza mentre si segue l’idea del prevalere di sfruttamento e centralismo, comunque pericolosi per le scelte di federalismo fiscale illusorio, estranei alle esigenze di una politica alta e di proposte nuove, portatori di quel populismo etnocentrico centrale del vuoto di risultati di crescita e di lacci di Soru. Oggi con sistemi sempre più collegati e interrelati serve una cultura non chiusa e alta in grado di trovare proposte e soluzioni condivise, di fondare la difesa degli interessi regionali non sulla forza, ma sul disegno cooperativo e sulla solidarietà
L’analisi della deviazione operata da Soru rispetto al riambio di persone con la schiena dritta, sebbene non sia nuova, mi sorprende rifatta dopo tanti fatti e discussioni, continuo a non capire quali attese positive potessero venire da forme di cooptazione di singoli fedeli su una linea improntata al rigore e una cultura regressiva. Che ci sia stato un contrasto sul centralismo non previsto non cambia il giudizio sul metodo e sull’assenza di un processo di selezione che desse autonomia e forza anche di proposta alle scelte è non solo evidente ma poi dimostrato dalle scelte di governo della progettazione integrata ad es. Trovo del tutto infondata e anzi sgradevole indicare il listino di donne come una novità politica, e non un segno evidente dei nani e ballerine, o famigli e vecchie zie. Ogni volta che si vuole evitare il confronto ed il cambiamento politico, è usuale la cooptazione di donne e giovani, che non costituisce un segno nuovo, ma di ulteriore ostacoli e confusione.. . Una tesi che porta a ignorare il disegno o meglio la visione culturale e politica un misto di rigore e la regressione ad un mitico stato identitario fatto di nicchie, di attrattività, di conservazione localistica contro la globalizzazione, insieme ai centri di eccellenza di avanguardia .
Concordo sul piccolo cabotaggio dei vecchi politici capi di gruppi legati da mediazioni e scambi e sull’uso di un metodo autoritario e di scambio ad alto livello di Soru. Contrasti che ci trovano in mezzo al guado ma da cui non si esce con un terzo polo somma di partiti. Si può uscire con una linea rigorosa di riforme e di istituzioni pluralistiche che non sono la centralità del Consiglio e dei partiti, ma istituzioni e forme aperte per la selezione di strategie e progetti per lo sviluppo, non dividendo la possibile classe dirigente su questioni di generazione e genere, ma su confronti selettivi, aperti alla ruling class, insieme di competenze e esperienze, su cultura e strategia di riforme: un disegno coerente che rappresenti i valori e i contributi dell’area di centro-sinistra aperta alle riforme.
Ma non capisco l’apertura di credito ad altri i cui metodi non sono diversi e la cui pochezza politica è ancora lontana dal consentire un qualche livello di dialogo.
La centralità del Consiglio non si può perseguire con questa rappresentanza. Non è idea su cui si muovono le attese popolari e i bisogni di democrazia.
Questione democratica significa oggi partire non da somma di gruppi di interesse, ma dalle contraddizioni del, PD, dentro un’area pluralista e disponibile al mutamento di linea ed al ricambio di classe dirigente, che non sta dentro l’ipotesi del terzo polo.
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