Gianfranco Sabattini
E’ fuor di dubbio che l’Italia vanti attualmente la pressione fiscale più elevata d’Europa ed una delle più alte al mondo. Un fatto almeno in parte dovuto, secondo stime attendibili, al primato dell’Italia nell’avere contribuenti che non pagano le imposte sui redditi guadagnati per mancata dichiarazione. Davanti a tutto ciò è spesso emerso, solo però annunciato, l’impegno di adottare una serie di misure per risolvere o attenuare l’evasione fiscale, come pure il problema dell’elusione fiscale che avviene, ad esempio, quando il titolare di un’attività produttiva può “scaricare” sul conto economico dell’attività l’IVA degli acquisti personali. In tali misure correttive è generalmente riflessa l’idea che sia utile ridurre la polverizzazione dei contribuenti, la complessità della burocrazia fiscale e l’incertezza degli obblighi fiscali.
Si tratta di considerazioni che si collocano prevalentemente dal lato dell’erario; esse mancano di cogliere due elementi che si collocano invece dal lato dei contribuenti. In primo luogo, che alla base dell’evasione fiscale vi sono influenze di contesto sociale. E, in secondo luogo, che una possibile riforma del sistema fiscale non può avere successo facendo solo affidamento sulla rimozione o compressione di discutibili comportamenti rispetto al fisco tramite il ricorso ad una più efficiente organizzazione della funzione fiscale dello Stato o ad una maggiore attività repressiva dell’evasione o dell’elusione. Ciò che serve è, invece, la rimozione alla radice dell’insoddisfazione dei contribuenti, che sorge quando persistono delle iniquità distributive prive di ogni possibile attenuazione futura.
In altre parole, la persistenza di una diffusa percezione circa l’esistenza di irreversibili situazioni di ingiustizia sociale è la radice della frustrazione politica dei contribuenti, che li spinge sempre più a sottrarsi agli obblighi fiscali e a pensare che “non è bello pagare le imposte”. Tale frustrazione politica riguarda la qualità della struttura del sistema fiscale e le modalità con cui avviene la copertura finanziaria dei provvedimenti anticrisi. Ma riguarda soprattutto la qualità del contesto istituzionale che, nel suo insieme, appare ai cittadini contribuenti inadeguato ad appagare i loro ideali di giustizia e le loro aspettative sociali future. La diffusione di sentimenti più favorevoli al quadro istituzionale può infatti avvenire, non solo con l’attuazione di politiche pubbliche strumentali alla realizzazione di una più avvertita giustizia fiscale, ma anche con il perseguimento di una crescita del sistema sociale idonea ad allargare per tutti la gamma delle opportunità.
In sostanza, per una più corale adesione all’accoglimento di maggiori obblighi fiscali occorre coniugare giustizia fiscale e crescita del sistema sociale. E sin tanto che nulla accade in questa direzione, è improbabile che una riforma del sistema fiscale, attraverso misure orientate unicamente ad alleviare il peso delle imposte, possa riuscire a sortire gli esiti efficaci che tutti si auspicano. Per contro, sin tanto che “soffia un vento qualunquista” in direzione opposta a riforme strutturali di lungo periodo coerenti con l’esigenza di correggere le disuguaglianze sociali nate dalla diffusa pratica dell’evasione e dell’elusione delle imposte, prenderà sempre più corpo la negazione di qualsiasi ruolo positivo della politica e con essa il rischio di una strozzatura del sistema democratico: la libertà di tutti infatti dipende dalla disponibilità di tutti a pagare le tasse.
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