Andrea Pubusa
Dopo anni reincontro Paolo Maninchedda. Avevamo fatto insieme, con tanti altri, la battaglia contro la Statutaria di Soru. Una delle poche discussioni politiche, in questa isola di anime (politiche) morte, condotta con passione a livello di massa. Lo incontro per riparlare di Statutaria. Non in un dibattito culturale, ma nella sede del Consiglio regionale. Mi ha invitato ad un’audizione, così si chiamano nel linguaggio parlamentare, della prima Commissione che lui presiede. Fatalità ha voluto che insieme a me sia stato sentito anche Pietro Ciarlo che di quel testo scriteriato fu, in qualità di consulente, l’autore, insieme a Demuro e ad altri dell’ateneo turritano, sentiti dopo di me.
Non nego una certa sorpresa ad inizio lavori, quando Maninchedda informa che la Commissione non si misura su un nuovo testo, ma parte da quello di Soru. Ma come? Si assume a base proprio il testo non approvato a seguito del referendum popolare? Consultazione di cui proprio Maninchedda fu uno dei più decisi promotori e sostenitori. E così Ciarlo ne parla come se nulla fosse accaduto intorno a quella legge, anziché scusarsi di aver consigliato, con altri, Soru ad andare avanti a testa bassa. Lo hanno spinto ad una promulgazione che ha dato alla Sardegna il non invidiabile primato di una pronuncia della Corte costituzionale, che non ha annullato la Statutaria varata da Soru, perché - battuta al referendum - non è mai divenuta legge. E - come san tutti - la Corte annulla leggi approvate secondo le procedure costituzionali, regolamentari e legislative e non testi, promulgati, con la forza dell’arroganza, ma fuori dal diritto.
Che dire della riesumazione della Statutaria sepolta dal referendum? Voglio essere buono. Penso che Maninchedda assuma la bozza di Statutaria di Soru come base, proprio per fare il contrario di quanto fece l’ (aspirante) autocrate di Sanluri, decretando anche - per una sorta di legge del contrappasso - la fine della sua presidenza, che voleva senza limiti.
Ed allora che fare? Una statutaria ispirata ad una filosofia esattamente capovolta rispetto a quella di Soru. Se non lo si vuole ripudiare, temperare il presidenzialismo eliminando la clausola che lega la vita dell’Assemblea a quella del Presidente. Anche il sistema USA conosce la figura del vicepresidente e i meno giovani ricordano che dopo lo scandalo Watergate e le dimissioni di Nixon e del suo vice, nel 1974 divenne presidente per volontà parlamentare Gerald Ford, che condusse gli States alle elezioni. Occorre poi eliminare tutte le offese inferte alla rappresentanza in questi ultimi vent’anni: via listini, premi di maggioranza e simili amenità. Un sistema proporzionale ben corretto da una seria soglia di sbarramento, sul modello tedesco, potrebbe rispondere alle esigenze di governabilità, che si ottiene raffrorzando l’insieme degli organi regionali e non solo il presidente. Un sistema siffatto consente poi quelle convergenze sulle grandi questioni della Sardegna, che il presidenzialismo e il bipolarismo impediscono sull’altare della conflittualità permanente fra i poli.
La Statutaria di Soru legittimava, all”art 27, il conflitto d’interessi del presidente e degli assessori. Le loro imprese potevano partecipare alle gare da loro stessi indette come organi regionali. Che bizzarria un contratto fra la società del Presidente e il Presidente stesso! Questi poteva svolgere due parti in commedia: quella dell’imprenditore e quella di presidente della Regione. Occorre, invece, eliminare questo cancro della democrazia con una norma che vieti qualsiasi interferemza degli interessi personali nell’esercizio delle funzioni istituzionali.
Un capitolo nuovo ed originale può venire poi dalla previsione degli istituti partecipativi. Anzitutto col rinforzo dell’attuale disciplina sarda sui referendum (che è all’avanguardia dopo le riforme introdotte ai tempi della Giunta Melis). Si può eliminare, ad esempio, il quorum deliberativo nei referendum d’indirizzo e non computare gli astenuti in quelli abrogativi. Si possono poi introdurre una serie di istituti partecipativi già studiati in letteratura, ma anche sperimentati positivamente. Il bilancio partecipato, ad esempio. O il Town Meeting, o ancora prevedere decisioni assunte direttamente dai cittadini, scelti a campione con appropriati sorteggi per deliberare o confermare il trattamento economico dei consiglieri regionali e di altre importanti cariche come la presidenza degli enti regionali. Non sarebbe questa una novità assoluta nel panorama istituzionale nazionale? Non è una misura concreta di moralizzazione e lotta ai costi della politica?
Nessuno spazio nella Statutaria alla regola del pareggio di bilancio, come qualcuno ha suggerito, perché non può ingessarsi in una teoria economica neoliberista la politica economica regionale.
Ci sono poi tante altre questioni da esaminare, ma sarebbe un buon segno dare a questa legge una connotazione che tenda a fare del continuum fra corpo elettorale, partecipazione e organi rappresentativi lo strumento per rendere effettiva “la sovranità” del popolo sardo, anziché proclamarla demagogicamente e astrattamente in slogans o ordini del giorno. Una partita questa della Statutaria su cui occorrerebbe aprire un ampio dibattito pubblico. Ma anche questo, le débact public, è un istituto di democrazia partecipativa… una chimera in Sardegna!
2 commenti
1 giovanni03
5 Aprile 2012 - 21:31
si torni pure al proporzionale puro e ai ‘pizinni’ passati in giunta dagli assessori contro il presidente! Ma quanti hanno votato in favore del referendum?
2 admin
6 Aprile 2012 - 08:30
Da Andrea Pubusa a Giovanni
Al referendum sulla proposta di Statutaria avanzata da Soru hanno votato più di tre elettori e due su tre hanno votato contro. Quanto basta, secondo la legge, a non approvarla, come ha detto la Corte costituzionale. Ma, prima, lo avevano detto alcuni di noi, inascoltati, all’allora Presidente, che invece ha preferito i consigli dei costituzionalisti di corte, giocandosi la presidenza.
Sono stato 10 anni consigliere regionale e per cinque ho presieduto la Commissione per le questioni istituzionali e non so cosa siano i pizzini.
Penso che neppure in Germania li conoscano, eppure i tedeschi hanno un sistema proporzionale corretto da una soglia di sbarramento del 5%. Se ne può parlare senza scendere ai luoghi comuni? Ciò che è sotto gli occhi di tutti è il forte scadimento della nostra democrazia neglli ulltimi vent’anni in corrispondenza delle scelte presidenzialistiche e bipolari, che non garantiscono governabilità e convergenze unitarie quando le grandi questioni lo richiedono. Forse una migliore conoscenza delle vicende della Sardegna e dell’Italia potrebbero aiutare un dibattito proficuo su queste questioni.
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