Per la Camusso un altro mondo è possibile

30 Marzo 2012
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Gianna Lai

L’altra sera Susanna Camusso era a Cagliari e davanti ad una folla, in gran parte di studenti, ha pronunciato un discorso, in cui è oresente una riflessione che affronta il presente, ma và oltre; è un vero e proprio programma di fase “dalla parte dei lavoratori”. Eccolo nella sintesi di Gianna Lai.

Ha detto che un altro mondo è possibile Susanna Camusso, alle centinaia di studenti che affollavano ieri l’Aula magna di Scienze politiche, e che il più grande spreco del liberismo è sciupare le capacità dei giovani. Perchè, chi oggi governa l’Italia, pensa di essere in possesso di tanto scibile da non aver bisogno della collaborazione di altri, dei giovani in particolare, fortemente colpiti da disoccupazione e lavoro precario. Se anche l’Ocse dice che noi siamo tra quelli a lavoro più flessibile in , mai come oggi, nel 2012, è crollata la possibilità di crescita dell’Italia, insieme alla capacità di redistribuire la riccEuropahezza. Pagare sempre meno il lavoro, investire sempre più in finanza anzichè in lavoro, mentre gli Usa tornano di nuovo al lavoro industriale. Perchè crescita è se si ricomincia a creare posti di lavoro, stabili e tutelati, ha proseguito la segretaria della CGIL, contro la tendenza degli ultimi tre anni, durante i quali è venuto meno un numero di posti di lavoro senza precedenti in questo dopoguerra. Si è investito non sul lavoro ma sulla precarietà del lavoro in questi 15 anni, non nel sistema produttivo ma in attività finanziarie e immobiliari, che non creano ricchezza ma, semplicemente, spostano ricchezza. E si è creato un esercito di senza lavoro, che peggiora le condizioni di chi lavora, e un precariato che ha ridotto drasticamente le tutele, determinando insicurezza, più di quanto non faccia la crisi mondiale in sè.
Un altro mondo è possibile, se si inverte la rotta. In primo luogo, mettere in relazione istruzione e mercato del lavoro, partendo dall’idea giusta della formazione permanente. Oggi istruzione e lavoro sono due mondi che non comunicano, ha detto Susanna Camusso, sapendo di toccare un argomento centrale nel dibattito interno all’Università, specie dopo che si è abbassato il tasso di istruzione. Il Boom economico degli anni sessanta fu segnato da un cultura di lotta all’analfabetismo, dall’istruzione obbligatoria a 14 anni in una Scuola media unificata, per tutti cioè, mettendo in relazione diritto allo studio e qualità dello sviluppo. Che ha determinato una straordinaria istruzione tecnica e professionale, un sapere tecnico in un percorso di istruzione. Oggi assisitiamo ad un processo reversivo, l’obbligo da 16 a 15 anni, e senza neppure garantirne la fruibilità, se a 14 anni può già insinuarsi l’apprendistato. Sarà debole in tutta la sua esperienza di lavoratore il ragazzo che entra nel lavoro a 14 anni, mentre è necessario partire invece dall’istruzione, investendo in qualità e non in risparmio, inserendo il lavoro nel percorso di istruzione obbligatoria fino a 18 anni. Perchè siamo il paese europeo con meno laureati, dove, anzi, il titolo di studio si è costretti a nasconderlo, quando si cerca un lavoro. In secondo luogo intervenire in modo radicale sul fisco, se la rendita paga meno dell’impresa e del lavoro, bisogna cambiare rotta. Il peso sul lavoro è così alto che induce l’impresa a cercare scorciatoie, sempre sostenute dal governo: il modo con cui agisce il fisco, infatti, determina l’agire degli investimenti. Se il liberismo ha privilegiato gli investimenti nella finanza a danno del lavoro, bisogna subito defiscalizzare il lavoro, spostando le risorse da dove ci sono a dove non ci sono. In terzo luogo, ci salva la cultura delle regole, perchè la relazione fra le regole e i comportamenti è la base della democrazia. Bisogna cambiare questo Governo, che vuole mandarci in pensione a 70 anni, garantire lavoro sicuro e intervenire sugli abusi, intanto ampliando gli amortizzatori sociali, che attualmente non sono garantiti a tutte le forme della precarietà. E porre in relazione la lotta alla precarietà con l’ampliamento degli amortizzatori sociali, perchè si possa accedere alle stesse forme di sicurezza, a un welfare per tutti. E definire un modello organizzativo di impresa con cui confrontarsi, dopo il venir meno il toyotismo. Non hanno una teoria organizzativa i teorizzatori del lavoro flessibile, semplicemente si fondano su lavoro tutelato o non tutelato, su un’idea di sviluppo a basso costo, di tutele a basso costo, a partire dalle dimissioni in bianco. Ed anche la possibilità di avere giustizia, a seguito di un comportamento illegittimo, è diventato privilegio nel nostro paese. Ma se, come dice il vescovo, i lavoratori sono persone, non merce, ha avuto un merito questa discussione, dice concludendo Susanna Camusso tra gli applausi dei giovani, abbiamo ripreso a parlare di lavoro, di diseguaglianze che crescono se non si pone al centro il lavoro, di un lavoro che ha costruito nel nostro paese ricchezza, uguaglianza e diritti, e che ancora ne garantisce progresso e democrazia.

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