Andrea Pubusa
Come dar torto alla segretaria generale della CGIL, quando rilancia contro il governo sull’art. 18? Ieri era a Cagliari, dove ha partecipato ad una affollata assemblea per la presentazione di un libro sul precariato nato dalla collaborazione tra il sindacato e l’Ateneo sardo. Susanna Camusso ha detto con fermezza: “Crediamo che il governo abbia sbagliato a forzare, a voler chiudere la trattativa in questo modo e sarebbe meglio che si rendesse conto che non ha incontrato il consenso né nel Paese né tanto meno tra i lavoratori, quindi sarebbe meglio correggere che fare una prova di forza“. E, fra il consenso generale, ha soggiunto: Contro questa formulazione dell’articolo 18 “continueremo all’infinito. Siamo molto determinati perché al licenziamento illegittimo deve corrispondere una sanzione, e l’unica che ha un effetto deterrente è il reintegro. Questo abbiamo chiesto al governo e chiediamo ora al parlamento, è la cosa su cui continueremo ad insistere“.
Il problema è quello della deterrenza, ma non solo. C’è una questione di civiltà giuridica coinvolta nella proposta del governo. Dall’epoca dei Lumi ad oggi il pensiero democratico in tutte le sue varianti ha lavorato a mitigare i poteri pubblici e privati. L’idea di fondo è che non possono esistere poteri assoluti, privi di temperamenti legislativi e liberi dal sindacato giurisdizionale. Principio di legalità, legittimità dell’esercizio dei poteri e garanzie giurisdizionali son la triade che attraversa i quasi duecentocinquant’anni che ci dividono dalla Grande Rivoluzione del 1789. Dalla superba pretesa di ricondurre nell’alveo della legge il potere statuale nasce lo “Stato di diritto” e la mirabile idea che lo Stato, una volta posta la legge, la deve rispettare e, se la viola, è soggetto anch’esso al Giudice, terzo e indipendente. “Esiste pure un giudice a Berlino“, dice il mugnaio Arnold al potente imperatore Federico II, il Grande, di Prussia, suo vicino di podere nella reggia di campagna di Sans-Souci, che pretendeva di risolvere con l’arma del potere e non del diritto una controversia di confine.
Si dirà che il potere dell’imprenditore non è pubblico, ma privato, non è un’attribuzione dell’ordinamento funzionale all’interesse pubblico, ma un potere privato che nasce dagli investimenti e dal rischio di mercato ed è rivolto al profitto. Ma anche chi non aderisca all’idea vera e affascinante che anche il capitale è una produzione sociale, ha, nell’area liberaldemocratica, ammesso che, in un ordinamento democratico, anche i poteri privati devono essere mitigati dalla legge e soggetti, in caso di esercizio illegittimo, al sindacato e alla sanzione del giudice. Di più, sia nel caso dei poteri pubblici sia di quelli privati, la tutela giurisdizionale dev’essere effettiva, cioé deve tendere a dare al soggetto, di cui il giudice riconosca le buone ragioni, il bene della vita cui legittimamentre aspira. Col testamento tuo nonno ti lascia il suo orologio e tuo cugino se n’è appropriato; se ricorri al giudice e questi in sentenza dice che l’orologio è tuo, l’ordinamento deve assicurarti l’acquisizione dell’orologio. Il risarcimento scatta solo ove la reintegrazione in forma specifica non sia possibile. Se l’orologio è stato perduto da tuo cugino, questi dovrà allora risarcirti il danno. Ma solo se la restituione del bene è impossibile.
Nel diritto pubblico, l’illegittimità di un provvedimento amministrativo, se impugnato, comporta l’annullamento da parte del Giudice amministrativo. Una sanzione terribile, perché elimina il provvedimento dall’ordinamento fin dalla sua nascita e dà diritto, se c’è stato danno, anche al risarcimento. Ho avuto l’avventura intellettuale e professionale di essere parte nell’ultimo quarantennio della battaglia di civiltà giuridica che ha portato al pieno risarcimento del danno a seguito dell’annullamento degli atti amministrativi. E quale idea ci ha guidato? La semplice convinzione che un ordinamento civile non può limitare la tutela dei diritti e degli interessi legittimi. L’effettività della tutela giurisdizionale è un corollario di quel mirabile articolo 24 della Costituzione, che dice “Tutti possono agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi legittimi“.
Ora, come non vedere, nella proposta Monti-Fornero sull’art 18, un ritorno a teorie vecchie di oltre 200 anni, l’idea che esistano poteri affrancati dalla giurisdizione. Se l’imprenditore ti licenzia, adducendo un presupposto economico che davanti al giudice non riesce a provare e si rivela inesistente, come si può affermare che il giudice non debba annullare il licenziamento? E come negare che il giudice, su domanda del lavoratore, debba ripristinare la situazione turbata dall’esercizio illegittimo e infondato del potere di licenziare, ossia reintegrare nel posto di lavoro il dipendente? E’ come dire che, se per motivi aziendali (contrasti sulla sua gestione) un jmprenditore ammazza il socio in affari, il giudice possa irrogare solo una pena pecuniaria e non anche la reclusione.
Come si vede, siamo in presenza di un’aberrazione logica prima che giuridica. I reazionari di tutte le risme dicono che la CGIL è retrò, la palla al piede della modernizzazione del Paese. In realtà, come sempre, i lavoratori con le loro organizzazioni più consapevoli e combattive, difendono principi di civiltà giuridica e di civiltà tout court. La modernizzazione di Monti e Fornero ci porta indietro nel tempo, a quel triste periodo in cui l’Italia non aveva ancora la Costituzione repubblicana, nata dalla Resistenza, democratica perché fondata sul lavoro.
Forza Susanna e Maurizio, non mollate! Siamo con voi contro chi vuol licenziare una parte delle nostre libertà.
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