Piero Gobetti, un liberale libertario e rivoluzionario

5 Marzo 2012
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Gianluca Scroccu

Molti oggi si definiscono liberali, a destra e a sinistra. Tutti si vantano di esserlo, Berlusconi, che ritiene espressione di liberalesimo anche il bunga-bunga, o Marchionne che, in nome di esso, licenzia e sfrutta gli operai e si autoattribuisce un compenso col quale potrebbe mantenere due degli stabilimenti itaiani che monaccia di chiudere. Gianluca Scroccu ci parla invece di un liberale vero, Piero Gobetti.  

A Piero Gobetti, esule in Francia nel ricordo della sua solitaria sfida al fascismo e della sua lezione di intransigenza etica e politica. Al cimitero monumentale di Père Lachaise, una delle meraviglie di Parigi, tra le tombe di Jim Morrison, Modigliani, Proust, Oscar Wilde, s’incontra anche il sepolcro di una delle figure più importanti e incredibili della cultura italiana del Novecento. Un giovane di 25 anni, morto nella capitale francese il 15 febbraio del 1926, che in una così breve esistenza riuscì ad emergere come una delle voci più coraggiose nell’opporsi al totalitarismo fascista, una vera e propria spina nel fianco di Mussolini che non esitò infatti a farlo perseguitare con pestaggi e violenze.
Come ha messo in evidenza Norberto Bobbio, un uomo particolarmente influenzato dalle opere gobettiane, difficilmente si può incontrare nella storia contemporanea italiana l’esempio di una personalità altrettanto capace di esprimere in così poco tempo una tale mole di produzione intellettuale. Fondatore di riviste come «La Rivoluzione Liberale», su cui scrissero i più grandi nomi del panorama culturale dell’epoca, da Croce a Gentile, da Einaudi a Salvemini, Gobetti, amico ed estimatore di Gramsci, fu uno straordinario catalizzatore di personalità eterogenee che collaborarono ai suoi progetti editoriali con entusiasmo e partecipazione. Storia, politica ma anche letteratura, teatro, pittura e critica letteraria: tutti i campi principali del mondo intellettuale italiano del primo ventennio del Novecento vennero toccati da questo giovane esile quanto vigoroso nel suo impegno, capace di dar vita ad una casa editrice che in pochi anni pubblicò alcune opere straordinarie come «Ossi di seppie» del futuro Nobel Eugenio Montale e che ebbe sempre l’obiettivo di sprovincializzare la cultura italiana per renderla più europea e aperta verso nuove contaminazioni. Una produzione che purtroppo è andata perdendosi in questi decenni ma che ora finalmente viene riprodotta in edizioni anastatiche di pregevole fattura edite dalla casa editrice Edizioni di Storia e Letteratura. Promossa dal Comitato delle edizioni gobettiane, presieduto dal professor Bartolo Gariglio, la collana pubblicherà nei prossimi dieci anni l’intero catalogo delle opere gobettiane, consistente di 114 volumi. I primi quattro sono appena usciti: «Risorgimento senza eroi» dello stesso Gobetti, con uno scritto del Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e una postfazione di Giancarlo Bergami; «Io Credo» di Giuseppe Prezzolini, con una postfazione di Emilio Gentile; «La libertà in Italia» di Don Luigi Sturzo, con postfazione di Bartolo Gariglio; «La Libertà» di John Stuart Mill con postfazione di Nadia Urbinati. La ripubblicazione di questi volumi consente non solo di riprendere e sistematizzare il pensiero gobettiano e quello dei suoi collaboratori, ma anche di vederne in prospettiva la vitalità e la modernità in relazione ad alcune problematiche dell’attuale situazione politica ed economica.
Si pensi ad esempio al ruolo delle giovani generazioni e al tentativo di conquistare un posto centrale in un momento di crisi politica ed istituzionale, un tema molto attuale tanto nell’Italia degli anni Venti del Novecento che in quella del XXI secolo.
Gobetti apparteneva infatti ad una generazione di giovani intellettuali, nati e cresciuti durante l’età giolittiana e la Prima Guerra Mondiale, profondamente insoddisfatti della realtà che li circondava. Egli riteneva, come molti suoi coetanei, che fosse necessario liberarsi dei trasformismi e dei compromessi della classe dirigente al potere, ad iniziare dal detestato Giolitti, per arrivare ad un rinnovamento profondo, etico e spirituale insieme. Da questo punto di vista il fascismo, di cui fu uno strenuo e coraggioso oppositore, rappresentava a suo avviso l’ultima involuzione di un Paese immaturo, dove la lotta politica non era mai riuscita a sprigionare quegli elementi di libertà e modernità nei rapporti tra classi dirigenti e cittadini invocati come i cardini di una nazione veramente compiuta. L’imperativo era quello di modernizzare l’Italia, per farla diventare finalmente matura e civile come era accaduto agli altri Stati europei, ad iniziare dalla Francia e dalla Gran Bretagna. La storia precedente, quel “Risorgimento senza eroi” che doveva essere rivisitato e reinterpretato alla luce di queste nuove aspirazioni, andava pertanto superata da questo nuovo attivismo e dal rifiuto verso qualsiasi forma di servilismo nei confronti di singoli uomini o gruppi di potere consolidati. La sua insofferenza e la sua denuncia contro le oligarchie dei partiti politici, vittime delle logiche burocratiche e spesso regno di accordi di bassa lega funzionali allo svilupparsi di pratiche di potere poco trasparenti, aprono dunque una prospettiva interessante per una riflessione di lungo periodo capace di ripresentarsi, seppur sotto una diversa angolazione, anche ai nostri giorni. Tutto questo grazie all’intransigenza morale di un giovane di poco più di vent’anni che non aveva paura di sfidare i poteri costituiti e che non a caso scelse, come motto per la sua casa editrice, una frase come “Che ho a che fare io con gli schiavi?“.

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