Andrea Pubusa
Possiamo fare un bilancio della visita di Napolitano in Sardegna? Una visita presidenziale è di per sé un avvenimento positivo. Consente un contatto ravvicinato con le popolazioni e i loro problemi, importante sopratutto in un momento di grave crisi. Nell’Isola intere aree (dal Sulcis-Iglesiente a P. Torres) sono sprofondate nella povertà. E i pannicelli caldi della “flessibilità” in ingresso non danno alcuna speranza di reintegro dei lavoratori licenziati o senza lavoro.
Le visite, coi loro immancabili riti, sono anche una rappresentazione della realtà, della qualità dei gruppi dirigenti del loro rapporto con la popolazione. Lo è stata anche la visita dei Napolitano nell’Isola? Rispondete voi al quesito, alla luce anche della contestazione di piazza del Presidentte. Si tratta di un fatto di grande novità. Di solito il Presidente della repubblica è tenuto fuori da queste manifestazioni. E la ragione è semplice. Da noi il Presidente sta super partes, non è titolare d’indirizzo politico di maggioranza. E’ il custode della Costituzione e questo lo rende ben accetto alla popolazione. Ma questa volta non è stato così. Napolitano “è sceso in campo”, non fa l’arbitro, con Monti forma sostanzialmente un tandem di governo. E’ espressione di un sistema di governo che dalle centrali mondiali ed europee del grande capitale finanziario, oramai senza infingimenti, detta l’agenda e le politiche degli Stati. E’ giocoforza che, assumendo questo ruolo, il Presidente non sia esentato dalla critica alla politica del governo. Napolitano ha mostrato evidente fastidio verso le contestazioni, specie a Cagliari, ma oggi tra il Capo dello Stato e il governo c’è immedesimazione, formano così un unico bersaglio. Il Presidente deve prenderne atto, è conseguenza della sua scelta e non può lamentarsene.
L’altro elemento di novità, almeno nella sua evidenza, è la rottura verticale della società. Una spaccatura di classe. Negli anni ‘80 suscitò incredulità e polemiche Peter Glotz, quando parlò della “società dei due terzi”, di cui Ralf Dahrendorf ha poi sottolineato i rischi per le moderne democrazie. In questa società due terzi godono dei benefici della modernità e del benessere, mentre un terzo ne rimane fuori, escluso, condannato all’emarginazione, “vite di scarto”, per dirla con Zygmunt Bauman. Nei giorni scorsi al cospetto del Presidente è emerso che questo rapporto in Sardegna si è modificato. Forse non sono i 2/3 dei sardi s star male, ma certo sono più di 1/3, se consideriamo la sofferenza anche di quella parte protetta che però mantiene i figli, precari o disoccupati. Nella rappresentazione del rito presidenziale a Cagliari chi protestava faceva parte di questa ampia parte della società precipitata nella povertà o nell’area di sofferenza.
E chi è andato a teatro al cospetto del Presidente che ruolo ha svolto in scena? I dirigenti delle istituzioni sarde hanno mostrato di rappresentare i ceti parassitari e quelli protetti dell’Isola. Neanche Zedda, che è espressione di un partito extraparlamentare di sinistra è sfuggito a questo ruolo. Da buon figurante ha rappresentato una parte della società che, pur enunciando astratti slogans democratici, cerca nella politica ruolo e agio. E il popolo degli esclusi? Quello non aveva rappresentanza in teatro, neppure nel pubblico, accuratamente selezionato. Si autorappresentava in piazza con cartelli, striscioni e slogans. Un popolo sempre più ampio e senza rappresentanza politica, proprio come quel terzo di cui ci parlò, suscitando scandalo, Peter Glotz un quarto di secolo fà.
Si poteva mandare in scena qualcosa di diverso? Qui emerge una difficoltà reale. Com’è possibile dar voce a ceti sociali, che non hanno rappresentanza politica? Un rompicapo (da girare ai partiti e sindacati per la soluzione). Bisogna farli partecipare direttamente. Ma questa presenza è pericolosa. Se in scena si rappresnta una farsa, è difficile dare spazio a ruoli drammatici. Fra i Cappellacci e i Zedda come inserire i lavoratori licenziati o i precari o ancora i senza lavoro? No, è proprio impossibile mettere insieme farsa e dramma. La sceneggiata presidenziale ha rappresentato meglio di tante parole la realtà sarda, sempre più divisa tra insclusi ed esclusi, tra rappresentati e no. I primi a teatro insieme al Presidente, coi simboli del potere, gli altri per strada con la loro disperazione.
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