Gianna Lai
Caro Presidente, (si potrebbe niziare così, se Lei mai leggesse le cose scritte dai sardi dopo la sua visita), ma se “protestare è legittimo fino a quando non si sconfina nell’illegalità”, quando, secondo Lei, si oltrepassa questo confine? Di sicuro in questi giorni in Sardegna si è sconfinato nell’illegalità, se la gente veniva identificata sui pullmann e sui treni per essere costretta a scendere e impedita di raggiungere Cagliari in occasione della Sua visita: era illegale che partecipasse all’evento, e manifestasse sofferenza e disperazione alla massima rappresentanza dello Stato italiano, apparentemente sollecita e attenta, in televisione, ai problemi dei lavoratori? Come mai, per evitare possibili incontri ravvicinati con la sofferenza e il dolore, i carabinieri e la polizia hanno avuto mandato di impedire ogni partecipazione popolare che potesse turbare il rispettoso cerimoniale? Era di questo che aveva bisogno politicamente oggi la Sardegna, oppressa da 100mila disoccupati, aziende chiuse nell’industria e nell’agricoltura e nella pastorizia, una volta vietato ogni intervento pubblico, che ne possa alleviare la crisi, perchè qualificato dall’Europa aiuto di Stato? Che si tratti di energia a basso costo per l’industria o di prestiti a agricoltori e contadini e pastori, l’Europa che impone quote a agricoltori e allevatori che, insieme alle banche, strozzano l’economia della Sardegna? Perchè non entrare nel merito dei nostri grandi problemi e ascoltare anche la gente oltreché, giustamente, sindacati e isituzioni? Serve a rimuovere i problemi liquidare la protesta in termini di ordine pubblico, anzi affrontarla da subito come tale, fin da quando la nave dei pastori è sbarcata per la prima volta a Civitavecchia lo scorso anno? Ma il Presidente non si è formato alla scuola della Costituzione, che considera il conflitto sociale momento alto della partecipazione popolare, strumento fondamentale della democrazia in un paese moderno, in grado di contribuire alla crescita e allo sviluppo economico e sociale del Paese, così come è stato del resto per l’Italia del secondo Novecento? Allora i riti grotteschi delle celebrazioni, mentre la Sardegna insieme all’Italia rotola verso una crisi irreversibile, vanno rimossi, e va dato spazio a chi ha veramente qualcosa da dire. E’ per questo che i giornali registrano una scarsa partecipazione popolare nelle strade a ricevere e applaudire il Presidente, lo abbiamo vissuto lontano da noi, soprattutto dopo i suoi commenti alle contestazioni, più vicino a Monti che dice “i provvedimenti sul lavoro verranno presi anche senza il consenso delle parti sociali”, più vicino all’irresponsabilità di Veltroni e, quasi, all’arroganza della Marcegaglia.
Ripensi alla sua visita in Sardegna, caro Presidente. Avrebbe potuto toccare con mano un pezzo importante dell’Italia di questi 150 anni, non ancora del tutto rassegnata alla povertà e al disastro economico e sociale che incombe sul Paese. Fatta di persone che, a centinaia di migliaia sono presenti alle numerosissime manifestazioni sindacali e di protesta organizzate in questi decenni nell’Isola, secondo una tradizione popolare molto forte in tutta l’Italia. Così come ci viene dal Risorgimento, dalla Resistenza, dal Movimento Operaio e popolare inutilmente, direi strumentalmente e ritualmente, ricordati in occasione della Sua visita, senza cioè alcun riferimento alle donne e agli uomini in carne ed ossa di oggi, quelli che stavano fuori dalla porta, in strada con cartelli e striscioni.
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