Quattro domande al Presidente Napolitano

21 Febbraio 2012
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Amsicora

Cosa intende dire il Presidente Napolitano quando, nel Municipio di Cagliari, afferma: “La coesione sociale è importante per la crescita del paese e non significa immobilismo ma mettere in piedi un sistema di welfare e sicurezza sociale diverso da quello che è stato creato in passato”. Vuole riprendere il concetto enunciato sull’art. 18 da quell’imbelle di Veltroni, per il quale è nuovo tutto ciò che viene da destra?
E cosa intende il Presidente nel sostenere che bisogna “avviare nuove politiche di sviluppo ed in particolare per il Mezzogiorno”? E’ vero, ”non possiamo pensare che si debba attende la conclusione di una fase di risanamento delle finanze pubbliche. E’ compito che non puo’ essere rinviato ad un futuro piu’ o meno vicino”.  Ed è del tutto condivisibile l’assunto secondo cui per rilanciare la crescita “non bastano e non servono gli slogan ideologici, occorrono lucidità, realismo, competenza senso della misura”. Ma a chi si rivolge Napolitano? Alla Confindustria e al padronato che vogliono partita vinta su tutta la linea del lavoro? Si rivolge all’impostazione squisitamente ideologica e di classe della borghesia italiana? O pensa che il “senso della misura” debbano averlo ancora e sempre i ceti subalterni, tirando ancora la cinta ormai all’osso?
Verissimo “che, pur essendo indispensabile risanare il bilancio pubblico e ridurre la spesa pubblica corrente, non si debba procedere  con tagli ‘alla cieca”. Vero che occorre invece distinguere “cio’ che va tagliato e cio’ che non va tagliato”. Ma sulla questione bisogna essere più precisi perché le pensioni sono state tagliate subito e, senza indugio, si vuol dare un’ulteriore mazzata al mondo del lavoro, ma dell’equità, ossia dei sacrifici della parte sociale forte, non si vede neanche l’ombra. A quando, Presidente, un po’ di sacrifici per padroni e ricchi? A quando i tagli di prebende e privilegi? Non sarebbe stato meglio inziare la manovra da qui?
Napolitano ha poi negato di rappresentare “le banche ed il grande capitale finanziario, come qualcuno umoristicamente crede e grida”. Ed è vero, la sua storia lo colloca dall’altra parte. Ma se in tanti, anche a Cagliari, gli gridano il contrario vuol dire che un problema c’è. La folla che in via Roma ha manifestato il proprio malessere non è in vena di comiche, non vuole fare umorismo gratuito (anche se siamo a carnevale), non scende in piazza per puro spirito contestativo. Lo fa perché ha perso il lavoro e non sa che fare. Vuole risposte. Dove andranno ricollocati questi lavoratori? E i due giovani su tre disoccupati anche nell’Isola? Dove potranno cercare il loro futuro? Il discorso sulla mobilità in entrata, che - scusate la rozzezza - io chiamo sempre lotta per l’occupazione, se non vuole essere un giochino ed un trucco, con queste persone in carne ed ossa deve misurarsi, con le loro giuste e semplici aspettative di vita dignitosa. Mentre la mobilità in uscita, che io - scusate ancora la rozzezza - chiamo licenziamenti, se non vuole essere la riconsegna ai padroni del potere assoluto in azienda, deve essere contenuta con misure adeguate, anzitutto difendendo l’apparato produttivo e - se possibile - rafforzandolo. Se non produrremo nulla, se chiuderemo tutti le industrie, il futuro anche della democrazia sarà in pericolo. E a questo siamo in Sardegna e nel Paese. Almeno, se guardiamo alla realtà senza infingimenti.
Presidente, per favore, può dire a Monti che a questa gente in carne ed ossa, che non fa umorismo ma è disperata, bisogna dare risposte semplici e chiare. Subito.

1 commento

  • 1 Democrazia Oggi - Il welfare del Quirinale
    26 Febbraio 2012 - 06:11

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