Carlo Dore jr.
Mani Pulite, vent’anni dopo: storici, opinionisti, intellettuali e politici si interrogano su come è cambiata l’Italia da quella gelida sera di febbraio del 1992, quando, in un turbinio di banconote svolazzanti tra i tubi di scarico della Baggina, l’arresto del “mariuolo” Mario Chiesa diede inizio ad un’inchiesta destinata a terremotare il sistema di potere sviluppatosi all’ombra della cortina di ferro. Mani Pulite, vent’anni dopo: che Italia era quella che il mariuolo vedeva scorrere dai finestrini dell’auto che attraversava la notte milanese, nella sua corsa verso San Vittore? Che Italia era quella che inneggiava ai magistrati del pool, che rimaneva ipnotizzata davanti alla TV dalla diretta delle udienze del processo – Cusani, che scagliava monetine contro i corrotti in fuga? E quanto è diversa quell’Italia dall’Italia di oggi, dall’Italia delle cricche e della corruzione, degli scandali quotidiani e delle invettive contro le “toghe rosse”? Cosa è successo, in questi vent’anni?
Mani Pulite, vent’anni dopo: ovvero, la storia di una rivoluzione mancata.
Seguendo la traccia di quei pochi milioni di lire gettati nello scarico della Baggina, il pool di Borrelli iniziò a ricostruire la trama di un sistema corruttivo talmente radicato da diventare il substrato stesso dell’economia nazionale, condizionata irreversibilmente dal vulnus della “dazione ambientale” di cui Di Pietro aveva per primo intuito l’esistenza: era “normale” per gli imprenditori pagare mazzette, era “normale” per i politici intascare tangenti. Era “normale”: la tangente come prassi pacificamente osservata, la tangente come naturale punto di contatto tra interessi privati e potere pubblico.
Le indagini marciavano a tappe forzate, tra arresti, confessioni, nuovi arresti e nuove confessioni: gli imprenditori rivelavano cifre e nomi di politici corrotti; i politici coinvolti negli indagini – spesso scaricati dai compagni di partito come “isolate mele marce”- non esitavano un secondo a descrivere agli inquirenti “il resto del cestino”. I giornali scrivevano, le TV riferivano, la gente schiumava rabbia nelle strade e nelle piazze. Il puff imbottito di denaro nel salotto di villa Poggiolini; il “bottino di Bettino” tra Montecarlo e Hammamet; gli ex voto di Cirino Pomicino alla Madonna di Pompei adempiuti dagli impresari concussi; Craxi in fuga verso la Tunisia: era la sconfitta della Milano da bere; era la vittoria della “questione morale” delineata da Berlinguer nel 1981. Craxi aveva perso, Berlinguer aveva vinto: l’Italia era pronta per la rivoluzione.
E poi, cosa è successo? Da un lato, le forze della sinistra, archiviata troppo in fretta la lezione berlingueriana, hanno rinunciato a cavalcare l’ondata moralizzatrice, abbandonandosi a pallide logiche di compromesso che hanno conferito una nuova legittimazione ad alcune componenti di quel sistema che ancora non era stato debellato del tutto. D’altro lato, l’avvento di Berlusconi ha sottratto altri anticorpi ad un Paese già in ginocchio: la stampa indipendente ha smesso di essere tale, risultando sempre più asservita al volere del Capo; scelte legislative scellerate hanno di fatto reso non perseguibili una serie di fenomeni corruttivi; la continua e costante delegittimazione dell’ordine giudiziario ha minato la fiducia di parte dell’opinione pubblica nell’operato della magistratura requirente. Il sistema ha reagito: alla Rivoluzione ha fatto seguito l’ennesima Restaurazione.
E così, la storia diventa cronaca: nell’indifferenza generale, cricche e logge coperte proliferano nei piani nobili dei palazzi del potere; imprenditori senza scrupoli ridono a piena gola sulle lacrime delle vittime del terremoto; capi-partito dispensano appalti e prebende in cambio di case acquistate a loro insaputa, mentre le stime della Corte dei Conti individuano in sessanta miliardi di euro il costo complessivo della corruzione italiana.
Ma vent’anni dopo Mani Pulite, cosa rimane di quella stagione di rabbia e illusioni? Rimane il giusto plauso da tributare ad un nucleo di magistrati indipendenti, capaci di anteporre la ricerca della verità alle contingenti volontà della politica. Rimane, volendo usare le parole di Enrico Deaglio, la necessità di ricordare: “l’indignazione popolare, la società civile, l’anelito risorgimentale. E pazienza se la corruzione e la mafia sono più forti di vent’ani fa”. Già, perché vent’anni dopo Mani Pulite, rimane anche l’amarezza che sempre caratterizza il ricordo delle stagioni incompiute, delle occasioni perse, delle scelte sbagliate: l’amarezza che è destinata ad accompagnare il ricordo di un’altra rivoluzione mancata.
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