Dov’è finita l’equità?

18 Febbraio 2012
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Galapagos

L’Europa del capitale finanziario ha smarrito la missione per la quale era stata pensata dai suoi padri fondatori, e cioè d’essere un soggetto di pace, promotore di benessere, di eguaglianza ed equità. E’ invece proprio la grande triade europea, libertè, egualitè, fraternitè, ad essere stata messa in un angolo. L’ultima, in particolare, a dire il vero sempre negletta, è ormai scomparsa anche dalla memoria, sostituita dallo strangolamento attraverso il debito. Non più carri armati o l’aviazione, ma la non meno efficace leva finanziaria ed economica per affamare e asservire i popoli. Grecia docet. Ecco, sull’argomento, un editoriale di giovedì scorso del notista economico del Il Manifesto.

Europa a 17 o Europa a 27 non fa differenza: la caduta del Pil nell’ultimo trimestre del 2011 è stata univocamente dello 0,3%. È un’intera area di circa 350 milioni di persone a essere entrata contemporaneamente in crisi. Certo, i segnali di rallentamento erano evidenti da vari trimestri, ma la politica economica comunitaria e dei singoli stati non ha fatto nulla. Anzi, ha fatto. Ma con scellerati provvedimenti «pro ciclici» che - anziché contrastare le evidenti tendenze recessive - le hanno esaltate con manovre restrittive finalizzate a cercare di tenere sotto controllo i conti pubblici, clamorosamente destabilizzati dalla crisi e dal successivo «salvataggio» del sistema finanziario.
L’esempio più clamoroso è la Grecia: nel 2009 il rapporto tra il debito pubblico e il Pil era al 120% e ora - dopo le cure da cavallo imposte - è al 180%. Compreso l’anno in corso, Atene da 5 anni sarà in recessione. L’ultima caduta del Pil (-7% nel quarto trimestre) è terrificante e sta producendo effetti catastrofici sul tessuto sociale del paese, dove oltre un quinto dei lavoratori è disoccupato.
Ma la Grecia è solo la punta di un gigantesco iceberg europeo nel quale oltre un quarto della popolazione - ci dicono le statistiche Eurostat - è a rischio di povertà o di esclusione sociale. Esaltare il mito della crescita è errato, ma senza crescita del Pil (che non significa produrre più merci) non si va da nessuna parte. Anzi, si va verso una povertà di massa che è quello che sta accadendo non solo in Grecia, ma in molti paesi del Mediterraneo.
L’Italia (anche per le reiterate manovre correttive) è tra i paesi più colpiti dalla caduta del Pil: -0,7% nell’ultimo trimestre rispetto al trimestre precedente e -0,5% rispetto al quarto trimestre del 2010. Complessivamente, negli ultimi 4 anni, il Pil è stato in caduta nel 2008 e 2009 (complessivamente oltre il 6% ) ed è risalito solo dell’1,4% nel 2010, più un misero 0,4% nel 2011. E nel 2012 andrà ancora peggio: il Pil sembra destinato a scendere di almeno l’1,5-2 per cento.
Questo significa che gli italiani saranno in media di oltre il 6% più poveri rispetto al 2007. Ma le medie sono malandrine: appiattiscono la situazione reale, dissimulano il crescente malessere di una parte (sempre più larga) dei cittadini.
La situazione è chiarissima. Il governo Monti aveva promesso efficienza e equità. La capacità tecnica ha fatto brillare sprazzi di efficienza (cosa non difficile, vista l’incapacità del precedente governo), ma di «equità» non c’è traccia. Come ricordava Marx al «cittadino» Weston, quando la zuppa nella scodella è la stessa e a mangiare è più d’uno, per distribuire con maggiore equità il pasto occorre modificare i cucchiai dei commensali. Monti, invece, ha ridotto la minestra (il Pil) e - al tempo stesso - la dimensione dei cucchiai, ma chi appoggia il suo governo tace.

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