Alfiero Grandi
La Grecia ha svolto finora, nell’ambito dell’Euro, il ruolo dell’appestato. E’ vero che la destra ha falsificato i conti del bilancio pubblico greco e che da quel momento la Grecia è entrata nel tunnel. E’ altrettanto vero che era possibile all’inizio della crisi della finanza pubblica greca un sostegno europeo molto minore di quanto è stato necessario in seguito, tanto più se verranno effettivamente erogati i 130 miliardi di euro. 130 miliardi che dovrebbero portare il debito pubblico greco a livelli più sopportabili e su cui sono in corso estenuanti trattative tra la cosiddetta troika europea e il Governo “tecnico” greco. Non va dimenticato che l’attacco della speculazione alla Grecia è stato rafforzato da dichiarazioni della coppia Merkel e Sarkozy sulla posssibilità di default del paese. Dichiarazioni mai sentite prima da esponenti dei Governi europei su altri paesi.
Per un breve periodo anche i tecnici europei che hanno affrontato il problema greco hanno ammesso che i provvedimenti imposti erano sbagliati e avevano finito con l’aggravare la situazione perché, prescindendo dai pesantissimi costi sociali, avevano innescato una pesante recessione economica che finiva con l’allontanare ancora di più il risanamento. Subito dopo si è rapidamente tornati a percorrere la stessa strada, premendo sempre più pesantemente sulla Grecia, al punto da ipotizzare un vero e proprio commissariamento del Governo. In sostanza la manomissione della sovranità della Grecia.
Le condizioni poste alla Grecia per ottenere la concessione del prestito europeo e un forte sconto sui debiti pubblici detenuti da privati sono veramente pesanti: licenziamenti, riduzione delle pensioni, riduzione dei salari, aumento delle tasse, riduzione dell’assistenza sanitaria, ecc. La conseguenza, se alla fine ci sarà l’accordo, sarà un ulteriore avvitamento nella crisi economica.
E’ vero che la Grecia pesa per il 2 % sul Pil europeo e quindi le conseguenze della sua recessione sulle altre economie dell’Europa saranno limitate, come del resto lo sarebbe stato farsi carico dei suoi problemi fin dall’inizio.
Le conseguenze delle condizioni imposte dall’Europa sull’assetto democratico e sociale della Grecia saranno pesanti e sembra fin troppo dimenticato che questo paese è rientrato nella democrazia solo tre decenni anni fa.
Come è noto, lo spread sul debito pubblico è un’altalena che vede alcuni Stati puniti - Grecia al top - e altri fortemente beneficiati come la Germania, che è arrivata a collocare titoli pubblici sotto il loro valore reale. Si riflette poco anche sul fatto che la Bce sta cercando di aiutare l’accordo con la Grecia rinunciando a 11 miliardi di plusvalenze sui titoli greci. Scelta giusta ma che insieme conferma che c’è chi ha guadagnato (o potrebbe guadagnare) dalla crisi greca.
La Grecia ha svolto in questo periodo il ruolo di esempio da non imitare, da cui tanti trovano naturale cercare di distinguersi.
E’ comprensibile che anche in Italia di fronte alla deflagrazione del dramma sociale politico in Grecia ci sia un diffuso tentativo di dimostrare che l’Italia non è la Grecia e si comporterà in modo diverso. Comprensibile come tentativo di allontanare lo spettro della crisi più grave e incontrollabile, ma meno come visione europea che dovrebbe fondarsi su un certo grado di empatia tra i suoi membri, in particolare nell’area Euro.
Invece non solo non c’è empatia ma si arriva ad usare in modo spregiudicato la gravità della situazione greca come spauracchio per portare a più miti consigli i riottosi ancora presenti, anche in Italia.
La destra europea, oggi egemone, ha trovato nella Grecia l’esempio negativo, lo spauracchio da usare per convincere tutti gli altri paesi ad adottare regole nei bilanci pubblici paragonabili a quelle tedesche, attraverso la traduzione nelle Costituzioni o con altri mezzi legislativi di pari valore.
E’ del tutto chiaro che quando ci si interroga su quale sarà la conseguenza di politiche così restrittive in Europa spesso si finge di non sapere che viene dato per scontato un periodo di non crescita economica, o addirittura di recessione, con la conseguenza della crescita della disoccupazione, in nome della possibilità di avere in futuro (quando?) una crescita che viene definita sana. Quindi si torna al vecchio adagio: prima il risanamento, poi la crescita, è la solita politica dei due tempi. Va aggiutno che se un paese ha minore produttività deve anche accettare che le retribuzioni siano minori, quindi i tagli chiesti alla Grecia non sono casuali.
Non a caso questa linea di politica economica, che viene fatta risalire alla tradizione tedesca formatasi dopo l’incubo di Weimar, è in realtà un concreto modo per recuperare consensi elettorali in Germania da parte della Cancelliera Merkel. La vittima di questa scelta è una visione solidale dell’Europa. Tanto è vero che il Ministro tedesco Schauble è stato colto in flagrante mentre cercava di convincere il Governo del Portogallo che l’eventuale default greco non avrebbe comportato l’abbandono anche di questo paese. Tipico del divide et impera da parte di chi ha il gioco in mano.
Anche la scelta di procedere attraverso il metodo dei trattati bilaterali per stabilire le nuove regole europee ha il chiaro significato di imporre un ridisegno dell’Europa. La Germania con il sostegno di Sarkozy, che ha grossi problemi elettorali e bisogno dell’appoggio tedesco, di fatto straccia il metodo europeo. In particolare cancella il ruolo del parlamento, per regredire ai trattati intergovernativi.
Senza l’adozione delle nuove regole, ispirate dalla Germania, niente aiuti ai paesi che ne hanno bisogno. Per questo anche le conseguenze sulle regole dei singoli Stati sono rilevanti, dal momento che la loro dozione è condizione per ottenere gli aiuti.
Pur comprendendo le ragioni che spingono ad allontanare lo spettro della crisi greca, in realtà ci sarebbe bisogno di una riflessione più attenta su cosa significa procedere su questa strada, sulle conseguenze che ne derivano sotto il profilo delle regole democratiche (la democrazia non può essere un bene riservato ai paesi che hanno i conti in ordine) sulle prospettive economiche e occupazionali.
Non a caso Obama ha rivolto a Monti, stando ai giornalisti presenti, una domanda precisa, di cui non è nota la risposta. Se l’Europa sceglie una politica generalizzata di tagli come potrà esserci ripresa? La ripresa è l’assillo degli Usa da tempo. Infatti Obama ha puntato tutte le carte sulla possibilità di uscire dalla crisi e ha bisogno di un partner europeo coprotagonista della ripresa che oggi non ha.
Anche la manovra di Draghi che ha concesso 500 miliardi di liquidità alle banche per tre anni all’1%, che ricorda da vicino le scelte della Federal Reserve, non può dare più di tanto perché, come ha ricordato il Presidente Mussari, l’acquisto di titoli pubblici e la concessione di credito ai privati da parte delle banche si scontra con le regole europee. Regole europee che hanno posto limiti severi alla leva degli impieghi bancari. La banche hanno soldi disponibili per tre anni, ma con le regole attuali non possono utililizzarli, anzi debbono ricorrere all’aumento dei mezzi propri come sta facendo Unicredit, con i relativi problemi.
Quindi si torna al problema posto da Obama: come pensa l’Europa di uscire dalla crisi?
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