A domanda di Stefano Melis rispondo
Stefano ci scrive facendo alcune precisazioni e ponendomi una domanda. Ringrazio della precisazione, che mostra come l’impegno civile conduca - come diceva ieri Giorgio Todde - a faticare per capire e poi ancor più a faticare per battagliare in difesa del Colle. Senza queste molte fatiche di conoscenza e di lotta da parte di cittadini, singoli o associati, la sorte di Tuvixeddu (ricordiamoci di ciò che rimane del Colle) sarebbe segnata da tempo. Ringrazio ancora Stefano perché mi pone pure una domanda, ma glisso sulla risposta. Glisso perché questo blog non vuole ergersi a giudice. Ricordate Boskov, l’allenatore di squadre di calcio? Quando gli chiedevano se il rigore contro la sua squadra era giusto, immancabilmente rispondeva col suo italiano approssimativo: “rigore c’è quando arbitro fischia”. A Stefano e a tutti coloro che la pensano come lui dico: “vittoria c’è quando la sancisce il giudice col giudicato”.
La risposta a Stefano la lascio a un altro Stefano, Deliperi, presidente del Gruppo di Intervento Giuridico, riservandomi poi alcune ulteriori considerazioni. Ma prima ecco la lettera di Stefano Melis (a.p.).
Buongiorno Professore.
La vicenda è complicata, è vero. E’ anche vero che in certi casi è meglio trovare un accordo prima di arrivare dal Giudice, anche il Vangelo la pensa così (Mt 5, 25-26).
E quindi le chiedo di spiegarmi alcune cose che, dato che non sono un giurista, mi appaiono dubbie nella sua ricostruzione.
E’ vero che il Consiglio di Stato accoglie il ricorso della Soprintendenza solo per quanto riguarda la parte delle motivazioni delle due autorizzazioni paesaggistiche del Comune. Ma nelle due sentenze, premesso che i Giudici di Palazzo Spada ritengono scarso “il livello di dettaglio con cui la prima valutazione di coerenza paesaggistica è in concreto resa” (ci si riferisce al nulla osta n. 3015/1999), proprio sulle carenze di motivazione, viene detto che: “Detto altrimenti, tanto più puntuale e dettagliato è il giudizio di compatibilità paesaggistica reso in sede di approvazione del piano” (ci si riferisce al Piano attuativo) “tanto più ridotti saranno i margini di ulteriore valutazione che è consentito svolgere con riguardo ai singoli interventi rientranti nel piano stesso; viceversa, a fronte di una valutazione meno dettagliata, se non generica, resa a monte, si impone un più incisivo apprezzamento di coerenza paesaggistica a valle, volto a verificare, dandone adeguatamente conto in sede motivazionale, se con le ragioni di tutela sottese all’apposizione del vincolo siano coerenti quelle modalità realizzative dei singoli interventi edilizi non dettagliatamente prese in considerazione nel giudizio sul piano.
Orbene, nel caso di specie il giudizio di compatibilità paesaggistica espresso nell’atto annullato dalla Soprintendenza con il provvedimento impugnato in primo grado poggia su un apparato motivazionale davvero stringato.
Come rimarcato nel provvedimento della Soprintendenza, invero, la Commissione edilizia si limita - pur in presenza di un intervento fortemente invasivo - ad esprimere il proprio parere […] senza dunque attendere ad una pur minima valutazione in ordine alla pur asserita compatibilità paesaggistica dell’intervento con le peculiarità del sito, con i vincoli gravanti sull’area, oltre che con le prescrizioni introdotte dal P.P.R. per il corrispondente ambito di paesaggio; lo stesso Direttore del servizio, del resto afferma la compatibilità dell’intervento con il contesto urbano”, senza spendere alcuna motivazione relativa “alla interversibilità delle previsioni edificatorie con i luoghi vincolati, alla morfologia dell’area, che possa giustificare l’asserito mancato contrasto del poderoso intervento con i riconosciuti “pregevoli valori paesaggistici tutelati”.”
Mi pare, in parole povere, che, anche a voler riadottare il provvedimento, questo non potrebbe prescindere da una valutazione in ordine alla “compatibilità paesaggistica dell’intervento con le peculiarità del sito, con i vincoli gravanti sull’area, oltre che con le prescrizioni introdotte dal P.P.R. per il corrispondente ambito di paesaggio”. In sostanza: l’Impresa otterrebbe le autorizzazioni se queste dovessero essere rilasciate in base a quei criteri?
E qui vengo al secondo dubbio.
Le autorizzazioni paesaggistiche comunali annullate, sono del 25 agosto 2008.
La delibera della Giunta regionale con la quale è stato approvato il PPR è del 5 settembre 2006.
Se anche si applicasse il diritto vigente al momento dell’emanazione delle autorizzazioni poi annullate, questo non sarebbe costituito dal PPR e, con esso, dal vincolo dei 120 ettari ritenuto legittimamente imposto dal Consiglio di Stato con la sentenza del marzo 2011?
Va bene rischiare il meno possibile, ma le probabilità di vincere mi pare siano alte (specifico che con “vincere” intendo la tutela integrale dei colli; dell’apertura del parco si ragiona solo dopo)
Ecco la risposta sintetica di Stefano Deliperi, presidente del Gruppo di Intervento Giuridico, che - concordo con Vito Biolchini- non è certo da annoverare fra gli amici di Cualbu. Dice Deliperi rivolto a Maria Paola Morittu, ma la risposta vale anche per Stefano Melis:
“Cara Maria Paola, come abbiamo già avuto modo di discutere in varie occasioni, ribadisco che l’accordo di programma (…), deleterio per i valori storico-culturali e ambientali del sito, è valido ed efficace”. Ergo, le due autorizzazioni fondate sull’accordo di programma e annullate dalla Soprintendenza per insufficienza di motivazione, da rilasciare “ora per allora” possono legittimamente prescindere dal PPR. Anche questa - beninteso - è un’opinione, non è la verità. Ma - ha ragione Stefano Melis - una motivazione positiva in risposta alle due istanze a suo tempo presentate da Cualbu, diremmo a Casteddu, “esti traballosa“. Quindi rieditare i provvedimenti annullati non vuol dire necessariamente autorizzare. Ma dopo cosa succederà? Ricorso al Tar e poi al Consiglio di Stato. E, caro Stefano, “sarà rigore, se aribitro fischia“.
Ed allora? Allora si può dire che Zedda ha argomenti forti per inchiodare Regione, Ministero e Coimpresa alla trattativa. Anche Cualbu sa che la regola “rigore c’è, quando arbitro fischia” vale anche per lui. L’alea è sempre bilaterale. Si tratta di vedere se il punto di caduta della trattativa è accettabile. E su quella base si deciderà con ragionevolezza il che fare. Con un punto fermo e indiscutibile: su Tuvixeddu non si molla. E non si tratta. La trattativa - sia chiaro - è su ciò che può farsi altrove o sui 40 danari (che poi - rivalutati - sono di più!) da dare a Coimpresa per scongiurare al Colle altre violenze.
Zedda sa di avere questo vincolo. Ma noi gliene poniamo un altro: d’ora in poi tutte le fasi della procedura e della trattativa (nelle loro linee essenziali e rilevanti) devono essere trasparenti e pubbliche. Queste non sono vicende private né da secretare. Zedda ben sa che l’art. 9 della legge 241 consente a Italia nostra e alle altre associazioni ambientaliste di partecipare alla procedura, col diritto d’accesso agli atti e di produzione di documenti e memorie. Sa che il suo elettorato, cioè noi, consideriamo Tuvixeddu un bene comune, e quindi da sottoporre a dibattito pubblico nelle questioni rilevanti che lo riguardano. Giorgio Todde su questo blog ha testimoniato da par suo l’impegno e la passione con cui in tanti siamo impegnati a salvare il Colle. Lo dobbiamo fare e lo facciamo senza secondi fini.
Bene, su questi punti di merito e di metodo, fra noi non dovrebbero esserci divisioni. Se siamo d’accordo e non solo noi, ma anche Zedda si attiene con fermezza a questa impostazione, credo che, tutti insieme, abbiamo forti chances di vittoria, ossia di salvare l’amato Colle. Questa unità, caro Stefano, ci dà l’unica certezza di vittoria. Se il centrosinistra, cittadini-elettori, movimenti e Giunta, opererà in questo modo il nostro scopo non potrà essere mancato.
4 commenti
1 Realista
14 Febbraio 2012 - 14:43
Un piccolo commento circa la “leggerezza” del 3015/99, in quanto una lettura veloce dalla lettera di Stefano Melis potrebbe far pensare che le autorizzazioni paesaggistiche relative al Progetto Norma che disciplina l’Accordo di Programma siano un fatto banale da Commissione Edilizia compiacentemente distratta. Ricordo che tra i vincoli di varia natura che gli edifici avrebbero dovuto dimostrare di rispettare, c’era quello del divieto di violare in altezza lo “sky-line” dei crinali di tutti i rilievi, del rispetto dei coni visivi che regolano le viste dall’area vincolata verso l’esterno e viceversa (viste su colle di S. Michele, su Monte Claro, sulle zone umide, sulle alture sia a est che a oveste di Cagliari ecc.), di modulazione degli edifici sia morfologica che dimensionale per “assecondare” l’orografia dei luoghi, di permeabilità del complesso edilizio ai flussi pedonali dalle vie Maglias e S.Avendrace verso il parco. Questi solo alcuni tra i particolari disposti urbanistici da rispettare nella zona in aggiunta a quelli canonici, indicati perchè sembrerebbe che tutto ciò che ha preceduto il PPR fosse inadeguatamente volto alla tutela di ciò che sarebbe potuto sorgere attorno alle zone vincolate.
Trattandosi di una zona urbana, già fortemente compromessa nei suoi dintorni, direi che gli sforzi fatti per limitare l’impatto antropico erano stati compiuti. Poi i tempi cambiano ed è chiaro che, sentiti i pareri di tutti, ciò non basti più, però sarebbe opportuno, sia per rispetto del vero che per avere delle basi di partenza sulle quali discutere (nell’ipotesi dell’accordo da trovare, credo sia fondamentale ricordare da dove si è partiti), fare chiarezza su cosa prevedesse il Piano, in fin dei conti passato al vaglio di consigli comunali e regionali, soprintendenze, uffici di tutela del paesaggio, tutti composti da esponenti di varia proveninza della Pubblica Amministrazione e che, probabilmente, non erano tutti a favore di una cementificazione indiscriminata dei colli.
É anche chiaro, a mio avviso, che difficilmente una gestione integralmente pubblica della vicenda riuscirà a raggiungere una situazione di valorizzazione del colle al livello delle aspettative che si deducono dalle innumerevoli voci che a difesa dei colli si sono levate, e questo oggi è un timore quasi pari a quello di vedere i colli cementificati.
Confido nel nuovo che avanza, non c’è alternativa…
2 Stefano Melis
15 Febbraio 2012 - 14:00
La ringrazio per l’attenzione Professore.
Lei dice di voler glissare sulla risposta, ma per “Deliperi interposto” in qualche misura risponde o, comunque, indica la non univocità della possibile risposta.
Su unità e trasparenza sono d’accordo con lei. Anche se non mi nascondo la difficolta di raggiungere la prima se permangono divari su questioni tecniche, la cui soluzione, o almeno un accordo sul loro reale peso, mi sembrano imprescindibili per arrivare alla trattativa attrezzati meglio che si può.
E concordo anche con la massima di Boskov da lei citata che, vorrei ricordare a Realista, vale anche per le due autorizzazioni paesaggistiche: “rigore c’è stato perché arbitro ha fischiato”.
Se almeno questi fossero dei punti fermi da tutti riconosciuti, la discussione procederebbe più linearmente senza mille rivoli che affaticano e fanno perdere tempo prezioso.
3 Realista
16 Febbraio 2012 - 17:11
Gentile Stefano, non confonda la 3015/99 con le AP cassate da Martino (nessuno ricorda che le ha bocciate il giorno prima di lasciare l’incarico, coincidenza singolare…) per fatti amministrativi e di presentazione della richiesta, e non già per motivi paesaggistici. Inoltre, il 3015 dava un parere su tutto l’AdP, di carattere urbanistico, le altre due autorizzazioni riguardavano due singoli specifici interventi edilizi su porzioni limitate dell’area. A meno che Lei non sia tra quelli che vanno dal particolare al generale, il documento fondamentale rimane quello del 1999. Poi tutto cambia, anche per i pareri di questa portata così come per l’opinione pubblica, ma quello è un’altro discorso…
4 Stefano Melis
17 Febbraio 2012 - 01:42
Gentile Realista, non confondo.
Ho solo fatto notare che la conferma dell’annullamento delle due autorizzazioni da parte del CDS, discende innanzitutto dalla considerazione, fatta dai giudici, che l’autorizzazione a monte di tutto, la 3015/99, fosse resa con un livello di dettaglio tale da non giustificare un “apparato motivazionale davvero stringato” delle due autorizzazioni per gli interventi specifici. Dice la sentenza: “D’altra parte, a fronte della illustrata stringatezza ed estrema genericità dell’apparato motivazionale volto a supportare la valutazione di compatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio specifico, non è dato riscontrare, nel nulla osta paesaggistico n. 3015/1999, reso in sede di approvazione del piano, un livello di dettaglio tale da giustificare una sostanziale omissione, a valle, di ogni ulteriore impegno istruttorio, valutativo e motivazionale.”
E in precedenza, la stessa sentenza, afferma anche che, nelle due autorizzazioni, “Manca del tutto, pertanto, la benché minima valutazione di compatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio specifico, anche per quel che attiene al “modo di essere ed alle concrete modalità esecutive” dei pur consistenti manufatti da realizzare.” Vale a dire che, se anche la 3015/99 fosse stata dettagliata e quindi per le successive autorizzazioni per i singoli specifici interventi edilizi sarebbe stata sufficiente una “valutazione di compatibilità paesaggistica […] limitata al modo di essere ed alle concrete modalità esecutive del manufatto da realizzare”, in quelle autorizzazioni rilasciate i giudici non hanno trovato traccia neanche di quella, chiamiamola così, “valutazione limitata”. Come lei ha ricordato nel precedente commento “tra i vincoli di varia natura che gli edifici avrebbero dovuto dimostrare di rispettare, c’era quello del divieto di violare in altezza lo “sky-line” dei crinali di tutti i rilievi,…”. Ha fatto bene ad usare il condizionale perché, è di tutta evidenza, secondo i giudici tutto ciò non è stato fatto.
Per quanto attiene alla data del provvedimento del Soprintendente (12 settembre 2008; mentre le autorizzazioni comunali sono del 25 agosto), non conoscevo la coincidenza che lei fa notare.
A me stupisce favorevolmente che un funzionario pubblico lavori con solerzia e, visti i risultati certificati da due sentenze, con competenza fino al giorno precedente il termine dell’incarico. Se la stessa competenza l’avessero tutti i funzionari pubblici…
Allego i link delle due sentenze
http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Consiglio%20di%20Stato/Sezione%206/2009/200906468/Provvedimenti/201000538_11.XML
http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Consiglio%20di%20Stato/Sezione%206/2009/200906467/Provvedimenti/201001491_11.XML
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