Il Sud: palla al piede o artefice dell’unità nazionale?

1 Febbraio 2012
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Gianfanco Sabattini

Il Meridione a 150 anni dall’Unità d’Italia. C’è chi, al Nord, lo vede come una palla al piede e vorrebbe sgregarlo. C’è chi, al Sud, vede l’unità come un fattore di dipendenza e la ragione del sottosviluppo e vorrebbe sgregarsi. C’è chi vorrebbe liberarsi delle Isole e chi nelle Isole vorrebbe liberarsi dal Continente. Un vero ginepraio. Al centro un quesito: il processo unitario è stato un fatto rivoluzionario? E’ stata la realizzazione di un sogno come l’intendevano allora i patrioti che per l’Italia si sono battuti e sono morti? O è stata un’annessione in nome e per conto della borghesia del Nord? Una classe rapace e bisognosa di un mercato nazionale, di braccia per le fabbriche e per la guerra? O è stata tutte queste cose insieme?
Il Prof. Sabattini ci parla di un recente libro di Giorgio Napolitano che si misura con questi temi, da  una postazione, il Quirinale, che conduce ad una soluzione obbligata del quesito. Ma per altri questa non è la risposta giusta ed esistono movimenti minoritari che danno altre letture del processo unitario e della prospettiva.
Ecco l’inteervento di Sabattini.


 Di recente è giunto in libreria un volume di Giorgio Napolitano dal titolo “Una e indivisibile. Riflessioni sui 150 anni della nostra Italia”. Si tratta di una raccolta di testi nati da discorsi che il Presidente della Repubblica ha tenuto in occasione di cerimonie e incontri che hanno preceduto o accompagnato le celebrazioni per il Centocinquantenario dell’Unità d’Italia. Tra i più significativi dal punto di vista politico si può sicuramente ricordare il primo, “Mezzogiorno e unità nazionale”. Specie se si considera la temperie politica attuale in cui si susseguono diversi libelli pseudo-storici dissacratori del processo unitario e vari prodotti cinematografici che rischiano spesso di offrire narrazioni decontestualizzate di episodi connessi alla nostra rivoluzione nazionale. In questo senso appare quanto mai opportuno il richiamo di Napolitano sulla centralità del Risorgimento nella dinamica sottostante l’unificazione nazionale e sul fatto che i suoi protagonisti non potevano certamente concepire un’Italia che non contemplasse come parte integrante anche le regioni meridionali. Si tratta di un dato storico rilevante che, per Napolitano, conserva ancora intatta tutta la sua attualità; nel senso che è ancora utile ribadire il suo valore di fronte a “certe fantasticherie” diffuse spesso in polemica con l’esigenza di una forte riaffermazione dell’unità e indivisibilità dell’Italia. Anche perché non si può trascurare che il Mezzogiorno il suo posto, nel nuovo Stato unitario, se l’è guadagnato sul campo, specie dopo il 1820, come protagonista di tutti i momenti più salienti del Risorgimento, compresa l’impresa garibaldina dalla Sicilia a Napoli.
Tuttavia, per Napolitano, non può essere ignorata una circostanza principale. E cioè che la dinamica storica approdata al 1860 deve essere tenuta distinta da quella che, invece, è iniziata con il nuovo Stato e che ha avuto risvolti discutibili per il Mezzogiorno: si pensi, in particolare, alla mortificazione delle sue aspirazioni autonomistiche e al suo deludente sviluppo socio-economico.
Le istanze autonomistiche sono state principalmente negate per via della priorità assegnata a due scelte politiche: quella a favore di una rapida unificazione legislativa e amministrativa sulla scia del modello piemontese; e quella – giustificata dal revanscismo borbonico che alimentava la ribellione del brigantaggio – attinente alla bocciatura del progetto Minghetti, che puntava all’istituzionalizzazione di un ordinamento regionale. Per quanto invece riguarda la mancata soddisfazione di molte istanze economiche e sociali del Mezzogiorno, essa trova una delle sue ragioni di fondo nella distrazione politica di allora connessa all’impegno profuso dal governo del nuovo Stato contro il fenomeno del brigantaggio; un impegno maturato, purtroppo, senza alcuna considerazione per alcune rivendicazioni sociali contro un’insostenibile stato di miseria che pure, in qualche modo, si intrecciavano con lo sviluppo di tale forma di devianza.
Sul mancato accoglimento delle istanze autonomistiche e di quelle economiche e sociali, per Napolitano, si sono concentrate riflessioni che hanno aperto e approfondito la lunga fase del meridionalismo, della polemica e della proposta. Un retaggio culturale, politico e morale da non disperdere. Anzi da valorizzare per formulare, in un rinnovato spirito unitario, risposte valide a soddisfare le migliori istanze originarie delle popolazioni meridionali. In questo quadro, per Napolitano, se è giusto che da parte del Mezzogiorno si rivendichi il meglio del proprio passato e del proprio presente, è tuttavia auspicabile che al contempo – fuori da logiche “avventuriste” e secessioniste – riescano ad emergere nello stesso Mezzogiorno nuove forze per meglio sostenere la responsabilità dell’autogoverno, per far fronte ai diversi problemi locali e per partecipare con impegno alla soluzione dei tanti problemi che, da un punto di vista più generale, riguardano l’intero Paese.

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