Carlo Dore jr.
“Un magistrato deve essere imparziale quando esercita le sue funzioni – e non sempre certa magistratura che frequenta troppo certi salotti lo è -, ma io, confesso, non mi sento del tutto imparziale. Anzi, mi sento partigiano: partigiano non solo perché sono socio onorario dell’ANPI, ma soprattutto perché sono un partigiano della Costituzione. E fra chi difende la Costituzione e chi quotidianamente cerca di violarla, violentarla, stravolgerla, so da che parte stare”.
Le parole pronunciate da Antonio Ingroia in occasione dell’ultimo congresso del PDCI sono state giudicate inopportune dalla prima commissione del CSM, la quale ha di fatto chiesto – anche con il voto favorevole del consigliere del PD Guido Calvi – di valutare se tali dichiarazioni possano in futuro incidere sulle valutazioni relative alla professionalità del PM palermitano.
Ingroia “inopportuno”, dunque: inopportuno per voto bipartizan. Inopportuno perché “partigiano” reo confesso, inopportuno perché partigiano della Costituzione.
Ma è davvero così “inopportuno” che un magistrato da sempre schierato in prima linea tanto nella lotta a Cosa Nostra quanto nelle grandi battaglie a difesa della legalità costituzionale manifesti in maniera aperta la sua adesione ai principi della Carta? Dinanzi al tanto agognato crepuscolo di una stagione caratterizzata da quello che Giancarlo Caselli ha efficacemente definito “l’assalto alla Giustizia” messo in atto dal governo Berlusconi e dalla maggioranza che lo sosteneva, è forse il caso di interrogarsi su quale significato possa riconnettersi alla perifrasi “partigiano della Costituzione”.
A mio avviso, “partigiano della Costituzione” è il magistrato che, fedele al modello della separazione dei poteri, interpreta il principio secondo cui “i giudici sono soggetti solamente alla legge” come soggezione non alle esigenze di questo o quel capo-partito (per quanto assecondate dalla contingente maggioranza politica), ma alla legge intesa come momento di attuazione di quei valori di eguaglianza e solidarietà da cui la Carta Fondamentale è permeata, partendo dal presupposto che la soggezione alla legge implica, prima ancora, la soggezione alla Costituzione. E’ il magistrato che rifiuta l’idea di una giustizia “a due velocità”, inflessibile con gli ultimi e silenziosamente permissiva verso gli uomini di potere: che garantisce (attraverso la difesa del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale) l’effettiva eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge. E’ il magistrato che sanziona i comportamenti dei titolari delle cariche pubbliche che non adempiono i loro doveri con disciplina ed onore, valori troppo spesso smarriti nel folle tourbillon di cricche, faccendieri, coordinatori, agenti di spettacolo, grands commis e giovani clientes che ha scandito l’ultima fase del ventennio berlusconiano.
Ma, soprattutto, partigiano della Costituzione è il magistrato che intende la propria imparzialità come mancanza di pregiudizio, come capacità di valutare con equilibrio e rigore le varie situazioni che possono essere sottoposte all’esame dell’ufficio nel quale egli è chiamato ad operare, senza che detta imparzialità debba per forza di cose tradursi in una sorta di asettica insensibilità ai grandi temi che animano il dibattito civile.
E allora, le parole del partigiano Ingroia sono state davvero così inopportune? E’ stato davvero così inopportuno affermare pubblicamente che “fra chi difende la Costituzione e chi quotidianamente cerca di violarla, violentarla, stravolgerla so da che parte stare”?
Forse no. Forse sono state meno inopportune delle troppe incertezze, manifestate nel recente passato da alcuni settori dell’area riformista, nel difendere i magistrati in prima linea nella lotta alla corruzione ed alla criminalità organizzata dai molteplici “assalti alla giustizia” programmati dalla precedente maggioranza nell’esperienza di governo appena conclusa. Forse sono state meno inopportune delle incertezze manifestate da questi settori dell’area riformista al momento di schierarsi a difesa di un magistrato come Antonio Ingroia: partigiano “reo confesso”, in quanto partigiano della Costituzione.
(www.carlodore.blogspot.com)
1 commento
1 Andrea Pubusa
31 Gennaio 2012 - 11:40
Carlo Dore, con l’abituale sensibilità del giurista, segnala una vicenda paradossale. Il PM Ingroia viene censurato per avere affermato la sua fedeltà attiva alla Costituzione, il suo patriottismo costituzionale. Ma è la Carta a porre ai Magistrati questo dovere. Infatti, la Costituzione impone al magistrato di applicare la legge, ma solo la legge costituzionalmente legittima. In caso di dubbio, il giudice ha non solo il potere, ma anche il dovere di non applicare la legge in odore di contrasto con la Costituzione e rimettere gli atti alla Corte Costituzionale, sospendendo il giudizio fino alla sentenza della Consulta.
Ingroia ha esplicitato il suo giuramento di magistrato di fedeltà alla lettera e allo spirito della nostra legge fondamentale, come fa il Presidente della Repubblica quando ci ricorda ch’egli è il custode della Costituzione. Anche lui è inopportuno? Perché non si censura anche lui? Fra i fascisti e nella destra forcaiola ci sarebbero tanti d’accordo.
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