Andrea Pubusa
Volete la prova dei disastri del neoliberismo? Della desertificazione industriale prodotta dal dio mercato in Europa e nei paesi occidentali? Della tragedia umanitaria prodotta dalla “mano invisibile” con la disoccupazione dilagante? Prendete la vicenda Alcoa di P.Vesme. Un ordine da Pittsburg e 1000 lavoratori del Sulcis per strada, in barba all’art. 18 e alle esigenze del territorio. Ma anche in barba alla presenza in Italia di un settore strategico: la produzione dell’alluminio.
In altri tempi, quando ancora prevaleva l’impostazione keynesiana, le cose sarebbero andate molto diversamente. Più o meno così: la difficoltà delle produzioni italiane d’alluminio sono dovute agli alti costi dell’energia? Bene, l’Enel, allora in mano pubblica dopo la storica nazionalizzazione del 1962, avrebbe ricevuto dal Ministro delle Partecipazioni statali la direttiva di praticare un prezzo scontato all’industria dell’Alluminio e con un lieve calo dell’attivo dell’Enel avremmo mantenuto in vita un settore produttivo strategico in Italia e migliaia di posti di lavoro in aree di tradizione industriale del Paese. Oggi questo non è possibile perché in nome della dea concorrenza, principio guida dell’Unione Europea, sono vietati gli aiuti di Stato e un prezzo scontato dell’energia, comunque qualificato, lo è. Quindi, fuori l’alluminio da P. Vesme e dall’Italia, migliaia di famiglie alla fame. Macelleria sociale, cruenta, senza anestetici!
Ma i neoliberisti esaltano le sorti magnifiche e progressive della concorrenza. Il mercato aggiusta tutto! Ma ne diano la prova! Dicano dove “la mano incìvisibile” sistemerà i lavoratori Alcoa di P. Vesme? I fatti sono questi. Da quando La Tatcher e Reagan hanno posto al centro della loro politica le teorie di Von Hayek è iniziato un processo inesorabile di desertificazione industriale dell’occidente. La “Lady di ferro” è passata come un panzer sopra l’apparato industriale inglese, creando un deserto proprio nei luoghi (da Manchester a Glasgow) dove l’industrialismo e il capitalismo industriale moderno è nato. Gli USA sono andati a ruota con Reagan. L’Europa continentale ha seguito più lentamente per i retaggi della socialdemocrazia e per l’esistenza di forti partiti comunisti. Poi dopo il 1989 la dissoluzione prima culturale e poi organizzative di queste forze ha portato ad un processo accelerato di scomparsa del capitalismo produttivo in favore di quello finanziario. Ci si è illusi di poter sopravvivere con lo sfruttamento delle ricchezze altrui. Di qui un nuovo ricorso alla guerra come strumento ordinario di conquista delle risorse. Con grossi costi tuttavia, che aumentano il debito e riducono il livello di vita occidentale, pima garantito dall’occupazione stabile, da una distribuzione accettabile della ricchezza anche in favore dei lavoratori e del ceto medio-basso, dal Welfare nei servizi e nelle garanzie sociali. Se tutto questo oggi è in fase di smantellamento, la base materiale sta nel declino della produzione industriale e nel ritiro degli Stati dall’intervento in economia. Di qui precarità disoccupazione, riduzione dei servizi e delle garanzie sociali. Alla base l’idea assurda che la concorrenza crei di per sé ricchezza e che il mercato aggiusti miracolosamente tutto.
250 milioni di disoccupati in occidente dimostrano esattamente il contrario, unitamente all’impoverimento generale dei paesi finora più avanzati. La “mano invisibile” non aggiusta nulla, scassa tutto, ridà fiato alle guerre, accelera il declino dei paesi occidentali, mette in pericolo la stessa democrazia, dov’è nata.
L’Alcoa in questa vicenda è emblematica, ma lo è stata già la Vilnys: le delegezioni alla Regione e a Roma non danno risultati perché i governi non contano più nulla in economia. Perché una mail di una multinazionale dalla Pennsylvania o da qualunque altro luogo vale più di cento decreti governativi o ministeriali, di mille ordini del giorno del Consiglio regionale. La ragione? E’ presto detta: il mito del mercato e della concorrenza hanno privato la politica perfino del potere di mitigare gli istinti selvaggi del capitalismo.
In questo quadro desolante e preoccupante, su cui insistono tristemente ma irresponsabilmente la Merkel, Sarkozy e Monti, pesa l’abdicazione culturale, prima che politica e organizzativa, della sinistra europea ed italiana. L’aver buttato alle ortiche con leggerezza la cultura socialista anziché innovarla ed attualizzarla, l’aver subito il fascino del liberismo ed averne accettato l’egemonia è alla base di tutti questi disastri. Non è mai troppo tardi per ravvedersi. Ma siamo sul baratro e la strada del ripensamnto non sembra neppur imboccata. Che Dio ce la mandi buona!
1 commento
1 francesco cocco
20 Gennaio 2012 - 09:54
Sintetico e nello stesso puntuale quadro dei disastri del neo- liberismo. Mi preoccupa che in ultima istanza la sinistra italiana ed europea sia a rimorchio di una tale visione. E quando dico “sinistra” mi riferisco a tutto l’arco della sinistra che resta sostanzialmente soggiogata da una visione in cui al consumo ed alla parsimonia sociale si preferisce il consumismo privatistico. Trionfa così il più becero edonismo e con esso l’egemonia culturale del neo-capitalismo. Prima ancora d’individuare le responsabilità della Tatcher e di Reagan cercherei d’individuare quelle della dirigenza della sinistra che ha accettato una tale egemonia.
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