Governo Monti: una società più severa e più giusta

11 Gennaio 2012
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Andrea Raggio

Proseguiamo la riflessione sul Governo Monti con questo intervento di Andrea Raggio.

Il Governo Monti, è bene non dimenticarlo, è figlio dell’emergenza e della difficoltà della politica a farvi fronte. Gli è stato affidato il compito di mettere in sicurezza i conti del Paese e di creare le condizioni per riportare in campo la politica. Ma il risanamento finanziario comporta la ripresa della crescita e quello della politica presuppone la rivitalizzazione dei partiti e la moralizzazione della vita pubblica. Quella affidata al nuovo governo è, dunque, un’impresa di ampia portata che rompendo col passato, con l’Italia “volgare e gaudente” drogata dal berlusconismo, di cui parla Federico Rampini nel suo ultimo libro, può portare la nostra società a essere “più severa e più giusta, più dinamica, moralmente e civilmente più viva” (Giorgio Napolitano).
Il Governo sta adempiendo questo compito? Nell’insieme, a me pare di sì. Mi riferisco al rapporto con le istituzioni e con l’opinione pubblica, improntato a rispetto, serietà e verità, e a quello con l’Europa, orientato a recuperare all’Italia dignità e autorevolezza. Mi riferisco alle misure adottate e a quelle annunciate sul piano del risanamento dei conti e della crescita. Le insufficienze lamentate, in particolare circa l’equità, sono state in parte corrette, in parte devono esserlo ancora.
L’impresa appena avviata richiede che anche il Parlamento e i partiti facciano la loro parte e non si limitino al pur importantissimo sostegno critico. Il rinnovamento della politica, infatti, comporta anche la riparazione dei danni arrecati dal berlusconismo alle Istituzioni. Sto parlando, in particolare, della legge elettorale, del recupero pieno del ruolo del Parlamento e della RAI. E richiede un atteggiamento dei partiti meno impacciato e meno condizionato da preoccupazioni elettorali. Non si sottovaluti il fatto che va accentuandosi la divaricazione di posizioni tra le formazioni maggiori che sostengono il governo su aspetti importantissimi del programma, come la lotta all’evasione fiscale e le liberalizzazioni. Berlusconi, insomma, al di la del sostegno formale, punta a logorare Monti, nel tentativo di ritornare in campo. Siamo, dunque, nel pieno di una lotta dura che richiede crescente impegno sia del Governo sia dei partiti – terzo polo e PD - che lo sostengono con maggiore convinzione. Il PD è certamente il partito più esposto, il suo elettorato è quello più colpito dal rigore del risanamento finanziario e più insidiato dalla concorrenza elettoralistica delle formazioni minori. La risposta vincente è nell’assunzione piena di responsabilità, non solo a livello nazionale ma anche ai livelli locali. Il PD sardo appare distratto da divisioni tanto aspre quanto incomprensibili. Possibile che non si riesca a far prevalere l’interesse generale?
Una questione che è emersa con particolare vivacità riguarda il rapporto tra Governo e sindacati confederali. Certamente ha influito la fretta con la quale sono state decise le misure di risanamento finanziario e la preoccupazione dei sindacati d’essere tagliati fuori. Al di la delle forzature polemiche, nessuno mette in discussione il diritto-dovere dei sindacati di partecipare alle scelte nazionali. E Mario Monti ha detto chiaramente che il governo non intende dividere i sindacati. La novità è un’altra, viene dalla pretesa insistentemente avanzata da Raffaele Bonanni, segretario della CSIL di “una concertazione vera, a 360 gradi, su tutti i temi economici e sociali”. Una richiesta che, a mio parere, non risponde all’interesse generale poiché mira a limitare l’autonomia decisionale del potere politico. Non ha, inoltre, fondamento in quanto i sindacati confederali rappresentano parte importantissima del mondo del lavoro, ma non tutto. Nei primi anni del dopoguerra questo mondo era diviso tra proletariato e padronato, e il proletariato comprendeva tutti e tutti senza protezione. Oggi tutto è cambiato. Il mondo del lavoro è complesso, articolato, in parte protetto, in parte no. I disoccupati non sono soltanto lavoratori senza lavoro, ma in gran parte giovani senza futuro, e i precari sono lavoratori senza diritti. Poi ci sono ampie fasce sociali, - artigiani, piccoli imprenditori, lavoratori autonomi - fondamentali anche per la creazione di nuova occupazione, che sono a cavallo tra lavoro e impresa e sono scarsamente tutelati. E ancora il mondo del lavoro s’intreccia con quello dei consumatori e degli utenti di servizi, dalla sanità ai trasporti alle banche. E poi ci sono gli interessi dei territori. Questa è oggi la società. Il problema è farla partecipare tutta direttamente, e non tramite delega, allo sviluppo del Paese. E l’ampliamento della partecipazione sociale comporta non l’indebolimento ma il rafforzamento dell’autonomia decisionale del potere politico.

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