Pier Luigi Battista . Il Corriere della sera 4.1.2012
Se esistesse una Maastricht della democrazia, l’Europa dovrebbe esigere immediatamente dall’Ungheria il rispetto di quei parametri minimi di libertà e di civiltà democratica che possano permetterle la permanenza nella famiglia europea: non esiste solo il deficit dei bilanci statali, ma esiste anche il deficit democratico; non c’è solo l’entità debiti sovrani, ma c’è anche una sovranità popolare che non può essere mortificata.
Se l’Unione europea non fosse quella costruzione fredda e cerebrale che purtroppo è, così poco attenta ai valori profondi della propria identità culturale, potremmo assistere alla magnifica scena di una conferenza stampa con Sarkozy, la Merkel e il nostro presidente Monti in cui si manifesta solidarietà ai cittadini di Budapest che protestano contro la svolta autocratica del premier Viktor Orban. Sarebbe la scena dell’orgoglio europeo. La scena dell’orgoglio democratico. Una scena che (ancora) non c’è.
Con la sua reazione blanda o indifferente alla sterzata autoritaria dell’Ungheria, l’Europa scrive l’ennesimo capitolo della propria irrilevanza come corpo politico unito e degno di alimentare un sentimento di identificazione nei cittadini europei. Ciò che sta accadendo a Budapest lo considereremmo giustamente intollerabile a casa nostra: una nuova Costituzione liberticida, la fine virtuale della libera stampa, la riduzione della magistratura a braccio armato di un potere politico tendenzialmente dispotico, l’intimidazione delle forze d’opposizione, la soggezione della banca nazionale ai diktat del governo, un clima psicologico diffuso in cui non è nemmeno assente una certa tossicità antisemita. Troveremmo tutto questo un avvelenamento della nostra casa. Ma il guaio è che non considerammo l’Ungheria la «nostra» casa. Non sentiamo l’Europa come la «nostra» patria, legata da valori e cultura e democrazie e diritti, oltre alla moneta.
L’Europa è nata così: con una moneta, ma senza anima. Che a Budapest stiano calpestando la democrazia, non è vissuto dai vertici europei come un imbrattamento dell’anima che richieda interventi urgenti, impegni straordinari e persino la minaccia all’Ungheria di misure di espulsione dall’Europa se non fossero rispettati i canoni di una democrazia che non può essere stracciata a piacimento nel cuore del continente europeo. Spicca la dismisura tra lo spropositato allarme che il politicamente corretto europeo manifestò nei confronti del caso Haider a Vienna e la sostanziale impotenza di fronte al pericolo vero che sta minacciando la democrazia europea a Budapest. Con la Turchia, il dossier sul rispetto dei diritti umani e sull’osservanza delle regole democratiche fu gestito in modo burocratico, sciatto, procedurale, con il risultato catastrofico dell’allontanamento ritorsivo di Ankara dal modello europeo e il suo avvicinamento al fronte nemico dell’Occidente. Persino con Berlusconi, una parte della sinistra europea decise di giocare una partita politica che avesse il rispetto delle procedure democratiche come nucleo di una battaglia contro la «destra». Adesso con l’Ungheria di Orban che soffoca la democrazia, l’Europa risponde con imbarazzata reticenza, con gelida indifferenza, lasciandosi addirittura scavalcare, prima di stilare formali comunicati di dissociazione, dalla reazione decisamente più tempestiva di Hillary Clinton.
Questa freddezza è l’ultima conseguenza del modo con cui la costruzione europea si è sinora realizzata, dotandosi di una moneta comune ma senza coinvolgere l’opinione pubblica, senza rafforzare istituzioni democratiche comuni, senza dare l’impressione che la cessione di quote di sovranità nazionale potesse rappresentare un impoverimento e uno spossessamento della democrazia. Ora ogni attenzione viene posta alla stabilità dell’euro e ogni sforzo viene indirizzato per salvare dal fallimento una moneta di cui si celebrano in questi giorni i dieci anni di vita. Ma nessuna attenzione viene spesa per la qualità della democrazia. E nessun allarme viene lanciato dalle autorità europee se l’Ungheria deraglia dai binari della democrazia. Come se l’Ungheria fosse una nazione lontana. Come se l’Europa non prevedesse il rispetto di un’identità comune che ha nella democrazia una della sue basi fondamentali. Con il rischio che a Budapest suonino le campane a morte della democrazie e dell’Europa: della democrazia europea.
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