A morte il tiranno!

7 Gennaio 2012
1 Commento


Gianluca Scroccu

Fino a non molto tempo fà l’attentato al tiranno era l’impresa di uomini eroici, ispirati da grandi valori di libertà. Oggi non esiste più il nuovo principe, il partito collettivo di Gramsci, ma il nuovo despota collettivo, la casta. L’attentato al tiranno di ieri è cosa molto meno complessa della lotta alla casta di oggi, anche perché questa non ha una sola testa, ma mille teste e come una piovra estende i suoi tentacoli in ogni strato della società. Non basta il complotto o l’atto isolato. Ci vuole una complessa opera collettiva, articolaata, ma ben organizzata. In attesa di scoprire come si può fare oggi, vediamo come si faceva ieri e con quanti rischi.

«Crispi è parso a me che fosse l’uomo più felice della terra, mentre io sono il più infelice e perciò attentai alla sua vita». Con queste parole Emilio Caporali, un giovane della provincia di Bari dalla vita sfortunata, spiegò alla polizia le ragioni che lo avevano portato ad aggredire con una pietra il Presidente del Consiglio Francesco Crispi in una bella giornata napoletana di fine estate del 1889. Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento molti furono gli attentati contro capi di Stato e di governo; su di essi indaga la giovane storica Erika Diemoz in un libro bello e coinvolgente dal titolo A morte il tiranno. Anarchia e violenza da Crispi a Mussolini, (Einaudi, pp. 377, € 32).
Con l’ausilio di un importante lavoro di scavo su materiale d’archivio conservato in Italia, Olanda, Gran Bretagna e Stati Uniti, affiancato da un certosino studio sulla stampa dell’epoca, l’autrice ricostruisce un mondo dove i sostenitori del movimento anarchico, e quelli italiani in particolare, diventarono l’emblema di un fantomatico terrorismo globale finendo nel mirino della polizia e dei media di mezzo mondo.
E dire che l’uccisione di un re o un imperatore era stato in tempi precedenti un’azione politica dotata di un’aurea di eroismo, come nel caso di Felice Orsini e del suo tentativo di assassinare Napoleone III per favorire la causa dell’unificazione, che forse aveva visto coinvolto proprio lo stesso Crispi, allora focoso repubblicano. I tempi, però, sarebbero cambiati, come ben si dimostra nel libro. E lo si vide nel 1878, quando Giovanni Passannante provò a uccidere il nuovo re Umberto I, gesto che scatenò una dura reazione repressiva della Sinistra storica giunta al potere appena due anni prima e a quel punto desiderosa di presentarsi come forza dell’ordine. E lo stesso avrebbe fatto Crispi, oggetto anni dopo di un secondo attentato, il quale fece approvare delle leggi antianarchiche per colpire il nascente movimento socialista, favorendo in questo modo la costruzione sulla sua persona di un’immagine di forza che lo vedeva contrapposto al debole Umberto I, proprio come sarebbe successo tra Mussolini e Vittorio Emanuele III. Lo spauracchio di un complotto mondiale anarchico era però totalmente inventato, perché come dimostra la Diemoz si trattava di persone individualiste e totalmente prive di organizzazioni strutturate, sebbene riuscissero a muoversi con una certa disinvoltura tra uno Stato e l’altro compiendo, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, numerosi atti di terrorismo di cui si trova eco anche nella canzone capolavoro di Guccini La locomotiva.
Si va da Umberto I assassinato da Gaetano Bresci, al presidente francese Sadi Carnot ucciso da Sante Caserio, sino ad arrivare a Benito Mussolini e al suo attentatore “in potenza”, il sardo nato a Padria ma cresciuto a Pozzomaggiore Michele Schirru. Una storia di leadership carismatiche che non disprezzavano soluzioni autoritarie in seguito a questi attentati per consolidare il proprio potere e di cui il Duce del fascismo incarnò l’ultima tragica maschera. Perché alla fine il decisionismo politico, come scrive l’autrice, scatena sempre due effetti collaterali: da una parte genera consenso se non una vera e propria venerazione alimentata anche da un’abile propaganda; ma dall’altra, inevitabilmente, scatena un dissenso che spesso si traduce in odio.

1 commento

  • 1 Francesco
    23 Gennaio 2012 - 13:06

    Libro molto ben documentato. Ma con degli errori imperdonabili per chi fa ricerca storica. Ex.: Cánovas del castillo ucciso a Barcellona anzichè a Santa Agueda nei paesi baschi, oppure Il Corriere della Sera posto in via Solferino nel 1894!

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