Politici: meno privilegi e più buona politica

20 Dicembre 2011
Nessun commento


Andrea Raggio

Un mio amico, persona obiettiva e sensata, quando parla dei politici perde la calma. Sostiene che sono tutti inutili e costosi, veri e propri parassiti. Alle mie obiezioni e distinzioni rincara la dose. Quando si accorge che le sue invettive rischiano di investirmi personalmente, frena: tu non c’entri, dice, sei un politico d’altri tempi. Ma anche a quei tempi, osservo, c’erano i privilegi.
In effetti, nei primi decenni della Repubblica e dell’Autonomia, i politici erano tutti rispettati, compresi quelli che ricoprivano cariche pubbliche nonostante avessero notevoli privilegi. Mi limito alla Sardegna. Le indennità consiliari erano molto superiori agli stipendi medi dei dipendenti pubblici e privati, anche allora c’erano i vitalizi, i consiglieri regionali e i loro familiari viaggiavano a spese della Regione in tutto il territorio nazionale e avevano un’assistenza sanitaria particolare, gli ex consiglieri avevano anch’essi biglietti viaggio. I privilegi erano tacitamente tollerati, una sorta di costo dovuto. Oggi menano scandalo. Perché?
Non esisteva, allora, il finanziamento pubblico dei partiti e le indennità consiliari andavano in parte cospicua a finanziare direttamente o indirettamente i partiti, nei quali peraltro militava parte non piccola degli elettori. Persino i biglietti viaggio familiari erano in parte utilizzati per spesare la partecipazione dei militanti alle manifestazioni nazionali. Tutti sapevano tutto e tolleravano, anche perché la politica era buona politica.
Nei decenni successivi alcuni di questi privilegi sono stati aboliti, il sistema dei vitalizi è rimasto all’incirca lo stesso. I partiti hanno avuto il finanziamento pubblico, ciononostante l’indennità consiliare è stata notevolmente incrementata con l’istituzione d’indennità accessorie deliberate non con legge ma con atto della Presidenza del Consiglio. Inoltre, il numero dei politici impegnati a tempo parziale nelle istituzioni ai diversi livelli, è aumentato in misura abnorme, con costi crescenti. Nel passato le indennità erano riservate agli eletti impegnati a tempo pieno. Sono stato consigliere comunale di Cagliari nei primi anni ’50, l’incarico era gratuito ma non per questo meno prestigioso. Diffondere a pioggia le indennità, piccole o grandi, significa rovesciare la visione della politica da esercizio di democrazia e servizio in attività da remunerare come qualsiasi altra.
Oggi ci s’impegna in politica solo per fare soldi? Salva qualche eccezione, in politica non ci si arricchisce. Chi è ricco normalmente non fa politica, semmai cerca in essa coperture, oppure, ma sono casi rari e li conosciamo, “scende in politica” quando i suoi affari traballano. Chi è bravo in politica e vuol fare affari di norma lascia la politica per dedicarsi ad altre attività.
In realtà l’aumento del costo della politica è andato di pari passo con l’indebolimento dei partiti. Questi non solo selezionavano le candidature, e in certo misura le garantivano, ma frenavano la concorrenza sleale e costosa. Erano, in sostanza, anche una rete di protezione dei politici più impegnati e capaci, e garantivano la continuità e la collegialità dell’azione politica. Venute meno queste funzioni, l’organizzazione della politica si è parcellizzata, frantumata in gruppi ed entità individuali, ciascuno con la propria autonoma costosa organizzazione. Col nuovismo sono andate diffondendosi le autocandidature, comprese quelle a salvatore della patria. Chi ha ricoperto incarichi esecutivi, potendo contare sempre meno sul sostegno del partito, si è organizzato, a spese di tutti, apparati a proprio sostegno, spesso attribuendo loro funzioni sottratte alla normale attività della pubblica amministrazione. Insomma, la politica è oggi sempre meno nelle mani dei partiti e sempre più in quelle dei singoli operatori. E la partitocrazia senza partiti è la più costosa.
Ridurre i costi della politica è questione sacrosanta non solo perché c’è la crisi, non solo per sgombrare il campo da diversivi, ma per tornare alla buona politica. La differenza tra gli “altri tempi” e questi, infatti, non sta soltanto nel costo ma nella qualità della politica. Oggi uscire dalla crisi avviando uno sviluppo nuovo è impresa ardua, di lunga lena, che richiede impegno di qualità. Proprio per questo bisogna tornare ai partiti, adeguarli ai tempi e garantirne la democrazia interna. Un importante stimolo in questa direzione può venire dall’attuazione, con apposita normativa, dell’articolo 49 della Costituzione.

0 commenti

  • Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.

Lascia un commento