E’ la fine del contratto nazionale

18 Dicembre 2011
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Red

Finita la lotta di classe. Hanno vinto loro, hanno perso il lavoro e la democrazia. Sull’accordo Fiat articoli di Loris Campetti e Mauro Ravarino e un’intervista a Luciano Gallino. Il manifesto , 14 dicembre 2011.
Iniziamo con l’intervista a Luciano Gallino.
 

Luciano Gallino
«È la fine del contratto nazionale»
intervista di Antonio Sciotto

«L’accordo esteso a tutti gli stabilimenti Fiat è un passo verso la fine del contratto nazionale. Un fatto grave in un momento in cui i lavoratori sono divisi e frammentati, si perdono tutele fondamentali». Il professor Luciano Gallino, sociologo del lavoro molto attento al mondo dell’industria, non ha dubbi: l’intesa siglata ieri è tutta a perdere.

Dunque, professor Gallino, diciamo addio ai contratto nazionale.

È perlomeno un passo verso la sua fine, a cui hanno contribuito gli ultimi governi, in particolare quelli di Berlusconi: hanno sparato a zero, trovando spesso riscontro nella Confindustria. Non credo che questo sia un buon segno, perché il contratto nazionale in Italia ha almeno un secolo di storia, è stato e dovrebbe essere uno strumento importante di difesa complessiva dei diritti dei lavoratori, ha l’importante funzione di redistribuire il reddito, mantenendo il contatto con l’aumento della produttività e del carovita.

Ma ha ancora senso difendere il contratto nazionale quando il lavoro è ormai sempre più diviso e figure come ad esempio le partite Iva non ci rientrano nè mai ci rientreranno?

Io credo che abbia sempre e comunque un senso, per tutti quei lavoratori che cerchino una garanzia di base e collettiva. Anzi, oggi ci sono ancora maggiori ragioni per difenderlo. Quando c’erano le fabbriche con migliaia di lavoratori, per certi aspetti un contratto per un grande sito copriva la maggior parte degli addetti dell’intero settore, ma adesso che le fabbriche con migliaia di addetti non ci sono più, perché sono disperse sul territorio, il contratto nazionale funge da essenziale contrappeso alla frammentazione.

I lavoratori Fiat hanno aumentato gli straordinari comandati, la fatica alla catena con pause ridotte, perdono il diritto di sciopero. A fronte, però, sarebbe assicurata la permanenza della Fiat in Italia, e una monetizzazione con premi di produzione. È forse necessario in un momento in cui le buste paga sono sempre più sottili?

Non direi che è necessario. Ma è certo che un lavoratore messo alle strette, in preda al timore di perdere il posto, in una situazione in cui sono letteralmente milioni quelli che non hanno un’occupazione, o sono precari e malpagati, possa finire per dover scegliere il male minore. A me però questa non sembra una buona strada per relazioni industriali progressive. Mi pare piuttosto che vi sia un’ulteriore discesa, un arretramento, verso relazioni non dico pre-moderne ma quasi. Un regresso verso il modello statunitense, dove tanto le relazioni industriali nel complesso quanto la legislazione e la giurisprudenza sul lavoro, sono molto più arretrate che da noi, o meglio lo erano fino a ieri. Stiamo correndo indietro per raggiungere i parametri degli Usa.

Sembra approfondirsi la divisione tra Cgil-Fiom da un lato e Cisl-Uil dall’altro. Le Rsu Fiom sono escluse perché si applicherà l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori. Aumenterà il conflitto dentro le fabbriche?

Lo scenario sarà sempre più frammentato in una miriade di vertenze locali e puntiformi. Per certi aspetti è un contributo a una sorta di «giungla» delle relazioni industriali. Soprattutto se non si trovasse il modo di bloccare, se non addirittura di abolire, l’articolo 8 della manovra, che permette qualsiasi tipo di deroga alle leggi. Molti si soffermano solo sull’aggiramento dell’articolo 18, ma per certi versi direi che non è nemmeno l’aspetto peggiore. Nel secondo comma dell’articolo 8 sono minuziosamente indicate tutte le materie su cui è possibile derogare: dalle assunzioni con contratti atipici alle paghe, fino agli agli orari e all’organizzazione del lavoro. E tutto questo, neanche con la maggioranza dei sindacati, ma basta quella delle Rsu. Altri gruppi potrebbero decidere di seguire l’esempio Fiat, disegnandosi un contratto di settore e uscendo da quello nazionale: aggiungendo questo aspetto alla esclusione delle Rsu e alle deroghe permesse dall’articolo 8, abbiamo un mix disastroso, un combinato disposto micidiale che alla lunga non gioverà neanche alle aziende. Perché le imprese hanno l’interesse di fondo ad avere un interlocutore relativamente unitario, che non cambia voce e faccia a seconda che sia laziale, siciliano o veneto. Quanto all’articolo 19 dello Statuto, credo dovrebbero pronunciarsi i giuristi, ma certo, se ce ne sono le ragioni, potrebbe essere necessario modificarlo.

Ma incassato questo accordo, almeno Marchionne resterà in Italia? O lei vede comunque una Fiat in fuga?

Se ragioniamo sui dati e sulla realtà attuale, è piuttosto preoccupante. A Pomigliano si parla non già di riassumere tutti i 5 mila operai, ma intanto solo un migliaio entro febbraio 2012: stanno facendo una selezione con aspetti che sembrano un po’ strani, che mettono in difficoltà la Fiom. Termini Imerese ha chiuso e non si sa quale sia il suo futuro. A Mirafiori non so da quanto tempo lavorano una settimana al mese, e si annuncia una cassa integrazione fino a metà 2013, in vista di un nuovo modello che non si sa che cosa sia. Quest’anno la produzione di vetture Fiat toccherà il minimo storico, molto al di sotto delle 600 mila unità. Il che vuol dire meno della Francia, della Germania, del Regno Unito, della Spagna, perfino della Repubblica ceca e della Polonia. Il grande produttore europeo che se la batteva alla pari con la Volkswagen, è oggi al settimo/ottavo posto come produttore nazionale: la Volkswagen quest’anno arriverà a circa 5 milioni di vetture prodotte in Germania, più circa 2 milioni all’estero. E intanto il famoso piano «Fabbrica Italia» Fiat ancora nessuno lo ha visto.

Ma lasciare l’Italia per paesi più a basso costo, è almeno una scelta furba sul piano economico?

Io ribalterei la visione: mi chiederei cosa ci interessa come cittadini italiani. Credo innanzitutto i posti di lavoro, e le imposte pagate in Italia, per produzione fatta nel nostro Paese. Ci interessa la ricerca, e che l’industria nel suo complesso resti da noi. Che poi la Fiat abbia migliaia di lavoratori all’estero non ci riguarda più di tanto, sono posti di lavoro e imposte versate fuori.

Ecco ora articolo di Lorsi Campetti.

C’era una volta
di Loris Campetti

C’era una volta il contratto nazionale di lavoro, una delle più importanti conquiste democratiche del nostro secondo dopoguerra. Da ieri non c’è più, grazie allo strappo di Sergio Marchionne e al cambiamento di natura della Cisl e della Uil che da sindacati generali hanno scelto di regredire al rango di sindacati aziendali corporativi. Fim e Uilm, insieme ad altri addentellati padronali e di destra, hanno firmato l’estensione del cosiddetto «contratto Pomigliano» a tutti gli 86 mila dipendenti della Fiat. Senza alcuna delega da parte dei lavoratori ai quali sarà negato, oggi e per sempre secondo il diktat di Marchionne e grazie all’articolo 8 della manovra agostana Berlusconi-Sacconi, di giudicare con un voto quel che è stato deciso sulla loro pelle.

C’erano una volta anche le Rsu, figlie più o meno legittime degli antichi consigli di fabbrica, che comunque rappresentavano le volontà e il voto dei lavoratori. I delegati eletti democraticamente saranno ora sostituiti da ascari nominati dai sindacati firmatari degli accordi. Non si potrà più conoscere il consenso delle singole sigle perché i lavoratori sono stati retrocessi a pura mano d’opera, privi di diritti e di rappresentanza. Appendici delle macchine, variabili dipendenti del mercato, della globalizzazione e dei capricci dei padroni.

In Fiat, come in tutte le aziende italiane, c’era una volta la Fiom, 110 anni di vita, lotte, sconfitte e conquiste, il sindacato dei metalmeccanici più rappresentativo quando le rappresentanze venivano elette. Dal 1° gennaio del 2012 non ci sarà più nelle fabbriche dell’Eroe dei due monti Sergio Marchionne. Perché no? Perché la Fiom non ha accettato il ricatto «lavoro in cambio dei diritti» della Fiat dopo Cristo, rifiutandosi di firmare il contratto di Pomigliano.

C’era una volta il diritto di sciopero. E ad ammalarsi, a contrattare organizzazione del lavoro e straordinari. La firma di ieri ha cancellato in blocco questi diritti. Se vogliono lavorare gli operai dovranno accettare queste regole. Neanche questo è vero perché la Fiat sta andando a rotoli e viene chiuso uno stabilimento dopo l’altro. L’unica cosa che si può dire è che, grazie alla complicità dei sindacati di complemento, il padrone si è ripreso in mano tutto il potere. E’ la vendetta rispetto alle conquiste del ‘69 e degli anni Settanta. Una vendetta preparata lungamente con la complicità dei governi e della politica quasi in blocco. La manovra di Marchionne si affianca a quella di Monti e insieme rappresentano i pilastri di una nuova era basata sulla dittatura della finanza e dei padroni. Il terzo pilastro è l’insieme del sindacato confederale, con l’eccezione della Cgil se finalmente sceglierà di schierarsi con la «sua» Fiom senza se e senza ma. Il quarto pilastro è il Partito democratico, diviso, incapace persino di leggere i passaggi epocali.
Il voto separato di ieri ha spazzato via il fantasma della nuova unità sindacale materializzatosi per un sol giorno, anzi per tre ore. E oggi un Marchionne ringalluzzito da una vittoria costata appena trenta danari, potrà raccontare nuove bugie sull’italianità della Fiat parlando dalle linee di montaggio di Pomigliano liberate dai delegati e dagli iscritti della Fiom. Che pure ci saranno, ma fuori dai cancelli. E il manifesto insieme a loro.

Infine il terzo articolo di Mauro Ravarino 

Il segno del comando
di Mauro Ravarino

Divieto di sciopero e sanzioni per chi non rispetta gli accordi. La Fiat monetizza i diritti con un premio di risultato che gli operai non vedevano da due anni. A Torino, la firma che «cambia la natura del sindacato». Senza la Fiom

TORINO

Tutto come da copione o quasi. Solo con qualche giorno di ritardo. I sindacati del «sì» hanno firmato con il Lingotto, ieri all’Unione Industriale di Torino, il nuovo contratto del gruppo, che prevede - dal primo gennaio - l’estensione dell’accordo di Pomigliano a 86 mila e 200 dipendenti di oltre sessanta stabilimenti di Fiat Auto e Fiat Industrial. Una firma senza la Fiom, estromessa dalla trattativa e, ben presto, anche dalla rappresentanza nelle fabbriche. L’intesa, come quella già siglata per Mirafiori, prevede, infatti, che le Rsa siano elette solo tra i sindacati firmatari (Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Associazione Capi e Quadri). «Con questo accordo cambia la natura del sindacato confederale in Italia - commenta Maurizio Landini, segretario generale Fiom - Chi ha firmato, ha accettato di ridursi al ruolo di sindacato aziendale e corporativo. Fim e Uilm hanno agito contro la loro natura confederale».

Sepolto e disdetto il contratto nazionale, salutata Confindustria, il Lingotto ha plasmato per tutto il gruppo un contratto su misura e senza l’intenzione di interpellare i lavoratori con un referendum. Sulle materie regolate dal contratto, i sindacati hanno il divieto di indire scioperi; a questo, si affianca l’ormai famosa «clausola di responsabilità»: chi non rispetta gli accordi verrà sanzionato in termini di contributi e permessi sindacali. Tra le novità dell’intesa ci sono la maggiorazione dal 50% al 60% dello straordinario al sabato, l’aggiunta ai cinque scatti di anzianità biennali di un sesto scatto quadriennale, un aumento dello 0,5% del contributo aziendale ai fondi pensione integrativi. E, poi, il decantato premio straordinario di 600 euro (da notare che per due anni consecutivi la Fiat non ha saldato il premio di risultato), che tutto i lavoratori, compresi quelli in cassa integrazione, riceveranno nella busta paga di luglio.

Si lavorerà su 18 turni (3 al giorno su 6 giorni), con una settimana di 6 giorni lavorativi e la successiva di 4 giorni. Salgono a 120 , rispetto alle attuali 40, le ore di straordinario a disposizione dell’azienda, senza bisogno di contrattazione. Alla fine, sono rientrati anche i dubbi della Uilm sull’assenteismo, pure in questo caso, le volontà dell’azienda non sono state incrinate: più o meno ricalcano lo schema Mirafiori (il Lingotto non pagherà, infatti, i primi due giorni di malattia se l’assenteismo supererà il 3,5 per cento), seppur Rocco Palombella, leader Uilm, ribadisca: «Abbiamo condiviso una formulazione che garantisce i malati veri con delle norme stringenti utili a dissuadere quelli “finti”».

Secondo i firmatari, in seguito all’intesa i lavoratori del Gruppo beneficeranno di un incremento salariale medio del 5,2% sulla paga base. «Ora che abbiamo chiuso il capitolo contratto, dobbiamo aprire il capitolo lavoro» sottolinea Bruno Vitali, Fim. Ma la firma è arrivata senza nessuna promessa della Fiat e, per ora, di modelli nuovi non se vedono.

Esulta l’ad Sergio Marchionne, che parla di svolta storica nelle relazioni sindacali, e lancia un messaggio ai fedelissimi: «A quei sindacati che hanno abbracciato con noi questa sfida va riconosciuto il coraggio di cambiare le cose, va dato atto della mentalità innovativa che è l’unica in grado di costruire una base solida per il futuro». E bolla la Fiom come rappresentante dell’«antagonismo per professione». Per Susanna Camusso «si impone il tema della modifica dell’Articolo 19 dello Statuto dei lavoratori» per recuperare la rappresentanza Fiom.

«L’accordo firmato a Torino peggiora le condizioni di lavoro e limita le libertà sindacali per i lavoratori del Gruppo. Il governo non può stare a guardare» tuona Landini. «La Fiat - spiega Giorgio Airaudo, responsabile Auto Fiom - ha costretto alla resa una parte del sindacato imponendogli l’uscita dal contratto nazionale nella più importante azienda metalmeccanica privata italiana. Noi continueremo la nostra vertenza e vedremo se avranno il coraggio di far votare i lavoratori». Per Federico Bellono, Fiom Torino, «si sono limitati a registrare le volontà dell’azienda. I 600 euro sono pochi se si pensa a che i lavoratori non percepiscono premi da due anni». Infine, Mimmo Pantaleo, Flc: «È un grave attacco ai diritti costituzionali e alla democrazia perchè esclude il diritto dei lavoratori a poter essere rappresentati dalla Fiom».

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