Andrea Pubusa
Lucio Magri è stato un intelligente provocatore anche nella morte così come lo è sempre stato in vita. Col suo gesto, razionale e meditato, di porre fine ai suoi giorni, ha rilanciato la questione del diritto alla morte. Argomento, questo, fra i più controversi e dibattuti nella letteratura bioetica e nell’opinione pubblica. In certe condizioni di vita debole, in situazioni non degne di essere vissute, si possono sospendere i sostegni vitali, le terapie mediche sproporzionate? Nel caso di Lucio il quesito è ancora diverso: chi, per vari motivi, non vuole più vivere, può farsi aiutare a morire? Ed è accettabile sul piano etico quest’azione?
Ora è ben noto che diversi filoni della filosofia classica e, in epoca moderna, autori come M. Eyquem de Montaigne (1533-1592) appoggiarono l’idea che è cosa migliore darsi volontariamente la morte quando la vita offre solo più dolori intollerabili. Ma il diritto alla morte è stato affermato ed esercitato anche a sinistra. Uno dei più celebri casi di dolce morte è senz’altro quello di Paul Lafargue e Laura Marx trovati nel giardino di casa, seduti su due sedie, perfettamente composti. La coppia, ormai anziana, aveva deciso di togliersi la vita con un’iniezione di acido cianidrico. Il genero di Karl Marx, impenitente rivoluzionario francese, non è noto soltanto per l’affermazione del diritto alla morte, ma anche per aver sostenuto, in un suo celebre saggio, “Il diritto all’ozio“. Voleva, insomma. non solo la dolce morte, ma anche la dolce vita, ossia una vita senza un lavoro oppressivo, come accadeva ed accade alla grande massa dei lavoratori.
Contro il potere dell’uomo di essere arbitro indiscusso della vita si erge, per contro, la Chiesa cattolica che lo ritiene espressione di un’esasperata concettualizzazione del principio d’autonomia delle persone. E a sostegno adduce anche una critica serrata alle concezioni utilitaristiche. Sarebbe frutto di questa convinzione l’idea che il soggetto, mortificato dalla disabilità e limitato nelle sue capacità, sia un peso inutile per la società. Una società, dunque, incapace di vera solidarietà in opposizione ad una comunità premurosa che assicura, invece, un’assistenza sanitaria capace di interagire con le famiglie per realizzare un mondo più vivibile perché più ricco di umanità e di fiducia nell’altro e nelle sue capacità di sostegno.
Sul piano pratico, poi, si pone il delicato problema della tutela degli incapaci e degli inabili. Per loro chi può dare il consenso? La morte - come sanno tutti i lettori di gialli - talora viene data per fini non nobili, sullo sfondo ci può essere e spesso c’è la volontà d’impossessarsi dei beni del defunto. Non a caso, anche la legge svizzera vieta che nella procedura di morte assistita possano avere un ruolo coloro che dalla morte possono trarre un vantaggio.
Ma - come si vede - qui dal piano etico, scendiamo a quello giuridico, che indubbiamente pone problemi molto delicati in ordine alla genuinità della manifestazione della volontà di morire. Ma quando questa volontà è stata espressa in precedenza quando si era ben capaci d’intendere e volere? E quando - come nel caso di Magri - questa è la volontà di un uomo nel pieno delle sue capacità intellettive ed è anzi frutto di una razionale scelta? Ebbene, in questi casi vien male trovare un appiglio alla negazione del diritto alla dolce morte. L’unico fondamento, a ben vedere, non è altro che la pura sopraffazione, l’imposizione integralistica del pensiero e della volontà degli uni su quello degli altri, come avviene oggi in Italia.
Hans Georg Gadamer, interrogato sulla questione, richiamò il mito di Sisifo. Secondo la versione omerica, Sisifo doveva continuamente spingere un masso di marmo fino alla sommità di un colle ma, poco prima di giungere alla sommità, il masso insidioso gli sfuggiva sempre rotolando a valle. Un mito, interpretato in vario modo, anche se sembra prevalente in epoca moderna il richiamo ad esso per esaltare la volontà di chi, dopo una batosta, sa affrontare e iniziare le cose con rinnovata energia, una eroe della tenacia e dell’ostinazione.
Gadamer, tuttavia, non accede a questa lettura attivistica, e s’interroga sulle ragioni della condanna: Sisifo ha subito quella pena per aver nientemeno ingannato la morte. Con i suoi trucchi egli è riuscito persino ad evitare il suo ingresso nell’Ade. Di qui il suo duro tormento.
Morale della favola per Gadamer: si può infliggere una punizione alla volontà di sfuggire alla morte solo con un terribile ed artificioso prolungamento della vita. Ed è quanto avviene negli attuali centri di terapia intensiva e negli ospedali geriatrici: favoriamo il prolungamento vegetativo della vita per allontanare la morte naturale, la si ritarda in un modo che può apparire come una sorta di tormento di Sisifo, che si manifesta, ad esempio, nel mantenerci in un’esistenza vegetativa.
Prima conclusione del filofo tedesco: per il modo in cui le nostre possibilità tecniche ci mantengono in vita, Sisifo ha acquisito un nuovo significato simbolico: noi tutti dobbiamo continuamente imparare che morire è anche un processo di apprendimento, e non è solo il cadere in uno stato di incoscienza.
Seconda conclusione: c’è un diritto alla morte così come c’è un diritto alla vita. Si ha questo diritto, perché si è uomini liberi e perché lo scopo della terapia medica presuppone la persona; presuppone quindi che si abbia a che fare con un uomo il cui volere deve esser rispettato. I problemi si complicano quando il morire, l’agonia stessa, è un lento paralizzarsi della libera possibilità di decidere.
Ma questo non è stato il caso di Lucio e di tanti altri che, per le ragioni più varie, decidono di darsi una morte dolce. Tornando al mito: nel caso della dolce morte non si ricorre all’astuzia o all’artifizio per scansare l’Ade. Anzi, si accetta volontariamente di accedervi anzitempo. Dunque, perché infliggere lunghi tormenti?
2 commenti
1 Ego
2 Dicembre 2011 - 12:23
Ottimo articolo.
Le consiglierei di leggere il dibattito sul fatto quotidiano di oggi, relativo al “suicidio assistito”.
2 admin
2 Dicembre 2011 - 12:31
Grazie per la segnalazione. Provvederò. A.P.
Lascia un commento