Lucio Magri e la sua superba pretesa

30 Novembre 2011
1 Commento


Andrea Pubusa

  

Lucio Magri, insieme agli altri fondatori de Il Manifesto (Rivista, movimento, giornale), aveva una superba pretesa: quella della fuoriuscita dal capitalismo in crisi in nome di un comunismo libertario e maturo. Come Marx e Gramsci,  pensava che fosse una forma più avanzata ed alta di libertà per l’umanità. Un modo per spezzare le catene dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, della disuguaglianza sociale. Quando ormai la “spinta propulsiva” dell’Unione sovietica si era appannata e i dubbi sul cosiddetto “socialismo reale” divennero certezza  di esercizio incontrollato del potere, le analisi serrate e le idee visionarie di Lucio furono per noi giovani di allora una molla potente verso l’impegno politico.
Il comunismo per lui non era apparato, ma, come nel Manifesto di Marx ed Engels, “movimento reale che trasforma lo stato di cose presente”, e la forma in cui questo movimento doveva inverarsi era quella consiliare, a partire dai consigli di fabbrica. Insomma la tradizione marxiana dall’analisi della Comune di Parigi al primo movimento dei soviet agli albori della Rivoluzione d’ottobre, e all’esperienza dei consigli  nella Torino del giovane Gramsci dell’Ordine Nuovo.
Lucio Magri fu, come Marx e Gramsci, un libertario e a questo ispirò tutta la sua vita, in cui la passione politica fu il tratto assolutamente preminente ed assorbente.
Lucio univa alla bellezza fisica, una ancora più grande bellezza morale e un carisma che nasceva dall’arditezza del suo pensiero e dalla brillantezza delle sue analisi, dalla forza xoinvolgente delle sue proposte. Era impossibile partecipare ad una sua conferenza e non essere rapiti dal suo fitto ragionamento, lasciare la sala senza un grande senso di appagamento e un rinnovato proposito d’impegno. 
Poi, finita l’onda lunga del ’68 e la stagione dei consigli di fabbrica, di fronte alla ripresa dell’iniziativa del capitalismo a livello mondiale e delle forze moderate interne, capì che si apriva una lunga stagione di resistenza e di lotta e così, in corrispondenza dell’apertura di Berlinguer, si riavvicinò al PCI, per rientrarvi col PDUP nel 1984, poco prima della morte del leader comunista. Furono per lui anni tormentati, perché andarono manifestandosi non solo fenomeni di cedimento sul fronte ideale, ma iniziò a disvelarsi una certa disinvoltura sul piano morale.  E lui, da questo punto di vista, aveva una naturale intrasigenza. Come in Pintor, Rossanda, Castellina, Milani, Natoli e Parlato la politica per lui era il più alto esercizio morale, in quanto dedizione assoluta agli altri, ai lavoratori, alla comunità. E così il potere per lui era soltanto funzione, servizio, totale senza ritorni o calcoli personali.
Tutto questo spiega il suo sentirsi un estraneo rispetto all’oggi. Così, pian piano, il leader brillante, che infiammava le intelligenze più libertarie del ’68, è diventato, lentamente, ma ineluttabilmente,  un uomo inattuale, perché inattuale era il suo approccio alla politica, perché incolmabile era la sua lontananza dalle prassi politiche dell’oggi. Ed, in fondo, tutti quelli che lo hanno seguito ed amato e, pur nelle tortuose vicende di questi ultimi quarant’anni, anche in differenti collocazioni, non hanno mai smesso di ispirarsi al suo insegnamento, sono oggi degli isolati, delle voci che sembrano predicare nel deserto. Degli spostati, esiliati in patria e nella sedicente sinistra.
Eppure, se un giorno l’umanità riuscirà a raggiungere una forma più alta di convivenza, se l’uguaglianza diverrà la base dei rapporti sociali e della democrazia, se la liberté, l’egalité e la  negletta fraternité diverranno una triade reale e indissolubile, ebbene allora il pensiero di Lucio Magri riprenderà tutta la sua attualità, la sua figura si staglierà come quella di chi ha messo con passione un piccolo sasso per la costruzione dell’ordine nuovo. Noi oggi non siamo solo tristi per la sua morte, siamo sopratutto felici per averlo incontrato.

1 commento

  • 1 francesco cocco
    30 Novembre 2011 - 10:53

    Non voglio esprimere giudizi in questa sede sulla sua scelta finale. Quel che so, nel senso che ne sono convinto, è che la marcia verso il comunismo non abbraccia una breve stagione dell’umanità. E’ molto lunga ed è lotta anche verso sé stessi per superare le scorie di certi modi di essere e diventare combattenti che non rinunciano mai alla lotta..

Lascia un commento