In marcia contro la Bocconi

27 Novembre 2011
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Furio Colombo

Abbiamo pubblicato nei giorni scorsi alcuni scritti molto critici nei confronti del governo Monti, inteso da molti, sopratutto a sinistra, come un comitato rappresentativo del sistema bancario. Nell’area democratica “non intruppata” ci sono però molti che la pensano diversamente e mettono in risalto aspetti positivi dell’esecutivo del Professore. Fra questi c’è Furio Colombo che il 22 novembre 2011 su “Il Fatto Quotidiano” a domanda risponde.

Domanda:

Caro Colombo, che cosa hai pensato quando hai visto gli studenti di Milano, che tu hai sempre difeso, mettersi in marcia contro la Bocconi, come nuovo obiettivo nemico, solo perché il nuovo presidente Monti e uno dei nuovi ministri sono docenti e dirigenti della Bocconi?
                                                      Andrea

Risposta:

La prima cosa che ho pensato è che la distanza tra politica e opinione pubblica, e specialmente tra la politica e l’opinione pubblica giovane, è diventata immensa. Non sto giudicando le ragioni dette, che sono sensate, a cominciare dalla difesa della scuola pubblica contro la scuola privata. Ma sto dicendo che il governo di Monti non è l’associazione malavitosa Berlusconi & C. gravata di inchieste e di richieste pendenti di arresti, nota per legami di mafia, segnata da un tipo di conflitto di interessi che, per sua natura, è andato allargandosi e contagiando l’Italia, ma anche avvantaggiando notevolmente (fino alla caduta) il proprietario e primo ministro Berlusconi. I cortei studenteschi di Milano e di Roma non ci dicono che hanno torto gli studenti. Raccontano che le persone giovani ora hanno fiducia solo in se stesse e nei segnali che si scambiano tra loro. Ed è comprensibile (dopo quasi venti anni di egemonia berlusconiana, dunque di false notizie sulla vita italiana) che non abbiano fiducia in nessun altro e vedano tutto ciò che è una forma, piccola o grande, di potere come un inganno. Comunque è impossibile dargli torto, perché non cercano maestri o giudizi. Il cambiamento deve avvenire di qua, dalla parte di chi ha la responsabilità di essere o di sembrare la politica, di essere o sembrare il potere, di essere o sembrare classe dirigente. Le parole suonano vecchie e usate, spesso usate male. Non si tratta di cambiare il modo in cui i giovani giudicano o giudicheranno la vita pubblica. Si tratta di cambiare la vita pubblica, a cominciare dagli strumenti corretti e liberi del comunicare. Altrimenti si corre il rischio che tutto, sempre, appaia uguale all’umiliante vita nell’Italia di Berlusconi.

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