Carlo Dore jr.
“Odio gli indifferenti”, scriveva Gramsci nel lontano nel lontano 1917. “Domando conto a ognuno di loro come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e di ciò che non ha fatto”. Chissà se l’eco di queste parole ha sfiorato la mente di Matteo Renzi, mentre sorrideva dal palco della Leopolda, addobbato per la grande occasione come il set di una fiction da prima serata.
Il pc di ultima generazione fa la sua figura sul tavolo di ciliegio, tra il cesto di frutta e il frigorifero stile vintage; l’i-pad inonda la rete di messaggi al curaro: Bersani è vecchio; Bersani è superato; i partiti sono sovrastrutture vuote e obsolete, ennesimo retaggio di un passato che non c’è più. Gramsci? Non ci appartiene: che rilevanza può avere Gramsci nel mondo di Bill Gates e Steve Jobs?
Matteo si muove come il primo Obama, interagisce col pubblico come il Berlusconi del miracolo italiano, snocciola concetti semplici come il Veltroni del Lingotto, abbellite da uno slang toscaneggiante degno degli esordi di Pieraccioni. Matteo bacchetta i sindacati e i lavoratori fannulloni, esalta Marchionne come il modello di riferimento per l’economia del mondo nuovo. La confezione esalta le pulsioni nuoviste dei rottamatori di vario ordine e grado: piace ai delusi della Lega nord, non è sgradita al centro cattolico, miete consensi tra i mo-dem, riceve l’ennesima benedizione da Berlusconi in persona. Il prodotto, invece, fa storcere il naso ad una parte dell’opinione pubblica: Renzi difende il capitale, Renzi è lontano dal mondo del lavoro, Renzi è di destra. Matteo fa l’indifferente: son di destra? E chi se ne frega! Alla fine, anche destra e sinistra sono categorie obsolete.
“Odio gli indifferenti, odio chi non parteggia!”. Matteo continua a giocare con l’i-pad, mentre Bersani tuona: “mettiti a disposizione del progetto, non scalciare per avere spazio!”; Matteo risponde con una boccaccia, ed incassa l’applauso di Baricco e del creatore dei Gormiti: la convention è stata un successo, la lunga marcia di Matteo il rottamatore è appena cominciata. Eppure, tra i duemila della Leopolda inizia a serpeggiare il dubbio che a Matteo manchi qualcosa: c’è un bug nel sistema, il regista ha dimenticato uno strofinaccio sul set.
Cosa manca a Matteo? Manca la direzione da seguire, le certezze che appartengono solo a chi proviene da una certa storia, ed è dunque in grado di portare avanti quel processo di rinnovamento che la Storia ha tracciato. E’ la differenza tra nuovismo e progresso, tratteggiata su “L’Unità” dal filosofo Massimo Adinolfi; è l’assunto secondo cui il futuro non esiste se non trova radici nel passato.
L’I-pad si scarica in fretta, si spengono le luci sul set, Matteo è rimasto solo sul palco della Leopolda: dov’è il progetto politico di ampio respiro? Dove sono le soluzioni coraggiose sui temi nevralgici del lavoro, dei diritti, della giustizia, della legalità? Che film ha in testa il regista di Renzi? Silenzio. Matteo prova a fare l’indifferente, continua a discettare di asili nido e banda larga dinanzi all’ecatombe di un Paese che muore, strangolato da una crisi economica senza precedenti, ma è rimasto solo. Solo senza un’identità da proporre, solo senza un progetto da declinare, solo al centro di un mondo senz’anima.
Sono lontani Bill Gates e Steve Jobs, icone pop di una generazione che fatica a trasformarsi in classe dirigente; è lontano Sergio Marchionne, testimonial consapevole di un sistema che vorrebbe superare la crisi eliminando le tutele e facilitando i licenziamenti. E allora, cosa resta? Resta Gramsci, che continua a parlare da quel passato che Renzi vorrebbe cancellare con due comandi del suo i-pad: “Una generazione che deprime la generazione precedente non può che essere meschina e senza fiducia in sé stessa, anche se assume pose gladiatorie e smania per la grandezza”. Rottamazioni minacciate e cercate, pose gladiatorie declinate con uno stile che gravita tra “Amici miei” e “I laurerati” , aspirazioni di leadership di un leader senza progetto: sono le componenti del mondo di Renzi, che guarda al futuro, che è indifferente al passato e che preferisce la biografia di Steve Jobs alle riflessioni di Gramsci. Gramsci che odiava gli indifferenti, e che non faticherebbe a individuare i limiti del mondo senz’anima di Matteo il rottamatore.
1 commento
1 carlo dore jr.
5 Novembre 2011 - 07:59
l’articolo é stato pubblicato con altro titolo sul sito http://www.liberiasinistra.it
Lascia un commento