Recensione a cura di Andrea Pubusa
Volete documentarvi sulla decrescita? Ecco un libro agile che fa per voi. Proverete tante sensazioni, soprattutto quella di considerare un po’ folli quelle posizioni che auspicano un ritorno delle donne fra le mura domestiche a preparare yogurt e marmellate. In altre parti sembra un po’ il libro dei sogni: tutti in campagna a produrre per il proprio consumo o poco più. Ma – come si sa – il mondo è conformato ai sogni di chi riesce ad imporre la propria visione. Ed allora anche la decrescita è una delle opzioni in campo. Essa indica un nuovo sistema di valori e una prospettiva economica e produttiva finalizzata allo sviluppo di tecnologie che frenino la catastrofe ambientale causata dai processi produttivi.
La decrescita non è una rinuncia, una riduzione del benessere, un ritorno al passato. Piuttosto è una scelta consapevole, un miglioramento della qualità della vita, una rispettosa attenzione per il futuro. E la sobrietà non è solo uno stile di vita, ma una guida per la ricerca scientifica.
La decrescita è l’elogio dell’ozio, della lentezza e della durata.
Intervista a Maurizio Pallante, autore de “La Decrescita Felice”
Da tanto tempo sentivo parlare di decrescita, dell’interpretazione errata che economisti, politici e cittadini fanno dell’indice PIL, ma devo dire che l’approccio migliore, e tardivo, che potessi avere è stato quello di acquistare il libro di Maurizio Pallante “La Decresita Felice”, Editori Riuniti. Il sottotitolo è quanto mai esplicativo: La qualità della vita non dipende dal PIL. Consiglio a tutti l’acquisto di questo interessante, breve ed illuminante volume, capace davvero di far conoscere un altro mondo. E magari capace di farvi cambiare il vostro. Questa intervista l’ho fatta io a Maurizio Pallante, che ringrazio ancora per la disponibilità.
D) Innanzi tutto ti ringrazio per la disponibilità e ti faccio i complimenti per un libro che mi ha davvero aperto un (altro) mondo. Parlare di decrescita, anche all’interno di ambienti “preparati” ad argomenti come ecologia, lotte sociali, nuovi modelli, sembra ancora un argomento difficile sia da capire che da accettare. Sei d’accordo? Perché?
R) Il tema della decrescita è ancora un tabù, fondamentalmente per due ragioni:
- I due grandi filoni di pensiero che hanno avuto origine con lo sviluppo della società industriale, il liberalismo e il socialismo, in tutte le loro varianti hanno condiviso l’idea che la crescita economica fosse il fine stesso dell’attività produttiva, che l’occupazione fosse in un rapporto direttamente proporzionale con essa e che la quantità di merci prodotte e di servizi forniti fosse un indicatore adeguato del benessere. La loro contrapposizione politica, ma non culturale, si è incentrata sulle modalità di redistribuzione del prodotto interno lordo tra le classi sociali. Insomma, la base di tutto è che la torta cresca sempre di più di anno in anno, poi ci scontreremo sul taglio e la distribuzione delle fette. La decrescita mette in discussione il concetto fondamentale della cultura industriale. Qualcosa che governa i pensieri degli esseri umani nelle società industriali da 300 anni.
- Si ritiene che la crescita del pil misuri la quantità dei beni messi a disposizione da un sistema economico e produttivo, mentre misura la quantità delle merci, cioè di oggetti e servizi scambiati con denaro. Nell’idea di bene è insita l’idea di utilità e vantaggio. Non tutte le merci offrono utilità e vantaggi, quindi nell’idea di merce non è insita l’idea di bene. La crescita dei consumi di benzina nelle code automobilistiche fa crescere il pil, ma rallenta la velocità di spostamento, crea stress, inquina l’atmosfera, consuma inutilmente risorse preziose, è una minaccia per la pace, causa ingiustizie e sofferenze enormi a livello planetario. Viceversa, non tutti i beni si scambiano necessariamente con denaro, quindi nell’idea di bene non è insita l’idea di merce. I pomodori coltivati nell’orto familiare per autoconsumo non passano attraverso un processo di mercificazione eppure sono migliori, sia per chi li mangia, sia per l’ambiente, dei pomodori acquistati. E così, la maggior parte dei servizi alla persona. Se, in controtendenza con quanto avviene da 300 anni, si potenzia la produzione di beni riducendo la produzione delle merci corrispondenti, si capovolge l’idea generalizzata di benessere. Si compie un atto di sovversione culturale che spiazza il sistema dei valori da cui sono accomunate le due grandi correnti di pensiero e politiche sviluppate dall’industrializzazione.
D) Ogni notizia, ogni avvenimento, ogni parola che percepiamo dai media vanno nella direzione esattamente opposta al modello di decrescita. Il problema sono i media che non danno spazio a quello che è “altro” oppure quello che è “altro” è talmente poco significativo, numericamente parlando, da non meritare spazio?
R) I mass media esprimono e rafforzano la cultura della società industriale e i suoi valori. La decrescita li sovverte. La decrescita viene praticata in misura molto maggiore di quanto si creda, ma come scelta esistenziale, spesso senza avere la piena consapevolezza della sua “portata” culturale, della sua valenza politica, della sua carica sovversiva rispetto a idee forza come il progresso, la modernità, l’innovazione, il cambiamento. La sua forza consiste nell’esempio: è un messaggio che si può trasmettere solo se si vive. I mass media non hanno interesse a farlo conoscere. Tutt’al più possono ridicolizzarlo come una innocua nostalgia del passato, come una incapacità di adattamento al presente, alle sfide della vita.
D) Nel tuo interessante libro fai alcuni esempi di come attuare in modo pratico la decrescita e la condizione indispensabile sembra essere quella di avere una casa in campagna per poter autoprodurre il più possibile e potersi svincolare dalle classiche dinamiche. Non ti sembra un modello assolutamente limitato quello che obbligherebbe tutti al trasferimento verso le campagne in una sorta di de-urbanizzazione di massa ?
R) La sobrietà e l’autoproduzione di beni e servizi si possono realizzare al massimo livello soltanto in campagna e le città sono i tumori del pianeta terra. Sto leggendo in questi giorni un libro bellissimo, intitolato “Alla città nemica”. L’ha scritto Sonia Savioli, una milanese pentita che si è rifugiata in una borgata di un paesino del Chianti e l’ha pubblicato la casa editrice malatempora. Tuttavia, anche in città la decrescita si può praticare in misura molto maggiore di quanto non si faccia e non si creda. A me basta ricordare come vivevamo negli anni cinquanta in un palazzo popolare e in un quartiere popolare di Roma. L’autoproduzione di beni alimentari, il dono di servizi alla persona, la convivenza di tre generazioni, gli scambi di vicinato… E’ stato fatto in modo che ce ne dimenticassimo, che smettessimo di farci lo yogurt per comprarlo, che smettessimo di lavare l’insalata per andare a comprarla nelle buste di plastica, di far crescere i cuccioli e di far morire i vecchi in casa ecc.
D) Nel tuo libro parli di tasse e le leghi a doppia mandata con la crescita del PIL.: più tasse, più investimenti in strutture pubbliche di ogni tipo, più consumi, più PIL. Ma, estremizzando, uno stato senza assistenza è possibile? Uno stato senza pensioni è possibile? Uno stato senza tasse è possibile?
R) Che la spesa pubblica sia legata alla tassazione non lo dico io. E’ un fatto. Senza tasse lo Stato non può fornire assitenza, sanità, istruzione, pensioni, ecc. Io non ho ipotizzato uno stato senza assistenza, pensioni e tasse, come non ho scritto che sarebbe bene abolire gli scambi commerciali o che le merci possano essere sostituite totalmente da beni. Parlo di un sistema economico a tre cerchi concentrici: l’autoproduzione, gli scambi non mercantili fondati sul dono e il contro-dono, gli scambi mercantili. La società industriale ha allargato a dismisura e allarga sempre di più la sfera mercantile a scapito delle altre due, altrimenti il pil non potrebbe continuare a crescere. Io auspico che, chi lo ritiene utile per sé, allarghi le sfere dell’autoproduzione e degli scambi fondati sul dono e sul contro-dono riducendo la sfera mercantile. Ognuno nella misura che crede o può realizzare a seconda della fase della vita che attraversa, del lavoro che fa, di quanto soffre. Oltre a fare del bene a chi le compie, scelte di questo genere inviano il messaggio forte e visibile che un altro modo di vivere è possibile. Hanno in sé una valenza politica e culturale al contempo, perché non sono solo parole o idee, ma scelte di vita praticate. La loro somma può avere un effetto dirompente rispetto alle prospettive disastrose a cui la società industriale sta conducendo il mondo. Non c’è altro modo di salvarci dall’autodistruzione, ammesso che si faccia ancora in tempo. Non c’è altro modo per i paesi poveri di uscire dalla povertà.
D) Ne “La decrescita felice” parli anche del ritorno al modello di famiglia allargata, come una delle soluzioni a molti problemi, dando per scontato che quel modello sia un modello migliore dell’attuale (le famiglie mononucleari o simili). Non credi che l’abbandono di quel modello abbia anche portato una serie di benefici alle persone che lo hanno portato avanti (indipendenza, svincolo da vecchi “valori” come la famiglia patriarcale)?
R) Non capisco perché quando si critica una struttura mostruosa come la famiglia mononucleare attuale si debba pensare che l’alternativa sia la riproposizione della famiglia allargata tradizionale. Non è possibile ipotizzare un’alternativa che riprenda gli aspetti positivi delle famiglie allargate senza riprodurne i difetti? Non è possibile reinterpretare ciò che c’era di buono per renderlo migliore abbandonandone i limiti e gli aspetti inaccettabili? Vogliamo smetterla di dare per scontato che tutto il nuovo è un valore e tutto il vecchio è un disvalore? Il valore del nuovo, il progressismo, è il fondamento della crescita, è ciò che riempie in tempi sempre più rapidi le discariche. Il nuovo è un valore solo se non pretende di sostituire il vecchio, ma di integrarlo.
D) Nel tuo libro, se devo fare una critica, trovo uno scarso interesse nei confronti dei numeri “macro”: intendo dire che non si analizza a fondo la fattibilità di un modello basato sulla decrescita. E’ possibile decrescere tutti insieme o anche a livello teorico la decrescita non è sostenibile?
R) La decrescita è l’unico modo, a mio avviso, di operare nel mondo in modo sostenibile. Il macro nasce dalla somma di tante scelte individuali purché siano compiute con la consapevolezza che il loro valore travalica la dimensione individuale e diventa proposta politica. Costruire modelli non serve. Serve avere comportamenti responsabili nella propria vita sapendo che si contribusice a costruire una cultura alternativa a quella della società industriale. Dobbiamo camminare domandando.
1 commento
1 Blog Miss Net » La Decrescita Felice, di M. Pallante
7 Agosto 2008 - 06:54
[…] MF/News: […]
Lascia un commento