Andrea Pubusa
Oltre tre milioni di euro sequestrati a Renato Soru, su ordine della magistratura, per evasione fiscale. Questa la notizia. Al centro dell’inchiesta ci sarebbe un prestito fatto dalla società Andalas ldt a Tiscali finance per circa 27 milioni e mezzo di euro con i relativi interessi pagati negli anni a favore della società inglese. Soru sinora ha fatto sapere di aver sempre agito nella “assoluta trasparenza e correttezza, anche sotto il profilo tributario”, e di aver fornito ampia collaborazione agli inquirenti.
Noi, da garantisti rigorosi, prendiamo atto del provvedimento del giudice, ma anche delle dichiarazioni di Soru e, fino a sentenza definitiva di condanna, presumiamo la sua non colpevolezza. Anzi, speriamo che l’ex Presidente della Regione possa provare in giudizio la sua piena innocenza.
Detto questo sul piano giudiziario, con altrettanta nettezza soggiungiamo che questa ennesima vicenda impone a Soru di uscire dalla scena politica per dedicarsi in pieno alle sue molteplici attività imprenditoriali, editoriali e finanziarie. Lo invitiamo ad un passo indietro anzitutto in forza di un convincimento generale: gli imprenditori è bene che facciano al meglio il loro mestiere. Non è consono al buon funzionamento di un regime democratico che il potere economico-finanziario-editoriaòe si cumuli con quello politico. La politica nei regimi democratici ha esattamente il compito di contenere lo strapotere dei forti in favore di un equilibrio accettabile e giusto fra i cittadini e i ceti sociali. Il governo diretto di grandi imprenditori, presto o tardi, dà prevalenza agli interessi padronali e/o, peggio, a quelli personali di chi ricopre cariche istituzionali importanti. Il caso Berlusconi ne è l’emblema, ma tutte le esperienze governative di titolari di imperi economici sono caratterizzati da un enorme conflitto d’interessi e da manifesti squilibri in favore dei ceti imprenditoriali.
Da questo punto di vista, Soru ha già dato pessima prova, da Presidente della regione, con la proposta di una legge statutaria che legittimava il suo conflitto d’interessi e che per questo ha promulgato benché non fosse mai divenuta legge. Una forzatura senza precedenti nella storia istituzionale italiana, come ha sancito la Corte costituzionale. Una mostruosità: la promulgazione di un testo di legge mai approvato.
Per di più Soru pretende d’essere il leader non del centrodestra o di uno dei tanti movimenti populisti che spesso sono capeggiati da simili personaggi. No, pretende la leadership dello schieramento di centrosinistra, che ha nel DNA dei suoi elettori il principio di legalità, l’adempimento dei doveri imposti dalle leggi, primo fra tutti quello fiscale. Se quanto asserito dalla Procura risulterà vero, con le somme evase da Soru, potrebbero finanziarsi tanti servizi scolastici comunali oggi in grave sofferenza per mancanza di fondi.
Soru inoltre al potere economico-finanziario aggiunge il conflitto d’interessi nascente dall’essere titolare di una testata regionale. Questi conflitti non valgono solo per gli avversari (il Cavaliere), valgono ancor più per chi ci vuole essere vicino.
Insomma, una situazione delicata che dovrebbe indurre l’ex Presidente e che comunque ci impone di chiedergli di abbandonare le sue pretese leaderistiche per dare - se ritiene - un prezioso contributo, facendo parte della “riserva democratica”, e cioé di quell’insieme di personalità che, spontaneamente e senza tornaconti, offrono alla democrazia sarda e nazionale il proprio contributo di idee e d’iniziativa. Del resto, il passo indietro è imposto semplicemente da ragioni di correttezza democratica: chi è inquisito sospende la sua attività politico-istituzionale in attesa del giudizio. Chi rispetta l’etica democratica fa così.
Ci pare, da cittadini del centrosinistra, suoi generosi elettori nel 2004, che questo sia il minimo che possiamo chiedere oggi a Renato Soru, senza, tuttavia, essere disponibili - sia ben chiaro - ad accontentarci di niente di meno.
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