Pugni chiusi 1

9 Ottobre 2011
Nessun commento


Gianna Lai

L’altra sera al Teatro Massimo di Cagliari L’Umanitaria ha presentato la prima del film “Pugni chiusi” sulla autoreclusione degli operai Vilnys all’Asinara. Un bel lavoro cinematografico, pluripremiato al festival del Cinema di Venezia, che suscita molti sentimenti e suggestioni. Ecco di seguito come lo hanno visto due dei presenti alla proiezione.


Si apre con le immagini del mare il bel film di Fiorella Infascelli sugli operai della Vinyls di Portotorres, nell’isola dell’Asinara. E si sviluppa attraverso le interviste a Pietro, Saverio, Andrea, Silvia, Antonello, espressione dei lavoratori impegnati in Sardegna contro la chiusura delle fabbriche. Al centro una lotta che riguarda tutti, io lotto per i cassaintegrati, per i precari, per i licenziati, come dice il più giovane degli operai, nella ricerca di quella solidarietà che dia respiro alla protesta e ne allarghi i confini. Mentre Pietro ricorda Berlinguer e quanto manchi la sua politica, i boschi e le coste dell’isola fanno da sfondo al racconto di quei 14 mesi passati all’Asinara, come reclusi, aggiunge Antonio, l’altro operaio giovane, pur non avendo compiuto alcun reato, se non quello della perdita del posto di lavoro. E nata come protesta estrema nel luogo destinato ai più pericolosi malfattori, ha finito per ospitare centinaia e centinaia di persone la lotta di questi mesi, venute a esprimere sostegno e conforto, a dare risonanza ad una esperienza che rischiava, all’inizio, di ridursi nella più profonda solitudine. In che modo il gruppo degli operai ha potuto reggere? Con l’aiuto prima di tutto delle famiglie, che hanno fortemente voluto partecipare alla lotta, e Marisa con rabbia dice che questo governo se ne deve andare. E Margherita esprime commossa la sofferenza di questi mesi, gli arrivi e le partenze del fine settimana, mentre la nave prende il largo, lanciando un lungo fischio di saluto agli operai e alla troupe del film, per tenere forte il legame tra l’isola e la Sardegna. Altre continue adesioni hanno rafforzato il gruppo, racconta Antonello, perchè perdere il lavoro vuol dire perdere la libertà, la vita, ed mi chiudevo in me stesso, fino a quando non ho deciso di seguire qui i miei compagni, per divider con loro la sofferenza, per ritrovare fiducia nella vita. E poi il diario quotidiano da spedire alla Nuova Sardegna, e le interviste e la partecipazione a trasmissioni televisive, dice Saverio, da semplice operaio ho imparato a parlare in pubblico, a dire le mie idee: ci siamo arricchiti siamo diventati più forti anche per affrontare i momenti più difficili, quelli dell’attesa delle decisioni da Roma. E il blog e facebook, e la biblioteca cui contribuisce Silvia, maestra disoccupata di un’altra era, quella pregelmini che, come i compagni, non perde le speranze di poter di nuovo fare il suo lavoro, in classe, anche se ora i suoi bambini sono in aula, e lei nell’isola dei cassaintegrati.
Senza il lavoro non siamo niente, era bellissimo vedere la fabbrica andare a pieno ritmo, che sofferenza vederne ridurre a poco a poco i reparti! Ora c’è anche il libro di Silvia a raccontare e testimoniare, giorno dopo giorno, storie e avventure di operai all’Asinara.
Nella leggerezza dei racconti sul quotidiano, il film sa trasmettere l’alta consapevolezza raggiunta dai lavoratori, e la grande capacità di analisi sulla condizione operaia. Dove ricorre spesso la sollecitazione alla protesta pacifica, qui i poliziotti non possono inseguirci per prenderci a manganellate, come invito a non cadere nella disperazione, a incanalare la rabbia in un progetto che mantenga al centro l’esperienza collettiva. Del tutto assente il sindacato nel film, anche se vediamo le bandiere della CGIL sventolare all’ingresso della Direzione generale di Cala d’Oliva, sede dei Cassaintegrati. Scelta della regista che ha ritenuto scarsa la presenza delle Confederazioni?
Il pubblico che gremiva il teatro Massimo, ha applaudito a lungo e con calore. Era commosso e partecipe di quelle storie e di quella volontà forte a non cedere, e ha ringraziato con affetto regista e operai-attori saliti sul palco a salutare, a conclusione del film.
Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso, si leggeva sulla maglietta di uno degli operai saliti sul palco, lo slogan, pare, dei nuovi cassaintegrati.

0 commenti

  • Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.

Lascia un commento