S. Anna Arresi, paese della musica e del vino

4 Settembre 2011
3 Commenti


A.P.

Quando all’inizio degli anni ‘60 mi sono recato con gli amici d’allora per la prima volta a ballare a S. Anna Arresi, questo centro era una frazione di Giba. Un paese dimenticato da tutti, perché nessuno lo attraversava neppure di passaggio. Da Teulada per Cagliari si passa da Domus de Maria, mentre nell’altra direzione S. Anna è il “capolinea”. Ricordo che allora alla festa patronale di agosto suonava un’orchestrina di Carbonia, ed era una vera attrazioneper gli arresini. Ora, ci torno ogni anno a fine agosto-primi di settembre, ma a sentire i mostri sacri del jazz mondiale.
Negli annni ‘60 Basilio Sulis iniziava a Carbonia ad organizzare qualche spettacolino canoro. Pian piano ha intensificato l’attività fino portare qualche cantante di successo. Così ha fatto un po’ di cassa ed è riuscito ad acquistare una vecchia casa sarda (la peschiera di P. Pino), dove ha aperto un ristorante. E così questo ragazzo un po’ strano ha messo su una delle iniziative musicali più rinomate d’Itallia, dando lustro a S. Anna e all’Isola. Certo, quand’era ragazzo nessuno avrebbe scommesso su di lui e avrebbe immaginato in lui una così grande capacità di organizzatore culturale.
Negli anni scorsi a S. Anna è approdato anche Gavino Sanna, il noto pubblicitario, che ha aperto un’azienda di vini di grande pregio. S. Anna, da derelitta frazione di Giba, è così diventata “il paese della musica e del vino”.
In questi giorni, AI CONFINI TRA SARDEGNA E JAZZ è alla XXV EDIZIONE ed ha svikuppato un programma - come sempre - di tutto rispetto. Ne sono perfettamente consapevoli gli organizzatori, come ben emerge dalla presentazione dell’evento che si conclude, con pieno successo, oggi nella Piazza del Nuraghe. Eccola.

Non da ora in controtendenza rispetto ad un panorama oggi più che mai dominato da manifestazioni jazzistiche dispersive e disorganiche, alla ventiseiesima edizione Ai confini tra Sardegna e Jazz continua a muoversi in coerenza con gli indirizzi che l’hanno distinta nella sua storia.
Innanzitutto con l’opzione di fondo per una idea del jazz non come esercizio stilistico che si compiace della propria adesione più o meno virtuosistica a modelli del passato, in una dimensione sostanzialmente narcisistica e di innocuo intrattenimento: jazz invece come palpitante espressione della contemporaneità, che nella storia cerca non una consolatoria pace estetica e un “bello” fuori dal tempo, ma l’esempio di un inquieto rapporto con il presente, mai risolto una volta per tutte, sempre teso alla ricerca di linguaggi adeguati a rendere il nuovo.
In questa prospettiva Ai confini tra Sardegna e Jazz ha imperniato il proprio cartellone - per stare solo ad edizioni recenti - su artisti, ancora in attività, esemplari dell’innovazione (Abrams, Braxton, Mitchell, Lewis della chicagoana AACM, Pat Metheny, William Parker, Butch Morris) o su grandi figure di sperimentatori che, non più tra noi, continuano a rappresentare una potente ispirazione per una pratica musicale visionaria e non conformista (Don Cherry, Albert Ayler).
La scelta è caduta quest’anno su Jaco Pastorius, folgorante meteora che ha attraversato lasciando una scia luminosissima la musica degli anni settanta-ottanta: morto tragicamente a trentacinque anni nell’87, nella sua breve parabola Pastorius ha fatto in tempo ad affermare il suo stile come una pietra miliare nell’evoluzione dell’uso del basso elettrico, ma è anche assurto a
protagonista emblematico della vita musicale della sua epoca, e rimane ancora oggi uno dei personaggi del mondo della musica più amati e anche idolatrati dagli appassionati.
Il cartellone di Ai confini tra Sardegna e Jazz lo celebra con una fitta trama di rimandi, omaggi, presenze e innanzitutto con un particolare riguardo per il basso elettrico e il contrabbasso. L’universo musicale di cui Pastorius è stato uno degli artefici sarà richiamato da due dei musicisti più importanti con cui il bassista collaborò, i chitarristi Mike Stern e Biréli Lagrene, il primo in quartetto e il secondo in trio. L’arte di Pastorius sarà rivisitata dalla Rolli’s Tones Big Band del bassista Maurizio Rolli, con guest Mike Stern e alla batteria Julius Pastorius, figlio di Jaco. E a Pastorius saranno dedicate una nuova composizione di Rob Mazurek, con in evidenza il bassista Matthew Lux, presentata in una delle due esibizioni in programma della Exploding Star Orchestra, e inoltre le esibizioni della contrabbassista Silvia Bolognesi (con la voce narrante di Alberto Masala e l’equilibrista Valentin) e del duo di Victor Bailey e Othello Molineaux.
A onorare l’epopea del basso elettrico di cui Pastorius ha scritto alcune delle pagine più gloriose, sul palco di Ai confini tra Sardegna e Jazz sfileranno alcuni dei massimi alfieri dello strumento. Noto per il suo lavoro con la Windham Hill Records, la famosa etichetta di indirizzo “new age”, ma anche per la sua partecipazione agli omaggi al Miles elettrico di Leo Smith ed Henry Kaiser, Michael Manring ha virtuosisticamente fatto tesoro della lezione stilistica di Pastorius. Emerso negli stessi anni di Pastorius, Jamaaladeen Tacuma, che deve la sua fama soprattutto alla sua militanza nel Prime Time di Ornette Coleman,
è, con la sua impronta funky, il suo particolare sound e il suo implacabile senso del ritmo, uno dei bassisti elettrici più coinvolgenti, originali e ammirati degli ultimi decenni. Cooptato nei primi anni ottanta nei Weather Report, Victor Bailey è il bassista che ebbe il non facile compito di rimpiazzare Pastorius nello straordinario gruppo di Shorter e Zawinul. Con un lungo curriculum di collaborazioni con protagonisti di primo piano in ambito free, free-funk, avantgarde e rock (Defunkt, Sonny Sharrock, Vernon Reid, John Zorn, Bill Frisell, Rollins Band), Melvin Gibbs è uno dei bassisti più versatili e di impatto sulla scena odierna. Tra i bassisti tecnicamente più ferrati in attività, con un’esperienza che va da Bill Bruford a Metheny a Van Halen, Jeff Berlin esibisce uno stile, che, per nulla imitativo, non è però privo di affinità con quello di Pastorius. Battistrada di nuovi approcci tecnici, dotato di grande gusto musicale, Tony Levin ha all’attivo un’infinita serie di collaborazioni di prim’ordine in ambito rock (John Lennon, David Bowie, Peter Gabriel, King Crimson, Yes, Pink Floyd, Dire Straits).
Ma a questa apoteosi del basso in omaggio a Pastorius contribuiranno anche Roy Babbington, che prima affiancò e poi sostituì Hugh Hopper nei Soft Machine, e che proprio con la storica band si esibirà a Sant’Anna Arresi (John Etheridge,
chitarra, Theo Travis, sax e flauto, John Marshall, batteria, e Tony Levin come ospite); Buster Williams, contrabbassista e bassista elettrico che calca le scene jazistiche dalla fine degli anni cinquanta e che può vantare collaborazioni con
mezzo mondo del jazz, da Mary Lou Williams a Gil Evans, da Betty Carter a McCoy Tyner; e i sei contrabbassisti dell’Orchestre de Contrebasses (fra cui Christian Gentet, che l’ha fondata nel 1981), che all’aspetto musicale aggiunge elementi scenici e gestuali.
Ma con l’omaggio a Pastorius coincide in parte un altro asse che è possibile rintracciare nel cartellone di quest’anno: la tematizzazione di uno dei filoni musicali più vitali e gustosi degli ultimi decenni, quello del free-funk, di cui Ai confini tra Sardegna e Jazz presenta quest’anno tutti i più illustri esponenti (a parte Ornette Coleman, che in un certo modo ha tenuto a battesimo questa corrente, ma che dall’alveo del free-funk è uscito da tempo): i Defunkt del trombonista Joe Bowie, il batterista Ronald Shannon Jackson (caso più unico che raro di drummer che può vantare di aver affiancato non occasionalmente tre mostri sacri del free come Albert Ayler, Cecil Taylor e Ornette Coleman) in trio con Vernon Reid (il chitarrista della rockband nera Living Colour) e Melvin Gibbs, il chitarrista James Blood Ulmer, che si esibirà in solo, e Jamaaladeen Tacuma. Con questo insieme di presenze Ai confini tra Sardegna e Jazz conferma anche la sua attenzione per il jazz avanzato neroamericano: un’attenzione che a giudicare dalle scelte correnti dei festival è tutt’altro -
paradossalmente, data la vicenda del jazz - che scontata.
Ma Ai confini tra Sardegna e Jazz ribadisce un altro -impegnativo - interesse che da anni la fa risaltare fra i festival di jazz italiani e la colloca tra le rassegne più sensibili e attente in Europa: quello per un’utilizzo innovativo, non convenzionale, della dimensione orchestrale. Dopo le ampie compagini guidate da William Parker e da Butch Morris, a tenere alta la tradizione di formazioni orchestrali del festival sarà quest’anno la Exploding Star Orchestra: Rob Mazurek, il cornettista chicagoano che la guida, è una delle personalità più consistenti della scena di oggi. E come consuetudine della rassegna, l’orchestra avrà l’occasione di farsi ascoltare più di una volta: altra intelligente, encomiabile tradizione di Ai confini tra Sardegna e Jazz.

3 commenti

  • 1 michele podda
    5 Settembre 2011 - 00:30

    Caro Direttore,
    se fossi professore di lettere, assegnerei un bel voto al tuo testo (7- ?) ma chiuderei il giudizio con una domanda: “E’ tutta farina del tuo sacco?”. Sì, perchè la tua competenza jazzistica va oltre ogni mia più ottimistica immaginazione, e non riesco a immaginarmitici davvero, calato anima e corpo così a fondo nel mondo del jazz d’AVANGUARDIA. Va be’, la presentazione dell’evento non è tua, ma la condividi appieno; dunque è come se lo fosse.

    Ma lasciamo il faceto e veniamo al serio: si può sapere che razza di CONFINE sarebbe questo tra SARDEGNA e JAZZ? Vi è tra i due comunicazione, osmosi, contaminazione? Mi pare di notare che sul piatto della bilancia pesi sopratutto il Jazz, con i suoi mostri sacri rigorosamente angloamericani e persino chicagoani, ma di Sardegna, non sono proprio riuscito a vederne (forse Bolognesi, la voce di Masala…). La Sardegna dunque si limita a costituire il piano di appoggio della bilancia, ma sul piatto c’è solo Jack, o meglio Jazz. Mi sarei aspettato Fresu, o il tenore di Orosei, o Inoria Bande, la figlia del compianto Francesco, o Elena Ledda… NIENTE. Soltanto volo alto, solo Jazz: ma allora in che senso SARDEGNA?

    Questo evento fa sicuramente onore agli amici organizzatori arresini, e lo dico seriamente, epperò a me pare che esso faccia il paio con un altro evento di pari importanza (così credo io) che si svolge in Barbagia, quello dell’Isola delle Storie, il Festival Letterario della Sardegna. “Ah, letteratura sarda, in lingua sarda?” mi burlerai tu; no naturalmente, ma di respiro NAZIONALE, che ben presto potrebbe essere anglo-internazionale (ormai anche in Barbagia tutti conosciamo l’inglese). Allora ci confronteremo ad armi pari, Meurreddia de Basciu e Barbaza de Mesu. Atopa ca no!

    In altre parole mi chiedo: riusciremo mai noi sardi a coniugare la sacrosanta esigenza di entrare in contatto e di conoscere il meglio della realtà artistica nazionale e mondiale, con l’altrettanto sacrosanto DOVERE di conoscere e valorizzare il meglio della nostra (ricca?) realtà artistica per poterla proporre anche noi al resto del mondo?

  • 2 admin
    5 Settembre 2011 - 09:50

    Caro Michele,

    non sarei così pessimista per la musica sarda. In effetti nelle edizioni scorse a S. Anna ci sono state contaminazioni fra grandi jazzisti e launeddas (Ornette Coleman). Altre grandi star mondiali si sono innamorate della musica sarda e l’hanno fatta conoscere nel mondo. In realtà, il jazz ha nel suo dna la libera ricerca e la contaminazione. E’ una musica nata e cresciuta fra le minoranze. Con lo stesso spirito e senza timori reverenziali la musica sarda può affermare la propria presenza. E credo lo stia facendo in modo eccellente.

  • 3 Franco
    5 Settembre 2011 - 16:44

    Ma proprio questa edizione del festival ha visto la presenza di uno dei più notevoli prodotti della scena sarda: i Musica ex Machina che non solo hanno suonato mercoledì scorso - splendido concerto peraltro - ma hanno anche presentato il loro ultimo lavoro discografico !
    Direi quindi che non solo la rassegna di Sant’Anna Arresi si è fatta carico di far emergere la produzione isolana di qualità, ma ha anche selezionato qualcosa di meno sentito di Elena Ledda o Paolo Fresu.

    In generale l’investimento sulla diffusione del jazz in sardegna non ha prodotto solo intrattenimento di qualità (e di importazione), ma anche una conoscenza ed una pratica del genere che ha fatto crescere musicisti di valore, alcuni dei quali sono arrivati alla fama nazionale ed internazionale, mentre altri restano nell’ombra delle serate musicali isolane…

    Dando spazio ai Musica ex Machina Sant’Anna Arresi ha senz’altro assolto al suo compito di diffondere il meglio della produzione sarda, quella che ha meno accesso (finora, ed immeritatamente) ai palcoscenici più importanti… e chi si è distratto faccia ammenda !!

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