Guido Melis
Viene a Sassari la compagnia teatrale ASSAI del carcere di Rebibbia. Un gruppo fantastico, nel quale Antonio Turco, educatore, musicista, specialmente persona straordinaria, chiama a raccolta i detenuti in stato di semilibertà e qualcuno già uscito per raccontare, su testi scritti da loro, con canzoni bellissime, la storia eterna di chi sbaglia, paga, qualche volta si riscatta. Recitano all’Università di Sassari. Successo enorme. L’indomani rifanno lo spettacolo nel carcere sassarese di San Sebastiano, davanti a un pubblico di detenuti prima incuriositi, poi coinvolti, infine commossi. Bellissima esperienza, in un mondo di dolore e di speranze fallite.
Bene, la sera della prima recita c’è un piccolo rinfresco offerto dal rettore di Sassari Attilio Mastino. Si prolunga sino alla mezzanotte, perché Mastino l’indomani compie gli anni e la compagnia gli vuole fare la festa a sorpresa. Si ride, si scherza, si canta insieme. Il carcere sembra lontano mille miglia.
Finisce la festa e si torna all’albergo. Ma uno degli ospiti, un ragazzo calabrese che ha appena recitato una parte nello spettacolo, ha bevuto qualche bicchiere di Perdera. E’ un ex alcolista - sapremo dopo - che da 6 anni non tocca alcol. E che sta per uscire, per pena scontata. Chissà che gli ha preso, nella spensieratezza di quella serata speciale. Magari le ragazze, studentesse e docenti, che bevevano felici. Magari la voglia di provare: “ne sono uscito, posso farlo”. Dice Antonio, il loro leader e amico di sempre: “Se c’erano i compagni giusti, che lo sapevano, glielo avrebbero impedito”. Ma era in mezzo ad estranei, e nessuno se ne è accorto.
Pochi bicchieri, per sciupare un percorso virtuoso, per ripiombare nello sbaglio. Esce, si aggira per strade sassaresi che non conosce. In via Duca degli Abruzzi (chissà come ci è capitato) gli viene un impulso: danneggia le auto posteggiate, fa casino, va in escandecenze. Interviene la volante. L’indomani il ragazzo è davanti al giudice: danneggiamenti, ubriachezza molesta…Condannato.
Questa è la storia. La storia di chi ha sbagliato una volta ma può sempre ricascarci. La storia di vite provvisoriamente perdute che cercano la strada per venirne fuori. E non sempre la trovano. Auguiriamogli di riprendere il cammino, a questo ragazzo, a questo nostro figlio e fratello solo un po’ più debole di noi (forse neanche tanto più debole).
Questa è la storia. Ma c’è - l’ho detto - un risvolto che riguarda l’informazione. Perché ieri la “Nuova Sardegna” , il quotidiano di Sassari, è uscito con un’apertura in cronaca cittadina a tutta pagina: “Arrestato dopo lo spettacolo teatrale”. E’ una pagina intera, che dà anche notizia della performance della compagnia. Ma tutto l’inizio del pezzo, il titolo, il sommarieto è dedicato al “calabrese”, con nome, cognome, età (36 anni). E qualche battutina spiritosa nel narrare i fatti, che non guasta mai. Sbatti il mostro in prima pagina.
Ora mi domando: ma era proprio tanto importante, questa cazzata dell’attore-carcerato, da oscurare quello che la compagnia ASSAI aveva fatto giovedì’ sera all’Universtità e avrebbe rifatto l’indomani nel carcere di San Sebastiano, quello che fa in giro per tutta Italia tutte le sere, dando una prospettiva di speranza a chi sta in carcere e coinvolgendo chi sta fuori e del carcere non sa niente? Meritava più spazio, questo episodio banale, della gioia dei ragazzi e delle ragazze che a San Sebastiano avevano venerdì partecipato ballando e cantando allo spettacolo? E’ stata una corretta impaginazione dei fatti? Buon giornalismo?
Io penso (ho la presunzione di pensare, avendo anche qualche esperienza sia pure esterna di giornali e di giornalismo) che questa volta la “Nuova” abbia sbagliato. Si è distratta. Ha sbattuto il mostro in prima pagina, senza chiedersi se davvero fosse un mostro. E ha perso l’occasione di mettere i fatti nella loro giusta proporzione: prima i più importanti, poi i dettagli. Peché è un dettaglio l’ubriaco che danneggia le auto quando non è padrone di sé.
Se poi avesse indagato, il giornale, se avesse voluto andare più in là, avrebbe potuto raccontare la storia di un ex ragazzo calabrese. Avrebbe potuto dirci dei suoi errori, e della fatica per uscirne, e della virtù e ricadute di quel percorso, e delle tante sofferenze del mondo dal quale viene. E delle speranze che in lui hanno riposto e ripongono educatori e compagni.
IL direttore di Rebibbia dottor Ricca venerdì ha passato la mattinata in tribunale, per assistere il giovane carcerato. Lo ha fatto in silenzio, rinunciando a tornarsene a Roma col volo che aveva prenotato. Lo ha fatto per dovere, ma anche con l’atteggiamento solidale di un padre che assiste un figlio che ha sbagliato, e gli sta accanto, e gli parla, ed evita in quel momento terribile del risveglio dall’alcol che quel figlio si senta depresso e maledica sé stesso.
Ma del dottor Ricca, del pentimento del ragazzo, delle speranze dei tanti compagni di cella, della tragedia umana del carcere la Nuova no ci ha parlato. Per questa volta almeno, ha perso l’occasione di fare buon giornalismo.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.
Lascia un commento