Umberto Allegretti
Un vecchio articolo, ma sempre attuale, pubblicato venerdì 20 aprile 2007 nel sito del Centro per la Riforma dello Stato (CRS).
Il comportamento di Berlusconi non si è mai presentato nella storia della Repubblica. E’ un tentativo di modificare regole fondamentali della Costituzione senza neppure sperimentarne la revisione formale. Il che si potrebbe configurare come un colpo di stato strisciante. Ciampi sarà messo davanti alla possibilità di usare l’eccezionale potere di revoca del governo per l’inosservanza dei suoi obblighi giuridici?
La situazione che si è aperta con la crisi della maggiornaza di governo ha raggiunto dopo le dimissioni dei ministri Udc una gravità inaudita dal punto di vista costituzionale oltreché politico. Alla gravità della minaccia sulla Costituzione democratica incombente per effetto del tentativo di riforma approvato in prima lettura dalle Camere che affida tutti i poteri al premier, contro cui giustamente si va preparando il referendum oppositivo che prevedibilmente la stroncherà, si unisce ora, con il rifiuto di Berlusconi di presentare le proprie dimissioni e quelle dell’intero governo, l’enormità di una violazione aperta delle regole costituzionali democratiche che sono sempre in vigore.
Non siamo di fronte, come sembra sostenere l’intervista rilasciata da Michele Ainis sul Manifesto di domenica 17 aprile, all’applicazione di una seconda nuova costituzione, ma a una sfida grave all’unica Costituzione vigente e insieme - va sottolineato - alle regole elementari della democrazia. E’ un tentativo di modificare regole fondamentali della Costituzione senza neppure sperimentarne la revisione formale. Il che si potrebbe configurare come un colpo di stato strisciante: infatti una costituzione di fatto non esiste e non può esistere (le revisioni costituzionali devono avvenire in via formale), almeno finché non si sia sicuramente stabilizzata operando un cambiamento rivoluzionario dell’ordinamento. Oggi ciò non è, e fino a quel momento un divario tra il diritto e il fatto, in contrasto con quanto dice Ainis, costituisce una violazione della Costituzione, non l’applicazione di un’altra costituzione.
Di fronte alle dimissioni dei ministri rappresentanti una delle componenti necessarie della maggioranza, Berlusconi aveva il grave dovere di recarsi immediatamente dal Presidente della repubblica per rappresentagli direttamente la situazione e presentargli le proprie dimissioni, assolutamente prescritte in un caso simile con l’unica possibilità alternativa di presentarsi al parlamento ponendo la questione di fiducia. Che non lo abbia fatto finora e abbia venerdì inviato alla Presidenza un semplice sottosegretario per quanto autorevole come Letta, mentre lunedì ancora non è certo che accetti di aprire la crisi, è un fatto inammissibile sia sul piano della legalità costituzionale come anche sul piano dello stile dovuto nei rapporti tra le istituzioni (che sul terreno delle istituzioni costituzionali è fondamentale per la vita della democrazia e anche solo dello stato civile). Tutt’al più Berlusconi avrebbe potuto chiedere al Presidente di soprassedere brevemente all’accettazione delle dimissioni, in attesa di un tentativo di convincere l’Udc a ritornare sulle proprie decisioni. Fallito questo tentativo, non vi sarebbe comunque altro che proseguire sulla strada aperta dalle dimissioni del governo.
Non avendo seguito né l’una né l’altra via (dimissioni o questione di fiducia), Berlusconi si mette perfino di fronte alla possibilità che il Presidente finisca col far uso dell’eccezionale potere di revoca del governo per l’inosservanza dei suoi obblighi giuridici.
Un tale comportamento non si è mai presentato nella storia della Repubblica, nella quale le maggioranze, deboli e criticabili quanto si vuole, sono state normalmente ligie alla correttezza costituzionale minima. Infatti, il problema che si è posto in casi fin troppo frequenti è stato quello opposto di come gestire le frequenti dimissioni volontarie del governo (dette tali perché non seguenti ad un voto esplicito di sfiducia in parlamento, ma non certo perché spontanee). In proposito si è sempre rilevato, nel mondo politico come nell’interpretazione dei giuristi, che in questi casi è il Presidente della repubblica a godere della necessaria discrezionalità, che non è arbitrio e che si può esercitare in tre direzioni.
Il caso normale è dato dall’accoglimento delle dimissioni e conseguente apertura della crisi di governo. Vi può essere per contro la reiezione delle dimissioni, ma solo quando un ragionevole apprezzamento porta a ritenere che le ragioni della crisi possano essere superate con una ricomposizione del divario tra le forze costituenti la maggioranza e magari con semplici rettifiche della composizione e del programma dell’esecutivo. Terza possibilità, frequentemente sperimentata, è stato il rinvio del governo alle Camere per una discussione che meglio illuminasse sulla situazione allorquando questa non appariva chiara: comunque questo caso di solito è sfociato nella reiterazione delle dimissioni e nella formazione di un nuovo governo. Ma mai si è presentata a nessuno nemmeno l’eventualità di un rifiuto puro e semplice di presentare le dimissioni da parte del presidente del consiglio quando vi erano condizioni di crisi: un’ipotesi che solo un personaggio che sfida continuamente la legalità costituzionale può pensare di mettere in opera.
Nel caso presente, la situazione è talmente chiara che la prima strada - dimissioni accettate dal Presidente - è l’unica adeguata; ciò, dato che il premier ritarda a percorrerla, avverrà su formale invito, da ritenere obbligatorio ed obbligante per il premier, da parte del Presidente (prima di pensare di ricorrere alla sanzione estrema della revoca).
Con questo - ed è la seconda fase da prevedere - si apriranno le consultazioni presidenziali, a cui seguirà o l’incarico allo stesso Berlusconi o un altro leader della maggioranza, sempreché vi sia un’indicazione attendibile fatta al Presidente dai gruppi parlamentari orientati a ricostituire la maggioranza. Se però una indicazione attendibile non ci sarà, inutile perdere tempo: né Berlusconi né i gruppi del centrosinistra (che lo hanno già dichiarato) saranno disposti a sorregere un governo cosidetto tecnico o un governo balneare, usati in passato; per cui non vi è che lo scioglimento delle camere: con tutti i vantaggi e/o svantaggi che si possono vedere in questa soluzione, ma come l’unico sbocco costituzionalmente corretto della crisi.
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