La manomissione delle parole

2 Agosto 2011
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Gianrico Carofiglio

La manomissione delle parole
Autore Carofiglio Gianrico
€ 13,00, 2010, 187 p., rilegato
Curatore Losacco M. - Editore Rizzoli (collana Scala italiani)

Presentazione

Le parole servono a comunicare e raccontare storie. Ma anche a produrre trasformazioni e cambiare la realtà. Quando se ne fa un uso sciatto e inconsapevole o se ne manipolano deliberatamente i significati, l’effetto è il logoramento e la perdita di senso. Se questo accade, è necessario sottoporre le parole a una manutenzione attenta, ripristinare la loro forza originaria, renderle di nuovo aderenti alle cose. In questo libro, atipico e sorprendente, Gianrico Carofiglio riflette sulle lingue del potere e della sopraffazione, e si dedica al recupero di cinque parole chiave del lessico civile: vergogna, giustizia, ribellione, bellezza, scelta, legate fra loro in un itinerario concettuale ricco di suggestioni. Il rigore dell’indagine - letteraria, politica ed etica - si combina con il gusto anarchico degli sconfinamenti e degli accostamenti inattesi: Aristotele e don Milani, Cicerone e Primo Levi, Dante e Bob Marley, fino alle pagine esemplari della nostra Costituzione. Ne derivano una lettura emozionante, una prospettiva nuova per osservare il nostro mondo. Chiamare le cose con il loro nome è un gesto rivoluzionario, dichiarava Rosa Luxemburg ormai un secolo fa. Ripensare il linguaggio, oggi, significa immaginare una nuova forma di vita.

La recensione di IBS

«La ragione di questo libro – a un tempo politica, letteraria ed etica – consiste nell’esigenza di trovare dei modi per dare senso alle parole: e, dunque, per cercare di dare senso alle cose, ai rapporti fra le persone, alla politica intesa come categoria nobile dell’agire collettivo». Gianrico Carofiglio ci regala un saggio alla Borges, dall’impianto filologico rigoroso, sull’uso del linguaggio e sulle sue conseguenze nella nostra società. La diagnosi dello scrittore, magistrato e uomo politico barese, è che oggi si usino poche parole, di scarsa qualità e che la lingua utilizzata meccanicamente sia sciatta, banale e manipolata dall’ideologia dominante. Dato che la narrazione dei fatti non è un’operazione neutra, ma un tipo di comunicazione che crea la realtà definendo il mondo con i propri termini, secondo Carofiglio occuparsi del tema della scelta delle parole assume oggi una valenza cruciale, fondativa. Il meccanismo, infatti, può avere degli esiti concreti temibili: si pensi alle parole come premessa e sostanza di pratiche manipolatorie, razziste, xenofobe o criminali. Ad esempio, «espressioni come giudeo, negro, terrone, marocchino attivano immediatamente l’ostilità, creano un altro estraneo e da respingere». Ed è questa interferenza sulla realtà, questa vera e propria creazione di realtà fittizie che ogni giorno, secondo l’autore, spesso inconsapevolmente, sperimentiamo. Questa manipolazione occulta del linguaggio che in molti casi si fa violenza, è il male al quale bisogna porre rimedio.
La strada indicata dall’autore passa attraverso la cura, l’attenzione, la perizia da disciplinati artigiani della parola, sia nello scrivere che nel parlare, ma ancor più nell’esercizio passivo della lingua: quando ascoltiamo e quando leggiamo. Carofiglio sottolinea come nei sistemi totalitari si assista sempre all’impoverimento della lingua, alla scomparsa delle parole del dubbio in favore degli slogan del potere, al trionfo lento, feroce e impercettibile dei luoghi comuni che impediscono di ragionare. Questo libro sembra volerci avvisare del rischio imminente e già in atto del degenerare del linguaggio pubblico e politico, nel quale termini come “popolo, libertà, amore, democrazia” sono stati progressivamente usurpati e svuotati di senso. Se è vero, come sta scritto nell’incipit del Vangelo di Giovanni, che «in principio era il Verbo», la Parola, è a questo logos che distingue l’uomo da tutte le altre creature viventi che bisogna ridare linfa vitale. Carofiglio lo fa nella seconda parte del libro, dove compie un’indagine su alcune parole chiave quali “vergogna, giustizia, ribellione, bellezza” e “scelta”, parole primarie, spesso gravemente svuotate. Il suo tentativo è dunque quello di riempirle, restituire loro vita, perché le parole impoverite di senso sono, come scrisse il filosofo francese Brice Parain, «pistole scariche».
Carofiglio ci conduce da un termine all’altro, utilizzando i riferimenti e gli esempi più disparati, letterari, politici, poetici, filosofici. Ci ritroviamo così a riscoprire il significato della parola “speranza” da un discorso di Barack Obama, di “bellezza” intesa come “saggezza” da un passo di Susan Sontag, o ancora di “scelta” come il contrario di “indifferenza” dalle pagine di una rivista di Antonio Gramsci. Chiudono il saggio una parte dedicata alle parole del Diritto e un corposo apparato di note bibliografiche, curato dalla ricercatrice di Filologia classica Margherita Losacco, senza le cui intuizioni molti spunti del libro non sarebbero stati possibili.

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