Antonello Murgia
Dall’Abruzzo arriva l’ennesimo scandalo in sanità: un fatto che potremmo definire normale, posto che la moralizzazione della politica non sembra essere la priorità del Governo. Quando l’etica si abbassa (certo, non per colpa solamente dell’attuale governo) è facile che sia la sanità il luogo del malaffare perché è lì che girano le somme più consistenti (quasi il 50% del bilancio delle Regioni è appannaggio della Sanità).
Ferma restando la presunzione di innocenza di qualsiasi imputato fino a che non venga condannato, la vicenda abruzzese che vede coinvolto il governatore Del Turco appare inquietante. Ad allarmare sono soprattutto la sfilza di reati contestati, che arriva fino all’associazione a delinquere, ed il coinvolgimento di esponenti politici/amministratori locali di entrambi gli schieramenti. Le accuse nascono in particolare dagli interrogatori di un grosso imprenditore della sanità privata, Vincenzo Angelini, inizialmente corresponsabile di truffa ai danni della Regione e che si sarebbe trasformato progressivamente in vittima per l’atteggiamento famelico dei percettori di tangenti. L’ambito nel quale si sarebbe realizzata la truffa è quello storico per la sanità: presidi sanitari privati (case di cura nel caso in esame) convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che avrebbero ricevuto compensi per prestazioni mai effettuate. Che ci sia stata corruzione da parte dell’imprenditore o concussione da parte degli amministratori pubblici, il risultato finale è una sottrazione di somme ingenti alle casse della Regione (quantificate in circa 14 milioni di €).
Ho già avuto modo di dire, anche su questo sito (v. “La sanità ai tempi del neoliberismo”), come l’erogazione di prestazioni da parte di soggetti privati rappresenti il principale motivo (assieme al sistema assicurativo privato che in Italia è però, al momento, di entità trascurabile in campo sanitario) di aumento dei costi associato a qualità generalmente mediocre delle prestazioni stesse. E rappresenta anche uno dei principali ambiti di truffa a carico del SSN, perché è uno dei punti deboli del sistema: vediamo in sintesi perché. Un imprenditore che voglia investire in sanità presenta la domanda alla Regione, la quale verifica il possesso dei requisiti (strutturali, di attrezzature e di personale) e, se tutto è in regola, concede il cosiddetto accreditamento. Tutto in regola dovrebbe significare anche che la nuova attività è utile ai progetti e programmi del Servizio Sanitario Regionale. In caso contrario si incentiva l’imprenditore a “drogare la domanda”, ad organizzare cioè una campagna promozionale rivolta ai cittadini per indurre la richiesta di prestazioni, ma soprattutto ai medici per incrementare le prescrizioni. Il risultato finale è un incremento della spesa sanitaria non giustificato dai reali bisogni della popolazione, talora accompagnato da conseguenze non trascurabili per la salute dei pazienti. Un esempio di questo tipo di approccio lo possiamo trovare nella percentuale di parti cesarei nella nostra regione: essa (37% del totale) è superiore alla media nazionale e ben al di sopra del limite stabilito dall’OMS (15%) come indicatore di assistenza ostetrica di buona qualità. Una parte dei cesarei può essere imputata a limitata esperienza: al diminuire dei parti/anno aumenta percentualmente il ricorso al cesareo, il quale è un atto programmato e dà adito a meno imprevisti rispetto al parto naturale. Ma una differenza così grande (il 250% del limite accettabile) non può essere tutta giustificata dalla bassa esperienza. E va tenuto presente che il cesareo è vantaggioso per il ginecologo e per la Casa di cura: minori rischi di imprevisti (come ad esempio una presentazione anomala del feto nel canale vaginale con necessità di intervento chirurgico d’urgenza) e maggiore guadagno (il cesareo è retribuito meglio rispetto al parto naturale). E occorre sapere che ad un primo parto naturale privo di complicanze seguono nella quasi totalità dei casi parti privi di rischi, mentre ad un parto cesareo privo anch’esso di complicanze seguono parti cesarei con rischio crescente di effetti collaterali.
Questo comportamento, al limite della correttezza deontologica, diventa fraudolento quando i rimborsi si riferiscono a prestazioni non effettuate (come sarebbe avvenuto nel caso abruzzese) oppure effettuate, ma senza indicazione clinica (come nel caso della Clinica “S. Rita” di Milano di un mese fa). Il rischio di frodi si minimizza accreditando le strutture secondo le reali esigenze sanitarie e praticando un monitoraggio continuo di prestazioni e strutture (private, ma anche pubbliche). Certo, le cose si complicano se il controllore è complice del controllato o addirittura artefice della truffa, come sostiene il giudice istruttore di Pescara. In questi casi è fondamentale il ruolo della magistratura che deve, in tempi ragionevoli, chiarire ed eventualmente sanzionare le responsabilità. E’ interesse della società che il giudice possa lavorare serenamente ed al riparo da qualsiasi pressione, mentre le accuse gratuite urlate ad ogni piè sospinto hanno un effetto devastante per l’amministrazione della giustizia. Nella vicenda Del Turco i leaders del PD hanno espresso stupore e rammarico, ma anche (correttamente) piena fiducia nei giudici; a destra (v. Berlusconi) è stato presentato il solito ritornello del complotto dei giudici. Il popolo di centrosinistra spera che le accuse a Del Turco si dimostrino infondate; ma la nostra società ha la necessità che, se venissero accertate al di là di ogni ragionevole dubbio, esse siano sanzionate nella misura dovuta. Con buona pace dei nostri “garantisti” con collare e guinzaglio, attualmente impegnati strenuamente contro i pericolosissimi bambini Rom.
E non vorrei che, come già accaduto in passato, qualcuno imputasse una vicenda come quella abruzzese alla predominanza pubblica del SSN e proponesse la privatizzazione. In sanità equivarrebbe a proporre la causa come soluzione del male.
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