L’Italia dei Comitati

18 Giugno 2011
1 Commento


Paolo Flores d’Arcasi

Pubblichiamo questo articolo di fondo del “Il Fatto quotidiano” di ieri, segnalando tuttavia una sottovalutazione del ruolo dei partiti d’opposizione nel successo referendario. Se è vero, insomma,, che ha vinto l’Talia dei comitati, è anche vero che le forze politiche, seppure tardivamente e in modo non compatto, hanno dato un contributo. Sopratutto nella fase che ci attende, nella quale occorre creare un ampia coalizione per battere definitivamente Berlusconi, avanzare primogeniture oltremisura può essere controproducente. Occorre chiarezza, ma anche umiltà e forte spirito unitario.
Ecco ora il bell’articolo di Paolo Flores d’Arcais.

Ma i referendum li hanno vinti i partiti? O non piuttosto i “comitati” che li hanno promossi, le rarissime testate che li hanno appoggiati fin dall’inizio, i siti web con il loro impegno di “politica fai da te”, le personalità della cultura, della scienza, dello spettacolo, che non hanno aspettato l’ultimo minuto per spendersi dalla parte dell’acqua, del
non-nucleare, della legalità? La risposta è ovvia, tutti riconoscono che a vincere è stata la società civile (oltre al partito di Di Pietro, che ha raccolto le firme tra l’ostilità di tutti gli altri), ma il paradosso è che a spiegarlo e riconoscerlo, in tv, vengono invitati proprio e solo gli esponenti delle nomenklature e della “casta”. Ennesima dimostrazione di totale disprezzo per la democrazia, ma anche di ottusa cecità rispetto a quanto matura nel paese in carne e ossa. Bianca Berlinguer si è stracciata le vesti perché nella piazza della festa dei quattro sì il cronista del Tg3 viene contestato e non lo fanno salire sulla postazione, ma quale altra forma di protesta resta ai veri protagonisti del referendum, di fronte a uno “studio” dove concionano e si appropriano della vittoria politicanti di ogni risma e “giornalisti” spesso più politicanti dei politicanti?
Del resto, è stato così in tutti i dieci anni passati, che pure hanno visto in Italia un fenomeno unico al mondo di politica auto-organizzata, di manifestazioni gigantesche promosse spesso da quattro o cinque amici, con una frequenza e continuità che sbalordivano e smentivano i soliti “realisti” (“la gente è stanca di scendere in piazza, questa volta sarà un flop…”): dal Palavobis e i girotondi del ’92 alle donne di “Se non ora quando” del febbraio scorso, passando per no-global, popolo viola, lotte studentesche, manifestazioni della Fiom.
Ogni volta le tv, anche quelle che si immaginerebbero come nicchie ecologiche di sopravvissuta democrazia, davano spazio sempre e solo (con l’eccezione di Santoro) al commento dei cacicchi di partito, che quelle manifestazioni avevano osteggiato (centrosinistra) o criminalizzato (regime). Mai che i protagonisti della “cosa stessa” fossero anche protagonisti nel dibattito televisivo. Quando è avvenuto, è stato in dosi omeopatiche. Mentre in dosi industriali ci venivano serviti puntualmente “giornalisti” di testate di scarsa diffusione, i Menichini di Europa e i Polito del Riformista (per non parlare del Foglio), che spiegavano al cittadino quanto velleitari fossero questi “estremisti”. Lo schiaffo dei referendum riguarda anche loro.

1 commento

  • 1 Anna
    19 Giugno 2011 - 11:16

    Se c’è una cosa che appare estremizzante nell’articolo di Flores D’Arcais è l’ignorare l’esistenza anche nei partiti “tradizionali” di sensibilità, competenze e progettualità che possono svolgere un ruolo, se non di traino, di costruzione rispetto a ciò che questo grande momento e movimento di democrazia diretta potrà esprimere in concreto. Purtroppo, è anche vero che le dirigenze dei partiti non sempre sono al passo con queste risorse umane e con la capacità di gestirle al meglio, sebbene la loro formazione sia avvenuta nel grande patrimonio della sinistra “tradizionale” e non leggendo il blog di Beppe Grillo.

    P.S. Per il professor Pubusa. Mi devo scusare con lei, alla luce dei fatti emersi aveva pienamente ragione a proposito di Soru. Purtroppo divisioni in “correnti” e “correntine” (nel PD ma non solo) e antichi pregiudizi rendono a volte difficile distinguere quello che è un discorso “di sinistra” da quello che non lo è.

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