Acqua: a bene comune… gestione comune

9 Giugno 2011
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Andrea Murru

Il 12 e 13 si avvicinano veloci, cresce la preoccupazione per il quorum di validità dei referendum e s’intensifica la rflessione sui temi oggetto dei quesiti. Ecco una proposta interessante di gestione comune dell’acqua, che però presuppone non l’insuccesso della consultazione, ma l’abrogazione della vigente disciplina sottoposta al voto popolare.

A pochi giorni dall’atteso referendum, che vedrà il popolo italiano pronunciarsi sui quattro quesiti posti dai referendari, cresce l’attesa, e forse la paura, di vedere se sarà raggiunta la fatidica soglia dei 25 mil. e rotti di votanti. Nel frattempo occorrerebbe riflettere sul dopo voto, prefigurandosi l’ipotesi peggiore, ossia che il suddetto quorum non venga raggiunto. In una situazione nella quale, è inutile negarlo, il servizio idrico in Italia vede contrapporsi realtà esemplari di gestione da parte delle PP.AA. ad altre nelle quali logiche sciagurate dei partiti hanno trasformato tali gestioni in succursali del malaffare e corruzione, non ritengo comunque accettabile, quale unica soluzione quella del passaggio, per di più obbligatorio, della cura del servizio idrico in mano a soggetti privati. In base alla nuova disciplina legislativa viene previsto:
1) l’affidamento della gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica o, in alternativa a società a partecipazione mista pubblica e privata con capitale privato non inferiore al 40% ;
2) la cessazione degli affidamenti “in house” a società totalmente pubblica, controllate dai comuni (in essere alla data del 22 agosto 2008) alla data del 31 dicembre 2011 o la cessione del 40% del pacchetto azionario.
Detto ciò, costituisce forse un’eresia pensare di affidare la gestione del servizio idrico ai fruitori finali dello stesso? Giorni addietro, sulla scia delle notizie riguardanti il malaffare nel mondo del calcio (chissà perché ci avrei scommesso), mi venne in mente come, in momenti di crisi, dal mondo sportivo vennero date risposte solidali ed allo stesso tempo ricche di spunti di riflessione. Passando dall’esperienza spagnola del Barcellona sino a giungere agli esempi italiani del Mantova e del Bologna, il variegato corpus dei tifosi ha dimostrato come, pur di non rinunciare ad una passione, che facilmente si trasforma in fede, sia possibile riprendere in mano le redini delle rispettive società sportive al fine di non farle naufragare a causa dei debiti. La soluzione fu rinvenuta nell’azionariato popolare tramite il quale, stando alla definizione offerta da Wikipedia “si ottiene una capillare diffusione della proprietà delle quote della società, che anziché essere possedute da un numero limitato di soci, è invece in mano ad un numero il più elevato possibile di soggetti, soprattutto investitori cosiddetti “non istituzionali”. Coinvolgendo un corposo numero di soggetti nelle sorti dell’impresa, l’azionariato popolare ha la capacità di favorire una maggiore stabilità politico-sociale con una distribuzione del reddito più omogenea, e consente una partecipazione ampia alle sorti della società attraverso la partecipazione di un vasto numero di soci alle assemblee societarie.
In pratica le quote delle società sportive diventano di proprietà dei tifosi, che possedendo anche una sola azione, hanno la proprietà di una quota azionaria e godono di tutti i diritti e i doveri per legge spettanti al singolo socio”.
Cosa osterebbe ad una simile applicazione anche con riguardo ai servizi pubblici quali l’acqua ed i rifiuti? Questo tipo di soluzione, a mio avviso, comporterebbe una maggiore responsabilizzazione dei cittadini nella gestione di tali servizi (evitando sprechi e ruberie), in quanto gli stessi verrebbero a trovarsi coinvolti direttamente nelle scelte societarie. Chi di noi lascerebbe che una perdita gli allaghi l’appartamento?

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