Gonario Francesco Sedda
Un’automobile che si presentasse sul mercato vantando eccellenti prestazioni sul piano della sicurezza di guida, ma si rivelasse poi difettosa proprio riguardo all’aumento del rischio di incidenti, verrebbe in primo luogo richiamata (se venduta) nelle officine autorizzate per rimuoverne le cause (errori di progettazione, scadente messa in opera di una o più parti – nella produzione e/o nel montaggio), in secondo luogo verrebbe ritirata dalla vendita e in terzo luogo verrebbe prodotta nel minor tempo possibile senza i difetti venuti alla luce. Non può essere così per le centrali nucleari: i requisiti di sicurezza propri delle centrali di ultima progettazione non sono tutti estendibili “all’indietro” al parco degli impianti costruiti nei decenni passati. Miglioramenti secondari (anche importanti) sono possibili e vengono realizzati in base all’esperienza di conduzione degli impianti stessi e alla ricerca tecnologica. Ma vi sono “limiti di progetto” che non possono essere corretti durante la lunga vita delle centrali già operative, le quali conserveranno un livello di sicurezza più basso rispetto agli standard vantati dai nuclearisti. Ad esempio, in caso di fusione del nòcciolo, per l’EPR (European Pressurized Reactor o Evolutionary Power Reactor) è prevista un’area di raccolta del combustibile nucleare fuso con dispositivi passivi di convogliamento e di spegnimento. Questo elemento progettuale “avanzato” non può essere condiviso dalle centrali già esistenti.
D’altra parte, il fatto che le centrali inglobino già in fase progettuale un numero sempre più grande di dispositivi di sicurezza non è una garanzia assoluta di impossibilità di accidenti con conseguenze disastrose. Finché il nucleare esiste in quanto non si è riusciti a smantellarlo o a bloccarne il suo sviluppo, la pressione per miglioramenti e innovazioni nel campo della sicurezza deve essere costante: gli antinuclearisti tengono conto non solo del principio di precauzione, ma anche del principio del danno minore.
In ogni caso i requisiti di sicurezza dei reattori di generazione III (EPR, AP100, ABWR, ecc.) non possono essere usati come foglia di fico per nascondere la “vera realtà” della grandissima parte delle centrali che sono rimaste tecnologicamente molto indietro e che per ragioni proprie dell’industria nucleare non è conveniente sostituire. Anzi, è passata l’idea che anche i più sgangherati impianti elettronucleari debbano restare in esercizio il più a lungo possibile: gli ultimi decenni di vita sono infatti i più redditizi.
Ma qual è lo stato dell’arte in Francia, la nazione dell’atomo “prêt-à-porter” e del fondamentalismo nuclearista?
Le centrali francesi sono 19 con 58 reattori in esercizio. Prendendo in considerazione l’anno di allacciamento alla rete, nell’intervallo di attività tra 1 e 10 anni si trovano solo 2 reattori (entrambi operativi da 9 anni); nell’intervallo di attività tra 11 e 20 anni si trovano 7 reattori (di cui solo 2 operativi da 11 anni); nell’intervallo di attività tra 21 e 30 anni si trovano 38 reattori (di cui 27 operativi da 25-30 anni); nell’intervallo di attività tra 31 e 33 anni – fino al 2011 – si trovano 11 reattori (di cui 2 operativi da 33 anni). Con diverse aggregazioni e sempre in riferimento all’anno di allacciamento, nell’intervallo di attività tra 21 e 33 si trovano 49 reattori (84,5% dell’intero parco) e nell’intervallo tra 25 e 33 anni si trovano 38 reattori (65,5% dell’intero parco).
Solamente 24 reattori (41% dell’intero parco) sono stati allacciati alla rete tra il 1986 e il 2002 e quindi progettati dopo l’accidente di Three Mile Island (avvenuto in un reattore ad acqua sotto pressione (PWR) della Babcock & Wilcox Company dello stesso tipo di quelli operativi in Francia – anche se di tecnologia costruttiva Westinghouse).
Insomma: l’intero parco delle centrali elettronucleari francesi è costituito da reattori di seconda generazione più o meno vecchi. Solamente 4 reattori PWR-N4 (2 nella centrale di Chooz e 2 in quella di Civaux) rappresentano un’evoluzione verso la terza generazione. Il primo reattore nucleare di terza generazione è entrato in servizio in Giappone nel 1996: è di tipo ABWR (Advanced Boiling Water Reactor) ed è stato sviluppato dalla General Electric a partire dal BWR (Reattore ad acqua bollente) di seconda generazione. Il primo reattore francese di generazione III entrerà in servizio forse a Olkiluoto (Finlandia) o forse a Flamanville (Francia).
Il rinnovamento del parco dei reattori è un problema gravoso per i paesi nuclearizzati. Nell’agosto del 2005 l’EdF (Électricité de France) ha comunicato di aver pianificato la sostituzione dei suoi 58 reattori con nuovi EPR a partire dal 2020, al ritmo di quasi un’unità di 1650 MWe all’anno. Ne saranno necessari 40 per raggiungere la potenza attualmente disponibile in Francia (poco più di 63 GWe – 63 milioni di kW elettrici). L’esperienza con il primo EPR di Flamanville sarà decisiva per la conferma di quel piano intorno al 2015.
Ma già alla partenza (2020) i reattori più giovani avranno 18-20 anni di esercizio e, se tutto andrà nel migliore dei modi, al ritmo di quasi un’unità all’anno, il piano di sostituzione sarà compiuto solo dopo 40-50 anni. Poiché il parco nucleare francese è vecchio, la conseguenza è che questo piano punta sul prolungamento della vita di una parte significativa dei reattori esistenti con la persistenza di un livello medio di sicurezza molto più basso degli standard oggi accreditati dalla propaganda nuclearista.
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