Ha vinto davvero “la sinistra”? E chi ha perso?

31 Maggio 2011
1 Commento


Massimo Marini

Iniziamo la pubblicazione di reflessioni e commenti sul risultato elettorale, con un intervento un po’ fuori dal coro. Domani altri contributi. Invitiamo i lettori a partecipare con loro analisi e impressioni.

CHI HA VINTO?
Ha vinto la voglia di cambiare, che è fisiologica quando le cose vanno male, soprattutto dal punto di vista economico (lavoro), soprattutto nelle tornate locali. Lo abbiamo visto negli USA, in Spagna, in Germania, l’anno scorso in Inghilterra. Quando “la crisi” si fa sentire, i cittadini che davvero determinano il voto - ovvero coloro i quali stanno più o meno al centro - votano dall’altra parte. Le ali polarizzate, quelle estreme, quelle dell’astensionismo, e quelle dell’indifferenza, sono rimaste dov’erano, il dato di affluenza lo dice chiaro. Solo qualche punto recuperato fra l’astensionismo di sinistra, forse. Dico forse, perché diversi punticini da lì se li è presi Grillo al primo turno e il conseguente astensionismo dei grillini al secondo.
Però non solo la fisiologica voglia di cambiare questo è chiaro, c’è qualcos’altro: lo sfinimento di un’attesa infinita e snervante per il cambiamento che B & Co. dovevano portare e che non è mai arrivato; lo sconforto dato dalla palese indifferenza dell’attuale classe politica verso i veri problemi dei cittadini, delle imprese, dei giovani - contrapposto alla frenetica attività legislativa proB;un po’ di vergogna, diciamolo, per l’immagine patetica che B sta imponendo al Paese. Tutte cose appunto che riguardano prevalentemente l’elettorato moderato (e in misura minore, come sopra, l’astensionismo giovanile di sinistra).
Hanno vinto Pisapia, De Magistris, Zedda, Cosolini, Gnassi, Ballaré… ovvero, personalmente, tutti i candidati, capaci abilmente e con programmi innovativi e coraggiosi, di cogliere e intercettare questo disagio.
Ha vinto la sinistra? Io non ne sono tanto sicuro. I risultati di SEL, pur esprimendo due candidati importanti, son stati scarsetti a livello di lista. E ad ogni modo sia Pisapia che Zedda non sono esattamente due vendoliani radicali, questo è palese. Idem per l’IDV a Napoli - anche perché definire De Magistris un candidato di partito, qualsivoglia esso sia, è davvero ridicolo. Certamente ha vinto la chiarezza dei programmi, la freschezza delle persone che lo proponevano - non solo i candidati sindaci, ma pure i candidati consiglieri, gli attivisti, i volontari. Ha vinto quella sensazione che stavolta i candidati fossero espressione davvero dei cittadini, della c.d. “base”. Quindi ha vinto l’idea originaria, il progetto del Partito Democratico, senza il quale non saremmo qui a festeggiare queste belle vittorie. E’ solo grazie al Partito Democratico, che pur tra millemila mal di pancia è riuscito a rimanere fedele all’apertura verso i cittadini elettori con lo strumento delle primarie, che si è riusciti a ricreare quell’entusiasmo, quel coinvolgimento personale e collettivo attorno a delle candidature: un entusiasmo che a detta di tutti, non si vedeva da tanto, tanto tempo.
Hanno vinto i cittadini. Questa non è una certezza, ovvio, ma più un auspicio. Perché ora arriva il momento più difficile: quello della conferma, dell’applicazione dei programmi, della messa in moto del cambiamento concreto e reale, quotidiano, locale - che passa per lo sviluppo, gli appalti, i rifiuti, la casa, i servizi, la mobilità, l’ambiente, l’innovazione. E in tempi di vacche magrissime, di trasferimenti dallo Stato centrale ridotti all’osso, di federalismo fiscale, i programmi di Pisapia, Zedda, De Magistris e compagnia, rischiano di diventare l’ennesima passerella di buoni propositi mai applicati - un boomerang che è sempre stato più devastante a sinistra che a destra.
Bisognerà dunque - e qui naturalmente sposto il focus su Cagliari, che conosco meglio - avere il coraggio di scelte innovative soprattutto in campo economico, sul mercato del lavoro (il problema naturalmente più sentito). Sarà necessario studiare soluzioni nuove che creino un mix sostenibile di tutela di diritti e sviluppo. Sarà fondamentale prendere il coraggio a due mani e affrontare di petto gli interessi (legittimi) di costruttori e poteri forti locali, così come sarà determinante l’approccio al problema rifiuti e tasse locali. Bisognerà avere il coraggio di abbandonare le politiche assistenzialiste e puntare sulla semplificazione d’impresa che crea occupazione, il tutto legato all’implementazione di servizi innovativi, di accoglienza per gli studenti, di rilancio dell’immagine turistica e del settore culturale. Tutto questo, per Cagliari come per le altre città che più o meno hanno le stesse ambizioni e gli stessi problemi, non potrà essere fatto solo giocando in difesa, ma anzi, studiando, sperimentando, magari sbagliando pure, però certamente trasmettendo ai cittadini la sensazione che si sta provando a cambiare, ad andare avanti.
Dunque, affinché si possa davvero parlare di primavera per le nostre città, è necessario muoversi rapidamente in quella direzione perché se si fallisce stavolta, e soprattutto se disgraziatamente B ascolterà quel geniaccio di Ferrara (rinnovamento di tutto il PDL, primarie, nuova leadership, ramificazione sul territorio), fra 5 anni ci troveremo alla vigilia di un nuovo ventennio iperconservatore (e iperliberista) con magari Montezemolo in testa (che invece deve venire con noi - ma magari su questo tornerò più ampiamente un’altra volta).

CHI HA PERSO?
Prima di tutto gli amministratori locali, che hanno amministrato male. Poi B, per quanto detto sopra. Ha perso il multipolarismo - perché fuori dai poli per gli altri più o meno briciole. Ha perso questo PD di sinistra, che ha avuto bisogno di allearsi a personaggi nuovi e freschi (esterni al suo apparato) per conquistare le città più difficili, che è capace di allearsi solo a sinistra dopo aver azzerato tutto il centro interno. Attenzione, perché questa non è la strada che porta alla vittoria nazionale: prima di tutto perché i candidati “di sinistra” vincenti non sono tanto di sinistra - e dunque l’illusione di un’alleanza vincente orientata solo lì può trasformarsi in un abbraccio mortale perpetrato ovviamente dai partiti e dai loro leader, non certo dagli ottimi candidati di questa tornata. E poi perché quando si va per politiche, il voto torna ad essere più di opinione e di visione - e francamente credere davvero che gli italiani, notoriamente moderati, affidino la “visione” a Di Pietro, Vendola e ad un exPCI come Bersani è secondo me sciocco.

CHE FARE QUINDI? (per il PD dico)
Amministrare bene (e/o aiutare a farlo), con coraggio, guardando al risultato, che è quello che premia, al di là dei maldipancia; continuare l’apertura e il coinvolgimento diretto dei cittadini; sviluppare e studiare proposte e soluzioni nuove a problemi nuovi; coinvolgere a livello locale i propri giovani, quelli più moderati, quelli di SEL, IDV e M5S a prescindere dalle leadership (insomma i giovani tout court, che di natura guardano avanti indipendentemente dalle proprie ideologie - almeno la maggior parte); a livello nazionale riprendere il centro moderato cattolico ora marginalizzato (e non mi riferisco certo all’UDC) e includere Italia Futura nel progetto di rilancio del Paese; cambiare strategia di marketing comunicativo, in particolare i grafici ma non solo, anche di atteggiamento verso chi rema contro, anche da sinistra. Se il PD, insieme ai cittadini elettori, riuscirà a fare questo, nel 2013 si vince a mani basse, e senza inutili equilibrismi numerici per poltrone ministeriali o simili. E allora potremo dire che la primavera è davvero iniziata.

1 commento

  • 1 Serenella
    31 Maggio 2011 - 20:10

    Salve. La voglia di eliminare politicamente B. ha comportato la nascita di questo “embrione”. Il PD ha sbagliato i candidati alle primarie e per questo è stato punito; infatti, adesso abbiamo quasi dappertutto consiglieri PD ed amministratori Sel o Idv. Ora, l’idea di Ulivo è ritornata prepotentemente di moda e Bersani per questo è da premiare almeno non ha fatto l’errore che fece Veltroni “o con me o contro di me”, ma non durerà. Mi sono fatta un’idea di come si evolverà l’embrione: Emma Marcegaglia cita Max Weber alla sua ULTIMA presidenza dell’assemblea di Confindustria e non a caso questo passo: «Vengono momenti tanto gravi nella vita di una nazione in cui la testimonianza pubblica di chi vive di integrità privata è un dovere morale». “In un momento così, noi saremo pronti a batterci per l’Italia, anche fuori dalle nostre imprese, con tutta la nostra energia, con tutta la nostra passione, con tutto il nostro coraggio”. Detto fatto ha organizzato la silenziosa marcia degli industriali a Treviso.
    Sarà, ma intravedo “una discesa in campo” della Signora Marcegaglia la quale incarna tutti gli ingredienti che possono far ” crescere e sviluppare l’embrione” è donna, ha lavorato nella sua vita non è vissuta di politica, riesce ad intercettare i “riposizionamenti” liberali e liberisti. E’ dura, ragazzi!

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