Gianni Fresu
Abbiamo detto ieri che è l’ora dell’agorà, del dibattito pubblico su Cagliari, non dell’insulto o dei cavilli giuridici, a cui il centrodestra (non Fantola, ad onor del vero) si dedica, a Milano come a Cagliari, con un ardore pari alla vuotezza di risultati, idee e proposte.
Allo scopo di alimentare la riflessione sulla città in vista del ballottaggio pubblichiamo perciò un articolo di Gianni Fresu, giovane e brillante storico dell’Ateneo cagliaritano, un intellettuale impegnato in politica (è stato segretario regionale di Rifondazione fino a poco tempo fà), un esponente della giovane sinistra sarda che da continuità alla battaglia ideale e politica per l’eguaglianza e l’autonomia.
In un articolo pubblicato sulla «Gazzetta popolare» dell’agosto 1860, Giuseppe Sanna Sanna tratteggiò con sarcastico taglio polemico le caratteristiche fondamentali della camarilla che controllava monopolisticamente le istituzioni cagliaritane, e più in generale sarde, per averne una posizione di centralità e rendita perpetua negli equilibri dell’economia sarda. Una consorteria, nella quale l’interesse meramente economico primeggiava, priva di un orizzonte politico preciso da perseguire che non fosse la mera occupazione del potere, impegnata con ogni mezzo a garantire la perpetuazione di se stessa con il servilismo verso il governo di turno e la tendenza a mutare posizione secondo il vento, sempre mossa dalla preoccupazione di non essere disarcionata dall’opinione pubblica. Così, scriveva il Sanna Sanna, prima dell’emanazione dello Statuto questa «sosteneva inni alla paterna autorità, e bruciava incenso copioso a piè di coloro che erano strumento dell’ignoranza, della superstizione, di tutti i mali che sì a lungo flagellarono la nostra patria», poi, con l’affermarsi delle libertà costituzionali la stessa si limitò a seguire la corrente e così sul suo periodico, l’Indicatore Sardo, «ove poco prima leggevansi lodi smaccate al paterno regime ed a quelli che ne erano i campioni governativi, leggevamo fervidi inni alla libertà ed al Risrgimento d’Italia, acri ad invelenire censure contro il governo dispotico e contro quelli stessi cui poco fa lambivano i piè e prodigavano incensi di gloria». Per Sanna Sanna attorno a questo periodico, organo ufficiale della consorteria, si addensarono forti interessi economici e un sistema di potere capace di dispensare clientelarmente favori, impieghi e prebende.
Sono passati centocinquanta anni sia dall’Unità d’Italia sia da questo articolo, si è passati attraverso il fascismo, dalla monarchia alla Repubblica, dai democristiani ai berlusconiani, tutto è mutato ma il nulla è cambiato. Cagliari sembra Pompei, una sintesi del “gattopardismo” dove usi e costumi delle classi dirigenti hanno mutato forma senza cambiare la sostanza dei loro interessi. Come già accennato Cagliari è ancora una Città a uso e consumo esclusivo di poche famiglie che di generazione in generazione si trasmettono oligarchicamente ruolo, funzioni e privilegi connessi all’esserne la classe dirigente.
Occorre un cambio di passo, di regime oserei dire, mettere al centro dell’agenda politica comunale le grandi questioni del lavoro, del disagio sociale, della marginalità nella quale è costretta la stragrande maggioranza dei cagliaritani. Non essere inseriti nelle ramificate trame del consenso di chi governa equivale spesso all’invisibilità sociale, ad un ruolo di cittadini di serie B, cui è preclusa la possibilità di accedere alle grandi opportunità che questa città offrirebbe. Ci sono le condizioni concrete per imprimere una svolta epocale nella storia della Città, occorre impegnarsi allo spasimo per darle un’altra possibilità, sapendo sin dall’inizio che, oggi come allora, gli interessi a cui ci si contrappone sono fortissimi e determinati a non farsi ridimensionare.
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