Enrico, quale Cagliari vuole Rifondazione?

12 Maggio 2011
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Andrea Pubusa

Sfogliando le liste per le elezioni comunali si trovano tante belle candidature. Di quella di Cristina Lavinio nel PD abbiamo già parlato. Ma ce n’è più d’una anche lì, persone sperimentate, come Tanino Marongiu o Aldo Piras, o giovani di valore, come Francesco Ballero, avvocato. In IdV mi viene in mente Giovanni Dore, in SEL Antonello Vinci. Anche in Rifondazione ce n’è tanti, a partire dal capolista, Gianni Fresu,  studioso brillante di storia. E’ in lista anche Enrico Lobina, impegnato nelle lotte studentesche fin dagli anni del Dettori. Lo incontro al comizio di Ferrero.

Enrico, in due parole, cosa ci vuole per Cagliari?
Un progetto alternativo. Che oggi non c’è. Anzi, siamo tornati indietro. Basterebbe dare uno sguardo alla rivista GEO, che nel 2007 dedicava la copertina al futuro di Cagliari. Tutto ciò che si raccontava sarebbe stato fatto, invece è bloccato. Tanti proclami della Giunta Floris, ma risultati scarsi e spesso negativi o, addirittura, disastrosi.

Ma Cagliari non è solo la città è pure l’hinterland…
Certo, c’è una questione centrale: il rapporto tra Cagliari e i comuni vicini. C’è la capitale che si spopola (157.000 abitanti oggi, 205.000 nel 1991), e l’area urbana che si espande. Come una piovra, l’ambiente urbano ruba terreno e territorio, nascono periferie in un ambiente che conta circa 400.000 abitanti (non molti, un quartiere di Roma o Parigi, per non parlare di Pechino o New Delhi). Cagliari ha 157.000 abitanti. Cagliari con i comuni contigui 378.000. Ci sono più abitanti nei comuni contigui che nella capitale. E per area vasta possiamo intendere non solamente i comuni contigui.

Ma in questo rapporto quale equilibrio?
Dal punto di vista storico tra la città e la campagna, la storiografia ha da tempo scelto la campagna. Non che manchino, ovviamente, studi sulla città: semplicemente è la ruralità, e in specie quella pastorale, ad attrarre l’attenzione.

Certo i contadini e i pastori si sono guadagnati un forte risalto ideologico e simbolico con le imprese della Brigata Sassari, la resistenza barbaricina, vera o supposta, e così via, ma tu cosa proponi?
Ma non può più essere così. La Sardegna che coopera in un Mediterraneo di pace e non di guerra come oggi, ha bisogno di un salto di qualità. Ha bisogno di una capitale vera. I valori, la socialità, la cultura, l’economia e l’organizzazione collettiva (urbanistica) di Cagliari e dell’area vasta devono accogliere, integrare e rafforzare le potenzialità di tutta la Sardegna.

Questo disegno oggi manca. Come crearlo?
Dobbiamo fare un salto concettuale. Portiamo tutta l’area metropolitana nella modernità, ma anche oltre. Come scrive Silvano Tagliagambe, la relazione nodo-link, che costituisce la trama e la possibilità stessa della rete, interpreta la nuova spinta che ha la città, in quanto disegna il rapporto tra ciò che è stabile (il luogo) e ciò che serve per andare oltre, per spostarsi altrove, e dunque per oltrepassare l’ambiente di riferimento.

Tu lo esprime nel gergo di oggi, ma sono rifllessioni che vengono da lontano. Ricordo che fu Umberto Cardia a lanciare l’idea dell’area metropolitana e il PCI riuscì anche a far passare questa idea nella legge nazionale sulle autonomnie locali del 1990. Ma poi tutto è stato rimosso. Come rilanciare questa prospettiva?
La città è oggi tre cose:
-  la più alta espressione di una collettività capace di ‘organizzare lo spazio fisico’;
- il luogo di massima concentrazione di funzioni e di relazioni, in cui i livelli di intensità e di velocità degli ‘scambi’ raggiungono valori sempre più elevati;
- spazio semantico privilegiato del rapporto psico-percettivo tra l’uomo e il suo habitat (la ‘città del vissuto’).
Ecco questa città a Cagliari deve essere tutta l’area vasta. Basti pensare, nel caso di Cagliari, alla spinta a localizzare fuori dei confini del comune, funzioni urbane pregiate, che si stanno sempre più ‘spalmando’ sul territorio circostante.

Ma ci vuole un ethos di questa città. Ma qual’è l’ethos di Cagliari? E sopratutto quale dev’essere?
È in prevalenza l’ethos di una città che rifiuta chi produce e che, anzi, invita chi produce a investire nella rendita. Piano piano ci si abitua. Se hai un’impresa che crea ricchezza, sei tentato di investire nel mattone, di capitalizzare sotto forma di rendita i risparmi di un’azienda, piuttosto che sentirti incentivato a reinvestire.

La borghesia cagliaritana cerca il profitto facile…
Le 3 M, si dice spesso: mattone, medici e massoni. Aggiungiamo la quarta M (Mani, l’arcivescovo a capo della diocesi Cagliaritana) ed il quadro è completo.

Un tempo non era così. A Cagliari esisteva un tessuto produttivo e una classe operaia, dalla Chicca-Salvolini alla Manifattura Tabacchi. E voi di Rifondazione su cosa puntate?
Vogliamo un’altra identità. Governare, indirizzare l’area vasta, serve a capovolgere, a sovvertire questo ordine. Ad instaurarne uno nuovo. E’ un processo che investe tutta la nostra vita. Apparato produttivo, culturale, umano, relazioni sociali, sistema dei trasporti, utilizzo del territorio, ambiente. Vari livelli si incontrano e, se non governati in un’ottica alta, rimangono appannaggio del mercato, che inanella fallimenti su fallimenti.

Altrimenti imperano altri valori…
Valori deteriori, rischiosi. Berlusconiani. Uno stacco fra città e periferia. Da una parte un insieme di caseggiati di banlieu, con il suo territorio e i suoi riferimenti, lontano dal ‘centrocittà’ e dalla città stessa, un pezzo di città distanziato dalla città, staccato come un iceberg alla deriva, che galleggia su un oceano incerto.

E il vostro obiettivo?
Una qualità della vita elevata. Con pochissimo la città bianca, e ciò che le sta attorno, potrebbe diventare un sogno. Un luogo in cui si lavora e si gode del mare, in cui ci si muove quasi esclusivamente coi mezzi pubblici, in cui l’inquinamento viene costantemente ridotto, un luogo in cui si può studiare senza pensare di dissipare i risparmi di una vita.

Insomma un’area vasta dove ci siano spazi vuoti, che possano essere goduti?
Esattamente il contrario di quello che vogliono fare, nel centro storico di Cagliari. Servono spazi dove si possano vivere esperienze di sospensione, di pausa – quelle che la modernità occidentale vorrebbe abolire.

Uno stop alla velocità fine a se stessa e un ritorno alla città come luogo d’incontro e di vita collettiva. Ma come fare?
Cominciamo, mettiamo insieme, confrontiamoci, e agiamo! La città continua a ‘muoversi’, per proprio conto. Noi abbiamo bisogno esattamente del contrario. Solamente una forte azione di leadership del Comune di Cagliari può innescare un processo nuovo. Mandati a casa coloro che a Cagliari governano, si devono individuare subito i luoghi istituzionali dai quali dirigere l’area vasta.

E’ una scommessa ambiziosa…
Ma è l’unica che può darci una prospettiva di crescita democratico.

Buona fortuna, Enrico!

1 commento

  • 1 Aldo Lobina
    12 Maggio 2011 - 12:09

    Mi permetto di dissentire. Cagliari è solo la città. L’hinterland non le è mai appartenuto. Cagliari ha mantenuto la sua unica vocazione commerciale e il ruolo di ospitare banche, ospedali, palazzi della politica, scuole, e poco altro. E nel tempo tutto questo anziché potenziarsi si è come contratto. La città, per quanto amena, muore piano piano. Complici le difficoltà di accesso da e per l’hinterland. E’ mancata per esempio una politica dei trasporti pubblici degna di questo nome. Una tale rete avrebbe permesso di stabilire un continuum e avrebbe in qualche modo contribuito a creare i presupposti per una trasformazione metropolitana. Ma i “politici” di Cagliari hanno ragionato in grande probabilmente solo per garantirsi alcune M, compresa la miopia.
    Di contro proprio l’hinterland ha potenzialità inespresse che farebbe bene a concretizzare scegliendo una classe dirigente all’altezza, non genuflessa ai poteri forti cagliaritani. Che non fanno crescere Cagliari con riverberi negativi per i Comuni attorno a Cagliari. Governare il vasto territorio per i comuni dell’area cagliaritana significa riconoscere un ruolo alla città, senza presunzioni e subordinazioni.
    Finora non mi pare che vi siano state grandi concertazioni tra i rappresentanti politici della città e gli altri.
    I nuovi amministratori di Cagliari dovrebbero inaugurare una stagione diversa di confronto per uno sviluppo armonico, che porrebbe le basi per una Cagliari, non solo dei 150mila Cagliaritani. Sono d’accordo con Enrico Lobina quando pone l’obiettivo per i nuovi amministratori di individuare subito i luoghi istituzionali dai quali dirigere l’area vasta, purché questi “luoghi” tengano conto non solo del numero degli elettori, per cui i rappresentanti di Cagliari avrebbero un dato peso specifico, ma anche della superficie rappresentata, in base alla quale il potere contrattuale degli amministratori dei comuni contermini sarebbe più grande.E’ un nodo da affrontare insieme. Ma Cagliari ha sempre fatto orecchie da mercante.

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