Per una scuola della cittadinanza e della democrazia

9 Maggio 2011
Nessun commento


Sofia Toselli - Presidente nazionale CIDI

La Presidente nazionale del CIDI ci invia questo interessante articolo, che riassume la prima parte della relazione ad un recente Convegno tenutosi a Cagliari. La seconda parte verrà pubblicata nei prossimi giorni.

Si sta chiudendo un altro anno scolastico difficile. Certo, tutto il Paese vive un clima difficile, ma la scuola sta pagando un prezzo particolarmente alto che ricadrà negativamente sulla collettività. La scuola è oggi intrappolata in una fase involutiva molto seria e pericolosa. Il taglio di organico, di materie e di tempo; la mancanza di un organico funzionale e di risorse; classi più numerose; il ritorno al maestro unico e ai voti; i percorsi di istruzione fortemente differenziati, con la conseguente, precoce canalizzazione dei ragazzi; il rilancio di un lavoro docente individualista e autoritario, amplificheranno i problemi del nostro sistema di istruzione e aumenteranno il disagio e la dispersione. Arretreremo sempre di più nelle classifiche internazionali, diventeremo il fanalino di coda dell’Europa e del mondo con grave danno per la democrazia e il progresso del nostro Paese.
Sappiamo tutti che sulla scuola si gioca un’ idea di società e di futuro, infatti i sistemi educativi cambiano specularmente al modificarsi dello scenario sociale e culturale. Le riforme introdotte nei sistemi scolastici riflettono dunque le idee di sviluppo, di democrazia e di civiltà di un Paese, i valori di riferimento prevalenti in quel preciso periodo storico, il tipo di potere esercitato in una determinata fase. Non è perciò confortante guardare, attraverso ciò che sta capitando alla scuola, all’università e alla cultura in generale, al periodo che stiamo vivendo e a quello che vivremo.
Ci sono fatti di questo governo che sono atti gravi, che configurano nel loro complesso un attacco alla scuola pubblica come neppure ai tempi più bui della nostra storia.
Che cosa dobbiamo fare dinanzi a tutto questo? Io credo che sia importante non arrendersi all’idea che non ci sia più nulla da fare: ognuno di noi deve allora recuperare e far valere le ragioni di una scuola per la cittadinanza e la democrazia. Vorrei - per rendere più forte il mio ragionamento - partire da ciò che scrisse nel 1791, in piena rivoluzione francese, J.A.C. Condorcet, il grande matematico e filosofo che, nelle famose 5 memorie, articolò un progetto di istruzione pubblica al servizio del benessere complessivo della società: “l’istruzione pubblica è un dovere della società rispetto ai cittadini. Invano si sarebbe dichiarato che tutti gli uomini hanno gli stessi diritti; invano le leggi avrebbero rispettato questo primo principio di giustizia eterna, se l’ineguaglianza delle facoltà morali impedisse ai più di godere questi diritti in tutta la loro estensione…” (da Prima Memoria. Natura e Fine dell’educazione)
Nella sua lungimiranza J.A.C. Condorcet sottraeva il diritto universale all’istruzione a ogni interesse di parte, considerandolo lo strumento fondamentale della libertà degli individui, della loro emancipazione, della solidarietà sociale e della partecipazione politica. Il suo fu un progetto che chiamava in causa la responsabilità del potere politico a garanzia di una istruzione pubblica per tutti i cittadini. L’Italia ci arriverà 156 anni dopo: dopo una guerra, dopo il fascismo, dopo i lavori dell’Assemblea Costituente. La Costituzione del 1947 all’art. 33, comma 2, stabilisce infatti che “La Rebubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”. Lo Stato dunque si faceva garante – proprio nell’interesse pubblico - del carattere pubblico della sua scuola (la scuola è aperta a tutti) e si faceva garante della qualità di tutte le sue scuole.
E voglio richiamare alcune delle dieci tesi scritte da Tullio De Mauro nel 2003, in occasione di un convegno nazionale del CIDI, svolto all’indomani della vittoria del centrodestra. Vittoria che bloccò immediatamente il processo di espansione in senso democratico della scuola.
Tesi 4: “Scuola e formazione restituiscono il loro costo fornendo, quando le forniscono, quelle “idee che sono a capo della produzione” (Cattaneo) e dunque impegnandosi nella vitalizzazione di tutta la cultura di una popolazione, garantendone il coerente rapporto con la tradizione identitaria e con l’accesso a nuovi saperi e ad antichi e nuovi life skills”.
Tesi 7: “Da ciò deriva, forse prima e indipendentemente da ogni scelta ideologica, la necessità di rafforzare scuole e strutture della formazione rendendole operanti non solo verso le fasce giovani, ma verso tutte intere le popolazioni attraverso il long life learning”. ( Scuola, Società, Sviluppo. Il Diritto di tutti alla cultura, a cura di Domenico Chiesa e Sofia Toselli, Zanichelli Editore).
Già nel 1993 il Libro Bianco dell’Unione Europea di Delors (Crescita, competitività, occupazione) sottolineava come le competenze fondamentali all’inserimento sociale e professionale dovessero comprendere “un’acquisizione completa sia delle conoscenze di base (linguistiche e scientifiche), sia a carattere tecnologico e sociale: capacità di muoversi e di agire in un ambiente complesso e ad alta densità tecnologica; capacità di acquisire nuove conoscenze, la capacità di imparare ad imparare per il resto della vita”.
Successivamente il Libro Bianco di Madame Cresson (Insegnare ed apprendere. Verso la società conoscitiva), pubblicato nel 1995, parlava dei tre shock trainanti e trasversali: “la nascita della società dell’informazione, lo sviluppo della civiltà scientifica e tecnica, l’universalizzazione dell’economia”. Shock che ponevano sfide inedite a tutti i Paesi, infatti l’universalizzazione degli scambi, la globalizzazione delle tecnologie, lo sviluppo della società della comunicazione e dell’informazione avrebbero moltiplicato per gli individui le occasioni di accesso al sapere. Ma poiché cambiano continuamente le competenze per accedere al sapere, così come cambia continuamente il contenuto di questo sapere, i Paesi europei avrebbero dovuto avviare nuovi e cospicui investimenti almeno su due fronti: su quello produttivo e su quello dell’’istruzione.
Sul primo perché ogni Paese si sarebbe dovuto aprire all’innovazione e alla ricerca. Mentre sappiamo che l’Italia in molti dei settori tecnologicamente avanzati è assente dallo scenario mondiale: non investe nell’innovazione di prodotto, nella progettazione, nella realizzazione di nuove tecnologie. Preoccupa perciò lo scenario di un Paese come il nostro che continuerà a perdere importanza nella competizione internazionale e che farà sempre più fatica a produrre reddito e ricchezza da ridistribuire o investire.
Sul secondo, cioè sul fronte dell’istruzione, perché si sarebbero dovuti innalzare i livelli culturali delle persone, garantendo una più qualificata preparazione di base a tutti i cittadini.
Il ruolo della scuola si gioca oggi sul terreno della cittadinanza: cioè sulla capacità della scuola di formare donne e uomini capaci di governare la propria esistenza. Il che vuol dire: educare al rispetto delle regole, alla consapevolezza dei propri diritti, ad usare in contesti diversi dalla scuola i saperi e le conoscenze apprese a scuola. Ed anche: formare mentalità critiche, capaci di risolvere problemi, abituare al dubbio, all’imprevisto, alla curiosità e nello stesso tempo ad un pensiero razionale e scientifico.
Da tutto ciò consegue che è necessario: sapere di più ad ogni livello, ripensare profondamente al sapere che serve, costruire un sistema efficace di Educazione per Adulti.

0 commenti

  • Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.

Lascia un commento