Annozero: il mio Sulcis in TV

6 Maggio 2011
3 Commenti


Andrea Pubusa

Confesso, non ho riconosciuto il mio Sulcis nella trasmissione di ieri sera ad Annozero. Nell’anfiteatro di Carbonia c’era una folla di disperati, senza sindacati, senza istituzioni locali, senza partiti. Arrabiata e impotente. Il mio Sulcis era l’esatto opposto: un insieme organico di minatori, commercianti, impiegati, popolo fortemente rappresentato da sindacati, organizzazioni di categoria, istituzioni, partiti, primo fra tutti un forte PCI e, ad Iglesias, il PSI. Nelle mobilitazioni c’era però anche la DC, il Psdaz e perfino il MSI, il cui leader storico, allora era un commerciante, consigliere comunale, che non si tirava indietro quando la lotta richiedeva vasta unità. Tutti avevano a cuore la sorte della città e della zona e si mobilitavano, quando era necessario, insieme, senza personalismi o pretese egemoniche. E bisogno ce n’è stato tante volte. L’agonia delle miniere è stata lunga, dagli anni ‘50, quando il carbone è stato sostituito dal petrolio come fonte energetica fondamentale del Paese. Le prime massiccie emigrazioni iniziarono a metà degli anni ‘50. Con le cc.dd. superluiquidazioni furono in migliaia a emigrare al Nord ad inseguire il miracolo economico italiano e verso le miniere del Belgio o le fabbriche tedesche. Poi, costituito l’Enel, il monopolio pubblico dell’energia, furono epiche le lotte per il passaggio delle miniere a questo ente. La città lottava per la sua esistenza e vinse la battaglia, assicurando un dignitoso (privilegiato) pensionamento ai minatori o meglio alle loro famiglie, posto che i minatori veri difficilmente andavano oltre i 60 anni, corrosi com’erano nei polmoni dalla silicosi.
Il passaggio all’Enel chiuse la partita per i vecchi minatori, ma non per i loro figli. Ci fu così una lotta forte per la creazione del polo industriale di P. Vesme, inteso come alternativa alle miniere. Lì si formò una giovane classe operaia all’inizio degli anni ‘70, degna erede dei minatori. Oggi tutto chiude senza alternative. Il Sulcis Iglesiente diventa la zona più povera d’Italia. Si sfrangiano partiti e sindacati, la classe operaia diventa gente, politicamente informe, arrabiata perché disarmata, piangente in quanto impotente. La fanno da padroni i boss locali, di cui non pochi diventano clientes. Credono, per disperazione, alle balle di Berlusconi che risolve i gravi problemi industriali con una telefonata  all’amico Putin!
No, questo non è il mio Sulcis, quello che ho conosciuto e che mi ha dato - vivendo fra i minatori - i valori di fondo. Ma è sempre la mia gente, anzi in questa disperazione lo è ancora di più. Ed è per questo che penso che i partiti e i sindacati, le associazioni di categoria, i nuovi movimenti, che abbiamo visto in TV, debbano riprendere il filo per tessere una trama unitaria, rilanciando una grande tradizione di solidarietà. Investano la politica e la travolgano nei suoi deteriori personalismi attuali, la riportino alla sua dimensione, originaria e vera, di luogo in cui si affrontano e risolvono i problemi.
Ieri, nello studio di Santoro, molti si sono stupiti dell’unità fra categorie diverse nel Sulcis, l’hanno vista come un fenomeno nuovo. Ma il Sulcis, nella sua tormentata storia inndustriale e operaia, ha sempre conosciuto questa forte capacità unitaria. Ed è in questo stare insieme, seppure davanti a Sandro Ruotolo, che ho riconosciuto l’anima del Sulcis. Un’anima resistente ed unitaria, che sopravvive ai radicali mutamenti e alla macelleria sociale di questi ultimi anni. Operai, pastori, commercianti, artigiani, intellettuali disoccupati, pur cambiati dalla crisi, questo spirito hanno manifestato ieri all’anfiteatro di Carbonia. I lavoratori dell’Eurallumina, della ILA, della Rockwool e di altre fabbriche già chiuse, Movimento delle partite IVA, giovani studenti, diplomati e laureati, il Movimento dei Pastori Sardi e i pensionati (che sono abituati alle lotte) hanno inviato alla Sardegna e all’Italia un messaggio di lotta e mobilitazione. Nella disperazione questo è un forte segnale di speranza.

3 commenti

  • 1 clara
    6 Maggio 2011 - 09:14

    tutta la mia piena solidarietà. vi sono vicina.

  • 2 Felix
    6 Maggio 2011 - 09:39

    A me è sembrato di vedere della gente piangersi addosso.
    Le risposte, la strada ai loro problemi esistono, basta saperle riconoscere. Vano è rivolgersi ai politici che poggiano il sedere sopra le poltrone romane. Non è possibile, in casa nostra, mendicare qualcosa a gente esterna come sono appunto i politici italiani… ah, già, scusate: nessuno si azzardi a mettere in discussione l’unita nazionale!
    Questa cosa non può avere senso, non è accettabile. Dobbiamo ribellarci al nostro destino di servi e assistiti, non possiamo fare affidamento, a fare riconoscere i nostri diritti a una trasmissione televisiva dove l’indomani tutto è dimenticato e si ricomincia il Calvario senza che nessuno se ne preoccupi. Se il nostro senso della dignità è quello di mendicare aiuti, alzare la voce al vento allora non ci spetta che un destino da servi.
    Non voglio dilungarmi, ma per spiegare questa situazione basta ricordare un semplice episodio: quel politico iglesiente che durante la campagna elettorale si è messo a distribuire pacchi di pasta! Se è questa la civiltà che abbiamo questo è il destino che ci spetta: mendicanti e servi.

  • 3 Mario Sciolla
    6 Maggio 2011 - 15:05

    Mi permetto un’ipotesi: chi gestiva la trasmissione (Santoro, Ruotolo) è riuscito a preparare e indirizzare gli attori (operai, pastori, commercianti, gente delle partite IVA) secondo propri intenti (protesta cieca, senza e contro le organizzazioni tutte, politiche e sindacali).
    Il malessere è evidente, ma sono stati offerti modelli di protesta, a mio avviso, fuorvianti.
    Ho avuto la sensazione di una rabbia non indirizzata a un fine.
    In modo diverso dall’estensore dell’articolo, neanche io ho riconosciuto lo spirito del Sulcis-Iglesiente che mi ha dato coscienza politica.

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