Tante centrali nucleari … più sicurezza?

8 Maggio 2011
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Gonario Francesco Sedda

In caso di “accidente” nucleare, cioè di incidente grave con rilascio significativo di radioattività nell’ambiente, è necessario allontanare la popolazione. La distanza di sicurezza dipende in primo luogo dal livello di radioattività, ma hanno un ruolo anche le condizioni meteorologiche. In ogni caso all’aumentare della distanza aumenta l’effetto di diluizione e quindi diminuisce il rischio di danni alla salute umana e all’ambiente. È questa la ragione per cui “dentro ogni nazione” nessuno desidera avere le centrali vicino a dove abita: neppure i più convinti delle virtù dell’energia elettronucleare. Se qualche invasato nuclearista volesse costruirsi un’abitazione ai margini della zona di rispetto di una centrale, pochissimi lo seguirebbero. Infatti non si ha notizia di ridenti villaggi – con vista, a un palmo dal naso, dei graziosi pennacchi di vapore che si evolvono poeticamente dalle torri di raffreddamento, con ville isolate in mezzo a un giardino che si apre al panorama della centrale (yes in my backyard!!) – abitati solo o prevalentemente da ingegneri, fisici, tecnici, amministratori delegati, economisti, medici, ideologi del potere affaristico, giornalisti, ecc., che manifestano il loro fervore per il nucleare “pulito”. Invece di limitarsi a deprecare l’opportunismo dei “quasi convinti” che soffrono della sindrome Nimby (not in my backyard – non nel mio giardino) e a bollare come privi di cultura scientifica coloro che dicono “in nessun luogo” (anywhere), i nuclearisti sarebbero più convincenti se testimoniassero concretamente la loro fede o le loro fondate convinzioni andando con le loro famiglie ad abitare nelle zone confinanti con centrali nucleari.
Se poi consideriamo i confini più o meno lontani “tra le nazioni” ugualmente nessuno desidera che le centrali altrui siano vicine a dove abita. Anche in questo caso ha una sua importanza l’effetto diluizione: più lontano è il centro dell’evento disastroso e meglio è. Per il Lazio o per la Sicilia non è la stessa cosa un accidente nucleare della stessa gravità che si verifichi in Sardegna piuttosto che in Francia o a Cernobyl o a Fukushima.
Eppure abbiamo sentito dire – come cosa saggia – che non avrebbe senso opporsi al nucleare in Italia perché siamo già circondati da centrali altrui. Insomma: visto che gli altri potrebbero arrostirci da lontano, sarebbe opportuno e meglio creare le condizioni perché noi possiamo autonomamente e orgogliosamente arrostirci da vicino. Ma è una logica che porta all’assurdo.
Si dice una mezza verità (un accidente in Francia danneggerebbe anche noi) e si suggerisce una conclusione sbagliata (un accidente nucleare che avvenisse direttamente in Italia avrebbe le stesse conseguenze). Se in Francia diventasse endemica una malattia contagiosa il pericolo di uno sconfinamento nel nostro paese sarebbe quotidiano, ma a nessuno verrebbe in mente di importare nel nostro territorio “focolai di malattia” per difendere meglio la salute degli italiani!
Ma quella mezza verità pone un problema che sfugge ai propagandisti di “Santo Atomo”: quali sono le precise responsabilità di ogni singola nazione nuclearizzata, dell’Unione europea e della comunità internazionale riguardo a eventuali conseguenze disastrose di un accidente che sconfini in un’altra nazione? Chi pagherebbe e che cosa se per un’imprevedibile situazione meteorologica un accidente nucleare in Francia rendesse inabitabile anche solo per qualche anno (senza escludere per parecchi anni o addirittura decenni) uno o più centri abitati e i loro rispettivi territori più vicini al confine? La cosa verrebbe imputata alla inevitabilità delle catastrofi naturali? E anche nell’emergenza la Francia – che è responsabile nei confronti dei suoi cittadini e interverrebbe a loro favore con la Protezione Civile – dovrebbe restare “senza obblighi” per eventuali danni fuori dei propri confini?
Se i francesi cominciassero a cannoneggiare o a colpire con missili territori italiani oltre confine, si tratterebbe di un’aggressione militare. E se invece “regalassero” all’Italia una consistente ventata di radioattività?

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